Under the silver lake è un film del 2019 diretto e scritto da David Robert Mitchell. Uno di quei film da cinema indipendente che solo il regista può capire a fondo e che divide la critica in due, chi lo ama e chi lo odia profondamente.
Questa pellicola è fin da subito particolare e complicata con il protagonista Sam (Andrew Garfield) che rappresenta un po’ un millennial perso nel corso della sua vita, disoccupato che passa le giornate a spiare i vicini. Un ragazzo un po’ sulle sue che sembra essersi buttato via da tempo e che conosce per caso la sua vicina e di cui in una sola sera passata insieme se ne innamora. Lei sparisce all’improvviso e parte cosi una ricerca in una Los Angeles nascosta, strampalata e molto particolare.
Il film mantiene uno stile anni ottanta molto particolare a tratti affascinante con uno stile che ricorda un po’ anche Stanley Kubrick e con diverse citazioni alla cultura Pop, uno neo-noir che ci mostra un ragazzo perso che in qualche modo a paura delle donne, che frequenta feste davvero particolari e chi in qualche modo viene a contatto con l’élite della città. Una storia molto chiusa, ermetica e dalle mille interpretazioni, con una sottilissima linea tra realtà e fantasia.
Under the silver lake si allontana dal cinema classico e dallo spettatore annoiato e si rivolge di più ad un pubblico attento, curioso che ha voglia di esaminare la sua profondità. Facendo così però ci troviamo davanti ad un prodotto davvero complesso, a tratti folle e quindi nel complesso pessimo.
Il film arranca in ogni sua esecuzione e davvero molto confusionario e la giustificazione della sua profondità e del suo messaggio non basta, ha dei lati affascinanti e appare un po’ come un’opera d’arte bella ma talmente difficile da comprendere da ritenerla pessima e incompleta. La definizione migliore è, particolare, perché è certamente qualcosa di raro e che non si vede tutti i giorni ed è lo specchio artistico di chi l’ha creato, che è sempre un elemento positivo.
Questo è uno di quei film che è davvero troppo lontano dal pubblico moderno, e che quindi non sento di consigliare, è una strana e particolare opera artistica che è giusto che uno scopra totalmente casualmente e che si faccia un’idea personale senza essere contagiato da opinioni e consigli altrui.
Guardiani della Galassia Vol. 3 è un film del 2023 terzo capitolo della saga, scritto e diretto da James Gunn. Il film per eccellenza nell’universo Marvel, una saga che potrebbe diventare anche Cult negli anni a venire.
Un ritmo, una musica e una sceneggiatura fluida e divertente che rendono questo terzo capitolo forse il migliore della saga e uno dei migliori di tutto l’MCU. James Gunn fa ancora centro e sembra non sbagliare ancora un colpo. Un mix perfetto tra azione divertimento e anche qualche piccolo momento commovente, con la famiglia e l’amicizia un po’ al centro della trama. Un film che non annoia mai, ci viene presentato il terribile e violento passato di Rocket, sfruttato per degli esperimenti, mentre i guardiani vanno in missione per salvargli la vita. Gomora senza i ricordi di un’altra dimensione futura, e il resto del gruppo che è sempre più unito e forte.
C’è un ottimo livello di recitazione da non sottovalutare, il villain è alla ricerca della perfezione della specie, un cattivo scienziato che sperimenta e distrugge intere razze per questo unico scopo. James Gunn la perfezione la ottiene con pellicole sempre molto divertenti ma che sanno anche far riflettere, trovando anche un piccolo spazio contro lo sfruttamento degli animali.
Proprio come un walkman la trama e il ritmo seguono l’evolversi della playlist con una selezione accurata e precisa di un sacco di canzoni meravigliose che regalano colore a tutta la pellicola. Questo terzo capitolo è appunto la somma di tutte queste caratteristiche, enfatizzate dal fatto che potrebbe essere un addio. C’è felicità, malinconia e un forte e stretto abbraccio al pubblico che non può che sentirsi parte del progetto Marvel più ambizioso e meglio riuscito, quello che ha dato una direzione a tutta la MCU, che ha reso famoso un autore di cinema di livello assoluto come Gunn, quello che ha dato una spinta decisiva ad un attore come Chris Pratt.
Guardiani della Galassia vol. 3 è anche il migliore a livello di regia con scene ben studiate e con una scena di combattimento in un tunnel dell’astronave con la squadra al completo che a livello di regia è davvero un piccolo capolavoro con un particolare piano di sequenza che sinceramente non ti aspetti in un film così.
Una boccata d’aria in un universo cinematografico che inizia un po’ a vacillare. Un insegnamento un po’ per tutti di come vanno fatte determinate cose, pellicole e saghe per ottenere questi risultati.
The Menu è un film del 2022 diretto da Mark Mylod e scritto da Seth Reiss, tra i produttori di spicco c’è pure Adam Mckay regista che spesso fa denunce sociali nei propri film.
Questo film in effetti parla di cucina, ma lo fa solo sulla sua superficie, una superficie davvero ben curata, con piatti realistici e scene che regalano comunque un momento di satira e realismo rispetto a quello che il mondo della cucina al giorno d’oggi, estremizzato e a volte forse fin troppo esagerato. Gli ospiti rappresentano un po’ questo sistema la voglia di sentirsi diversi ed esclusivi, e c’è un bellissimo e forte contrasto tra Margot (Anya Taylor-Joy) e Tyler (Nicholas Hoult), la prima estranea a questo mondo e lontana da questo tipo di lusso e cucina, l’altro invece un fanatico invaghito, quasi a venerare lo chef Julian Slowik (Ralph Fiennes).
The Menu ci mostra una serie di clienti ricchi che hanno voglia di pagare 1200 dollari a testa per una cena in un ristorante famosissimo collocato su un’isola privata, a poco a poco, portata dopo portata, si rendono conto che non sarà una cena come tutte le altre ma che sta per accadere qualcosa di inaspettato.
Andando a fondo con il film ci rendiamo conto che la parte culinaria è solo un bellissimo contorno e una metafora, il film si presenta più come una denuncia verso un certo tipo di società benestante che mangia e beve sulle spalle degli altri, una classe operaia (i cuochi) che con ritmi e pressioni sempre maggiori non reggono più la propria vita e vogliono concluderla con gesti clamorosi. I ricchi che invece solo alla fine accettano il proprio destino e anche loro in qualche modo accettano questa strampalata e lussuosa cena, dal finale violento e cinico.
Nonostante il film abbia una cura dei dettagli e qualche particolarità davvero interessante, fa un po’ fatica ad essere davvero coinvolgente e lasciare il proprio messaggio, l’esponenziale follia dela situazione e dei cuochi, sembra troppo surreale e ci allontana fin troppo dalla realtà. Questo rene lo spettatore confuso e distaccato, e ti fa considerare “The Menu una cagata pazzesca” Cit.
Il messaggio sulla società, sull’ingordigia, l’egoismo, la pressione sociale, il lusso a volte esagerato e inutile, passa in secondo piano, perché la follia prende troppo il sopravvento, con un finale che si allontana totalmente dalla normalità quindi anche dal pubblico. Ci si aspetta un thriller/horror per certe dinamiche e ci si ritrova invece in una specie di dark Comedy in cui il cibo passa all’improvviso in secondo piano per dà spazio ad una profondità che non è da tutti. The Menu rimane così, come una poesia ermetica, da cui è difficile estrarre la prosa, un film con aspetti creativi davvero interessanti, ma che passano quasi in secondo piano per la sua voglia di esagerare, proprio come il mondo della cucina di cui parla.
Alla fine ci ritroviamo proprio come nel film, ad avere un piatto di pane senza il pane. Un film che aveva ottimi spunti, ma che perde la sua vera essenza, per dar troppo spazio alla metafora.
Il collezionista di carte è un film del 2021 scritto e diretto da Paul Schrader con protagonista Oscar Isaac nei panni di un abile giocatore di azzardo.
Per questo film bisogna uscire un po’ dai rigori della recensione classica, sia dai miei che da quelle più lunghe e complicate viste in altri splendidi blog e siti. Per questo film serve una analisi più schietta, sincera e superficiale, perché ogni tanto bisogna anche mettersi nei panni del pubblico.
Una delusione totale, noioso in modo davvero esagerato e con riesce ad essere inconcludente e lontano totalmente da ciò che piace alla gente. Un film in cui il regista si è dimenticato assolutamente che il cinema è anche intrattenimento e coinvolgimento e non un club esclusivo per intenditori. Che poi ad essere sincero questo film anche nella fotografia e nei dialoghi mi è apparso come qualcosa di davvero brutto e mal fatto. Annullate tutti i sentimenti, la tensione, la suspense, la curiosità, tutti e lasciate spazio ad una noia straziante, quasi dolorosa.
Nel film non succede nulla, è tutto appiattito da dei dialoghi e delle scene prive di senso e di estetica, provo un’antipatia profonda verso questo film dopo la sua visione e mi urta sto fatto che delle volte vengono prodotte delle cose così di nicchia, quasi fatte per essere apprezzate da chi vuole sentirsi colto e diverso. Unica nota positiva è il suo protagonista, un Oscar Isaac sempre molto bravo e sul pezzo.
Un film che parla di un uomo che non riesce ad espiare i propri peccati del passato, ex militare, incarcerato per crimini di guerra e per torture inflitte ai suoi prigionieri che nel periodo in carcere impara a contare alle carte e che una volta uscito si guadagna da vivere con il Blackjack e i casino, il giusto per sopravvivere. La sua vecchia vita torna a galla quando il figlio di un suo “collega” morto sucida gli chiede di aiutarlo a vendicarsi dell’uomo che gli ha fatti finire in carcere.
Un fallimento in ogni scena, lenta, spenta e meccanica con dialoghi e situazione che non portano mai nulla, personaggi inutili, scelte inutili, nulla serve alla trama e al personaggio principale che una pellicola davvero davvero pessima e scialba. Delle volte i registi dovrebbero ricordarsi che i film sono soprattutto fatti per il pubblico e non solo per una pura espressione della propria arte.
Fatevi un favore e non guardate questo film, perderete due ore della vostra vita.
Yesterday è un film del 2019 diretto da Danny Boyle e scritto da Richard Curtis. Il film parla di un giovane cantautore inglese che non riesce a sfondare nel mondo della musica e che continua a accumulare fallimenti. Un giorno durante un blackout globale viene investito da un autobus e quando si risveglia scopre che alcune cose nel mondo non sono mai esistite, una tra queste, I Beatles e la loro musica, sfrutta quindi questa occasione per diventare famoso, grazie alle loro canzoni.
La trama funziona anche senza essere scritta, perché anche solo in poche parole crea curiosità e attira l’attenzione, si ha voglia di scoprirla e di sentire qualche canzone dei Beatles. Però ovviamente il film va più in profondità, sfruttando questa dinamica per parlare di amore, di ciò che veramente conta nella vita, allontanandosi un po’ dalla fama, per concentrarsi su qualcosa di più intenso. Il cameo di Ed Sheeran da un tocco in più essendo uno dei cantautori più capaci a parlare di amore. E l’incontro con un John Lennon anziano e soddisfatto della sua vita, una vita in cui non è mai stato un Beatles è davvero una piccola chicca.
Il finale è un concentrato di molte sensazioni, ovviamente viene messo al centro l’amore, la scelta del protagonista di abbondonare soldi e fama, per la donna che ama e che ha sempre amato e che ha sempre creduto in lui. Bello anche il confronto con il fatto di avere successo per una cosa non tua, per opere d’arte che non ti appartengono. Uno stupendo tributo ai Beatles nel finale, con un paio di canzoni meravigliose che mostra anche la varietà della loro musica, l’attualità e le melodie, base di tutta la musica moderna.
Un film che riesce a concentrare molte emozioni, un tributo alla musica e all’amore.
QUATTRO CHIACCHIERE: Un “semplice” Anime Giapponese nasconde dentro di se un lato musicale davvero stupendo e di altissimo livello, una delle colonne sonore più belle nel mondo anime.
La capacità nipponica di cerare prodotti creativi di altissimo livello è ormai conosciuta in tutto il mondo, mondi, personaggi e storie davvero originali che riempiono le nostre giornate già da bambini, ma che possono essere apprezzate nella loro completezza solo in età adulta. Naruto come tanti altri prodotti ha quella spiccata ironia tipica dei manga, ma come quasi tutte le storie Giapponesi ha anche una grande morale, una parte molto più seria e profonda. Tutti i personaggi sono scritti con cura e tutti hanno delle determinate caratteristiche, essi rendono al storia estremamente completa e di ottimo livello.
Troppo spesso se vediamo animazione, che sia un film o quello che noi definiamo “cartone” lo consideriamo un prodotto solo e unicamente per bambini, di conseguenza un prodotto poco curato, banale e di basso livello in tutto il suo sviluppo senza notare che alcuni anime sono delle vere e proprie opere d’arte, formate da sceneggiatura, disegni e animazioni e anche forse inaspettatamente colonne sonore di altissimo livello.
Nel corso degli anni mi sono soffermato sul ruolo sempre più predominante delle canzoni all’interno dei film e degli animi, diventando una parte fondamentale del prodotto finale, musiche e suoni ci fanno capire le intenzioni del regista, ci mettono paura, tristezza oppure ci danno una forte scarica di adrenalina e gioia. La musica di sottofondo, detta colonna sonora diventa così un asse portante fondamentale troppo spesso non considerata, soprattutto se si tratta di uno “stupido prodotto per bambini”.
Adesso, chi non l’ha mai fatto faccia una semplice ricerca su youtube ad esempio e provate ad ascoltarvi un po’ di colonne sonore di Naruto, soffermatevi sui suoni, sulla cura dei dettagli, sulle caratteristiche perfettamente studiate delle canzoni. Colonne sonore di altissimo livello con protagonisti chitarre elettriche con suoni quasi degli anni 80′ con assoli davvero di altissimo livello, oppure pianoforti utilizzati alla perfezione per i momenti più tristi. Ma la cosa davvero spettacolare di queste colonne sonore sono la presenza costante degli strumenti giapponesi, come il Koto o il Kyoku strumenti a corda, oppure la presenza dei flauti come lo Shinobue o lo Ryuteki. Questa è una caratteristica meravigliosa, un omaggio ad una cultura meravigliosa come quella Giapponese che in più ci immerge nel contesto “ninja” del mondo di Naruto.
Un mix di strumenti perfetto, usato alla perfezione rende la colonna sonora di Naruto la miglior colonna sonora degli anime, la più identificativa e incentrata, con spesso delle voci di sottofondo anch’esse che ricordano il mondo “Ninja” e ” Samurai”, sfruttando al meglio tutti gli strumenti più antichi e moderni, un viaggio tra il passato e il futuro della cultura del Giappone, tutto questo racchiuso in una colonna sonora di un anime. Tutte le sequenze di battaglia sono costellate di colonne sonore di altissimo livello, da Oscar per mille motivi, nulla da invidiare a molte colonne sonore dei film, anzi delle volte più complete e uniche ed estremamente identificative.
Sarebbe bello anche fare un percorso inverso, perchè comunque sono sicuro che molti non hanno mai visto Naruto e altri saranno anni che non lo vedono più, perchè comunque per molti è un prodotto che si vede dopo scuola a casa sdraiato sul divano girando su Italia 1. Sarebbe bello ascoltarsi prima le colonne sonore, farsi un idea personale dell’anime, crearsi una propria storia viaggiare sulla musica, (che vi assicuro un’altra volta sono stupende), e vedere che immagini riesce a scaturire la nostra mente. C’è tanto Giappone, c’è un intera storia dentro quei suoni, c’è passione, cura e molta maestria, perchè anche le colonne sonore sono delle opere d’arte.
La colonna sonora proprio come una sceneggiatura, va capita, studiata, e come se fosse possibile entraci dentro, vederne tutte le sfaccettature, percepire tutti gli strumenti, le scelte che sono state fatte nel momento della sua creazione. In Naruto c’è tutto questo, la colonna sonora ha la capacità di farti viaggiare, ma va apprezzata, ascoltata con cura, bisogna entrare dentro di essa, capirla nei suoi dettagli percepire tutta la miriade di strumenti stupendi che ci sono al suo interno, concedetevi del tempo per farlo, mettete le cuffie e perdetevi nei vostri pensieri.
Come nella storia del manga, nelle colonne sonore di Naruto c’è un fortissimo contrasto tra Felici e Tristi come se fosse un particolare Yin Yang tra felicità e tristezza, si possono proprio dividere in questi due gruppi, con sbalzi di umore forti e improvvisi classici dei racconti Giapponesi. Abbiamo momenti nelle battaglie dove ci sembra che i suoni vogliano spaccare il mondo e altri in cui la tristezza e la delicatezza ne sono protagonisti.
Delle volte è bello essere sorpresi, soprattutto se si tratta di un atto creativo, la colonna sonora di Naruto lo fa sempre, in ogni suo passaggio, un opera d’arte nascosta tra la “semplice” animazione di un “cartone” Giapponese.
Lettera di Anthony Hopkins scritta a Bryan Craston
Qualche anno fa alla conclusione di una delle serie più belle che siano mai state realizzate, un fan speciale decise di scrivere una lettera al protagonista della serie, Bryan Craston, questo Fan speciale non era niente di meno che Anthony Hopkins.
In un sito come questo rimane alquanto difficile non citare più e più volte una serie televisiva importante come Breaking Bad, ritenuta da molti come la serie migliore mai prodotta, e per molti aspetti sono più che d’accordo.
Tempo ho letto questa lettera che Hopkins inviò a Brian in segreto e per cui si arrabbiò molto quando fu resa pubblica, una lettera che in se raccoglie non solo elogi a questa splendida serie e a Bryan Craston in particolare, ma io la vedo come un elogio al mondo del cinema in generale, una bellissima lettera scritta da un attore che ha fatto la storia di questa forma d’arte meravigiosa.
Eccola:
Caro signor Cranston
Ho voluto scriverle questa email – contattandola attraverso Jeremy Barber – considerato che siamo entrambi rappresentati dalla UTA. Grande agenzia.
Ho appena finito la maratona della visione di “Breaking Bad”, dal primo episodio della prima stagione agli ultimi otto della sesta (ho scaricato l’ultima stagione da Amazon), per un totale di due settimane di visione.
Non ho mai visto niente di simile. Eccezionale!
La sua performance come Walter White è stata la migliore recitazione che ho mai visto.
So che ci sono così tanti miasmi e nauseabonde cazzate in questo ambiente, che ho davvero perso la speranza in ogni cosa, in qualche maniera.
Ma questo suo lavoro è spettacolare – assolutamente incredibile. Cio’ che è straordinario è la potenza pura di tutti nell’intera produzione. Che cosa è stato? Cinque o sei anni di lavoro? Come sono riusciti i produttori (e lei tra loro), gli sceneggiatori, i registi, i direttori della fotografia… ogni reparto, a mantenere la disciplina e il controllo dall’inizio alla fine è (termine inflazionato) impressionante.
Quello che era iniziato come una commedia nera, e’ affondato in un labirinto di sangue, distruzione e inferno. E’ stata come una grande tragedia, greca o shakespeariana.
Se mai potesse trasmettere la mia ammirazione a tutti gli altri: Anna Gunn, Dean Norris, Aaron Paul, Betsy Brandt, RJ Mitte, Bob Odenkirk, Jonathan Banks, Steven Michael Quezada. Tutti, tutti hanno dato prove magistrali di interpretazioni. Ma la lista è infinita.
Grazie. Questo tipo di lavoro e arte sono rari, e quando, di tanto in tanto, si verificano, come in questa opera epica, rinsaldano la fiducia.
Lei e tutto il cast siete i migliori attori che abbia mai visto.
Può sembrare solo fiato sprecato, ma non lo è. E’ quasi mezzanotte qui a Malibu, e mi sono sentito in dovere di scrivere questa e-mail.
Congratulazioni e il mio più profondo rispetto. Lei e’ veramente un grande, grande attore.
Cordiali saluti
Tony Hopkins
Questa lettera è meravigliosa, più la leggo e più ci vedo la passione immensa che Hopkins ha per questo lavoro, queste parole valgono più di mille recensioni, di mille discorsi e di mille parole spese per Breaking Bad, perchè dentro queste parole c’è tutta la bellezza di questa serie tv.
La recitazione di Bryan Craston è davvero qualcosa di eccezionale, forse o quasi sicuramente una delle migliori interpretazioni viste nel panorama delle serie televisive, ma lui è solo una delle cose fatte in modo perfetto in questo prodotto.
Come dice Hopkins, è impressionante come tutti, dagli sceneggiatori, ai produttori, ai fotografi, proprio tutto lo staff di produzione, sia riuscito a tenere un livello così alto per tutto la serie, senza perdere mai un colpo.
Questa è dedizione, passione vera e non contaminata da tutte le “nauseabonde cazzate” di quel mondo, il mondo del cinema.
Sono super felice che questa lettera sia stata resa pubblica, anche se Sir. Tony Hopkins non l’ha presa bene, penso sia un emblema, un icona della passione che serve avere se si vuole fare questo mestiere.
Bisogna sapersi emozionare, ammirare e imparare sempre, non provare invidia, ma rimanere a bocca aperta davanti ad un collega che fa un lavoro impressionante e ben fatto, sotto tutti i punti di vista.
Sir. Anthony Hopkins è un attore pazzesco, un attore che ammiro moltissimo con una eleganza teatrale rara, bravissimo nei monologhi, nell’uso delle parole, l’ho visto sempre in moltissimi ruoli e mi ha sempre conquistato.
Adesso capisco perchè, la sua passione per questo lavoro è unica, rara e stupenda e la trasmette tutta in questa lettera.
Sarebbe bello che questa lettera fosse letta, studiata e analizzata nelle scuole di recitazione, perchè ha un sacco di chiavi di lettura nella sua semplicità, non si sofferma solo a fare i complimenti al protagonista, ma è ammirazione, ed è proprio quello il punto.
Nel mondo del cinema serve sempre passione e dedizione, se no com’è possibile ottenere dei bei risultati? se non c’è l’ammirazione, la passione per questo mondo è meglio non iniziare a produrre nulla.
A volte sarebbe bello che al primo posto ci sarebbe la creatività, la libertà di esprimersi e di sviluppare le proprie idee, farsi trasportare dalla fantasia per creare qualcosa di vero, con passione, cura e perfezione.
Il mondo del cinema è la settima arte e ha bisogno che tutti quelli che ci lavorano dentro sia trasportati dalla felicità e dalla voglia di fare ciò che stanno facendo, mettendoci dentro tutta la loro passione in ogni piccolo passaggio, in ogni piccola sequenza.
Breaking Bad, Bryan Craston, tutto lo staff di lavoro di questa serie e anche questa lettera di Anthony Hopkins devono essere un esempio di come si deve essere portato avanti un lavoro e di quanta dedizione, perseveranza e passione pura servono per rendere questa forma d’arte la più bella del mondo.
Prendetevi del tempo e se non l’avete ancora fatto guardatevi questa serie televisiva, ammiratela, come ha fatto un attore del calibro di Sir. Anthony Hopkins.
Il famoso regista spiega perchè la sua ultima opera uscirà su Netflix e della filosofia dei produttori di Hollywood.
David Fincher a mio parere è uno dei registi migliori dei nostri tempi, perchè riesce a rendere tutte le sue opere quasi perfette e apprezzabili, gestisce alla perfezione i dettagli ed è facile essere conquistati dal suo stile.
Tra qualche settimana uscirà in Italia sul catalogo Netflix la sua ultima creazione, Mank che ha già avuto il favore della critica e le cui recensioni sono già molto positivo.
Mank segue la storia tormentata dello sceneggiatore di “Quarto potere” Herman J. Mankiewicz interpretato da Gary Oldman, girato tutto con una stupenda fotografia in bianco e nero.
E proprio per la promozione di questo film che Fincher ha fatto le sue dichiarazioni riguardo il mondo del cinema, delle forti accuse che secondo me vanno analizzare e ci fanno riflettere, visto che lui ha firmato un contratto di quattro anni con Netflix e Scorzese con la Apple, sembra proprio che i registi più affermati stiano “fuggendo” dal cinema.
“A meno che tu non stia girando un film che prevede già l’uscita di un Happy Meal, nessuno è interessato.“
“Le stagioni dei film ormai sono due. C’è l’estate dello spandex e la sofferenza invernale. Si fanno film solo per queste due stagioni. E se le perdi vai a finire nelle stagioni rimanenti, che di norma sono discariche. Ha senso tutto questo? Non sono un brontolone stanco. Sono un brontolone che conosce la situazione ed è stanco.“
Questa stagione ci fa riflettere molto su ciò che pensano i grandi registi della situazione del cinema attuale, un opinione molto critica, quasi offesa, come se ormai il cinema e l’arte fossero due cose differenti, come se ormai fosse solo questione di soldi.
Fincher va diretto al punto e si definisce “stanco” delle pressioni date dalle major, dalle pressioni della prima al cinema e dall’impossibilità di esprimere la propria creatività perchè quello che importa è solo l’incasso.
I registi si rifugiano in luoghi più protetti lontani magari da supereroi e reebot, luoghi come Netflix o Amazon dove è più facile esprimere la propria creatività senza avere l’infinità di vincoli che ha ormai Hollywood.
Le sue dichiarazioni hanno qualcosa di simile con quelle di Scorzese sui film della Marvel e sembra che l’opinione dei registi sia molto lineare non gli piacciono i film già confezionati, fatti per fare soldi e non per fare cinema, prodotti dal sicuro successo.
Fincher è stanco di un cinema con un fine materiale come il denaro, dove nessuno ha più il coraggio di sperimentare e di fare qualcosa di nuovo, tutto bloccato dai soliti film e dalle solite idee.
In questo articolo non voglio espormi, non voglio dire cosa penso delle sue dichiarazioni, penso solo che fanno riflettere e che mettono sotto i riflettori una situazione un po’ strana per il mondo del cinema, in un momento in cui è già pieno di mille difficoltà visto la situazione di pandemia.
Sono contento egoisticamente che Fincher abbia firmato con Netflix, nella speranza che porti avanti Mindhunter e che possa fare uscire un altro suo film sulla piattaforma, dispiace solo di come l’arte si stia allontanando dalla sale del cinema e stia fuggendo dal suo luogo di origine.
Ormai sembra essersi formata una netta divisione tra film per il cinema e film d’autore ormai più presenti nelle piattaforma streaming, con anche HBO Max pronta ad esibire i suoi prodotti.
Non mi stupirei se quest’anno fosse un film Netflix o simile a vincere il premio oscar come miglior film e anche senza averlo visto sono sicuro che Mank possa essere proprio quello che prenderà più premi, vista anche la scarsa concorrenza.
Sempre che rispetti le nuove assurde regole che devi seguire per essere candidato agli Oscar, altre scelte che non fanno altro che costringere la creatività in una piccola camicia di forza con vincoli che ne privano la libertà e la sua bellezza.