The Last Duel è un film del 2021 diretto da Ridley Scott e tratto dall’omonimo libro da Eric Jager, che parla di un ultimo “duello di Dio” svoltosi in Francia nel 1386 tra Jean de Carrouges e Jaques le Gris.
Questo film si sviluppa su tre capitoli e su tre punti di vista differenti, il film si basa su fatti storici realmente accaduti e quindi ha dei vincoli da rispettare anche se grazie a questa tecnica, può far decidere alo spettatore quale sia la versione più reale della storia raccontata.
I punti di vista sono prima quello di Jean (Matt Damon), poi quello del suo amico e rivale Jaques (Adam Driver) e poi quello giovane moglie di Jean, Marguerite de Carruges (Jodie Corner), la vittima che accusa Jaques le Gris di averla stuprata.
I primi due capitoli sono un po’ noiosi e portano lo spettatore a voler andare veloce al dunque, il film di spinge a credere alla donna, che è evidentemente vittima di un sistema davvero crudele e ignorante. L’interpretazione di Matt Damon è davvero di alto livello, forse una delle sue migliori, con un personaggio un po’ pazzo e istintivo, ma molto coraggioso e fedele alla corona. Mentre un po’ spento quello di Adam Driver che anche nei momenti cruciali della sua storia non riesce ad uscire da una particolare apatia. Il film non riesce a mostrare con chiarezza il rapporto tra i due protagonisti, tanto che i loro litigi sembrano più che giustificati. Non sembrano mai veri amici, quanto più dei semplici cavalieri con ambizioni differenti.
L’accuratezza storica riporta il film sui binari giusti, con costumi e una fotografia ben dettagliata, il finale è crudo nelle parole quanto nella scena di combattimento e riporta al giusto tono al film che a tratti risulta veramente troppo noioso e inconcludente oltre che abbastanza complicato.
Ridley Scott ha perso il suo “potere” da tempo e non riesce più a fare delle pellicole che convincono del tutto, sono spesso noiose e inconcludenti e anche in The Last Duel manca qualcosa che si vede solo nel finale. Infatti la parte finale non migliora solo dal punto di vista narrativo, ma anche della regia che non sbaglia un colpo e crea la giusta atmosfera. La storia è cruenta per quanto sia moderna sotto certi aspetti, con una donna che porta avanti la propria accusa pur rischiando la vita sua e quella del marito e con Jaques De Gris, convinto di non aver stuprato nessuna perché condizionato dalle sporche abitudini del tempo.
Una storia davvero interessante, ma che ci viene mostrata in un film nel complesso disordinato e con poco carattere e che si salva solo un po’ nel finale, mi aspettavo qualcosa di più, ma ultimamente è facile rimanere delusi da quello che comunque è uno dei registi che ha fatto la storia del cinema.
Air – La Storia del grande salto è un film del 2023 diretto da Ben Affleck. Il film racconta della creazione del marchio Air Jordan, nato dalla collaborazione del marchio di scarpe Nike e un quasi sconosciuto Michael Jordan.
Il film ci mostra una storia di cui conosciamo il finale, ma di cui conosciamo difficilmente i dettagli, una delle collaborazioni pubblicitarie e sportive più riuscite della storia, con un marchio che è ha fatto decollare la Nike verso vette mai raggiunte. Cosa c’è dietro a tutto questo? Da cosa è partito? Air ci mostra tutto questo con un cast davvero di alto livello, con Ben Affleck, Matt Damon, Jason Bateman, Chris Tucker, Viola Davis e Marlon Wayans.
Come sempre la storia vera delle volte, trasmette più emozioni che un inventata e questo film ci riesce, raccontando una storia di semplici affari, di business ma rendendola più romantica, unica ed emozionante. Le Air Jordan non sono solo delle scarpe, ma ormai sono un simbolo, uno status, e sono una svolta del settore per mille motivi. Forse è la più grande scommessa fatta in questo campo, eppure Nike ci è riuscita e ha scavalcato tutti.
Air è un film ben recitato scritto bene e molto ordinato, non ci si annoia e non ci si perde e avere Matt Damon in questi film è perfetto perché non fa mai interpretazioni da oscar ma è un attore che raramente sbaglia la propria interpretazione e che si adatta bene a tutto. Un film che fa anche un po’ riflettere su quanto delle volte tutto sembra già scritto, si è stata una scommessa, ma è come se tutti sapevano già come sarebbe andata. Una storia che valeva la pena raccontare e che quindi rende il film davvero interessante e piacevole.
Air funziona su più fronti, anche l’idea di non mostrare mai Michael Jordan e di mostrare la scarpa come vera opera d’arte, risultando quindi una manifestazione di passione. Questo film è un po’ la dimostrazione che c’è davvero passione in tutto, che tutto se fatto con il cuore e la passione ha più senso. Una scommessa sì, ma fatta con istinto passione e cuore.
Alla fine della storia ci si chiede quanto Jordan abbia aiutato Nike con il suo talento e quanto Nike abbia aiutato Jordan con la sua capacità di creare leggende. Sicuramente è un dare avere, fino a quando Jordan era atleta, ma adesso il marchio si sta trasformando in qualcosa di più, Air Jordan è un marchio dentro al marchio è un simbolo di uno degli atleti più forti di sempre.
La Snyder Cut, così conosciuta, è un rifacimento del film del 2017 Justice League, film che ha avuto una produzione travagliata con l’avvicendamento tra Zack Snyder e Joss Whedon e con n risultato finale, diverso d quello programmato.
In questa versione si vede la piena visione del regista e delle sue idee, ma anche l’estrema confusione nell’universo dei DC Studios, con produzioni spesso travagliate e risultati finali differenti. Questo film pur essendo parte estesa dell’originale, è un film molto diverso, molto più lungo e visivamente caratteristico di Snyder anche nella fotografia. un tentativo di mostrare il potenziale dell’idea originale che secondo me funziona solo in parte. Veramente tanto lungo, fin troppo con un’introduzione dei personaggi quasi noiosa e fin troppo dettagliata. Il Batman interpretato da Ben Affleck non convince, non rivedo in lui nulla di Bruce Wayne, mentre anche se il resto dei personaggi funziona il nemico, nonostante il restyling stiloso, non rende ancora abbastanza e risulta quasi ridicolo e forzato, troppo sconosciuto per la maggior parte del pubblico.
Questo film si presenta più completo dell’originale, ma a parte questo non riesce comunque a dare la giusta spinta in più. In realtà è sempre stato un film troppo sottovalutato, io per molti aspetti ritengo questi prodotti DC più interessanti di quelli Marvel, troppo spesso infantili, però allo stesso tempo i Villain non convincono mai e anche la trama fa fatica ad essere davvero coinvolgente. Sicuramente Snyder migliora il prodotto originale e ci mostra che se si affida tutta ad unica visione, le cose vengono realizzate in modo migliore. Una grande confusione DC che si ripercuote un po’ sul pubblico ma che anche grazie alle nuove tecnologie ha offerto al pubblico la possibilità di vedere due versioni dello stesso film, rivalutandolo e migliorandolo.
Migliore la trama in generale, ovviamente più completa, migliori alcune scene di azioni e migliore anche la particolare fotografia, nel complesso per il suo genere è un buon film, con il solo difetto di non avere in mente un obiettivo preciso e che si perde nell’idea di voler creare un universo cinematografico partendo dal film Justice League.
Will Hunting – Genio Ribelle, in inglese Good Will Hunting è un film di cui ho già parlato in un piccolo elogio, alla bellezza delle parole nel cinema e dell’importanza dei dialoghi in esso. Una perla di insegnamento di sceneggiatura più di un libro di McKee o Syd Field. (Articolo qui)
Will Hunting è un film del 1997 diretto da Gus Van Sant e scritto da due attori ormai famosi come Matt Damon e Ben Affleck, con una sceneggiatura che gli è valsa un Oscar agli esordi della loro carriera.
Il film parla di Will un ragazzo prodigio, con una memoria e una capacità matematica assurde e impareggiabili, un dono che non sta sfruttando, perché arriva dalla parte povera di Boston e perché all’università è solo uno spazzino alla MIT. Viene scoperto il suo talento, ma un famoso matematico non riesce a controllare il carattere ribelle del giovane Will e che quindi richiede l’aiuto di un suo vecchio amico e insegnate di psicologia.
Il film è sorretto da splendidi dialoghi e il confronto tra il genio ribelle di Will, interpretato da Matt Damon e un ormai triste e ferito professore di psicologia con grande talento per i rapporti umani, interpretato da uno strepitosoRobin Williams. Il resto funziona come uno splendido contorno dove ci vengono mostrati diversi aspetti della vita di Will, tra cui un amore intenso appena sbocciato ma che rischia già di finire. A poco a poco il film prende una forma attuale, passano gli anni ma i dialoghi sono applicabili al giorno d’oggi, forse ancora più di allora. La paura del futuro, della perdita, e il confronto costante con il proprio passato. Un amore visto in modo poetico, essenziale e davvero unico. Questo film ha davvero la capacità di conquistarti con le parole e ci mostra un piccolo spezzone di vita, di scelte e di bivi in cui spesso ci dobbiamo confrontare.
Un film che è come una nuvola soffice in cui ci possiamo rilassare, studiare a fondo e capire qualcosa in più sulle infinite sfumature della nostra vita. Non è solo il confronto tra i due personaggi o il talento matematico sprecato, ma è una vera e propria figurina del nostro mondo, di quando si è giovani sognatori impauriti, quando il nemico numero uno siamo noi stessi, le nostre scelte e il voler essere ribelli, ma non con il mondo, quando con la nostra vera essenza. Will fugge dal proprio talento, ma allo stesso tempo lo rincorre, fugge dall’amore, ma allo stesso tempo non desidera altro. Una stretta mortale in cui ci incanala la società che ci circonda, ma noi dobbiamo assaporare la vita in ogni suo attimo, “sentire l’odore della capella Sistina e non solo sapere chi è Michelangelo“. Il concetto è vivere, dare il meglio di sé stessi, offrire non al mondo ma proprio a noi stessi la nostra parte migliore.
Una piccola perla di Cinema, che merita di essere vista e rivista e anche ascoltata. Un Robin Williams che non bisogna mai smettere di elogiare, per le sue interpretazioni pure, vere e bellissime.
Runner Runner è un film del 2013 diretto da Brad Furman.
La trama del film si focalizza su Richie Furst (Justin Timberlake) giovane studente di Pinceston con ottime capacità intellettive e matematiche che lo portano a fare soldi con il poker online. Un giorno però viene truffato e perde tutti i suoi soldi, volerà in Costa Rica per conoscere i suoi truffatori, qui conoscerà Ivan Black (Ben Affleck), magnate del poker online.
La trama non si presenta molto semplice, seguirla con attenzione non è facile perché le parti più tecniche vengono dette in modo sfuggente e a volte incompleto, sembra tutto molto veloce. Ci sono molte situazioni e dinamiche e accade tutto velocemente senza delle vere pause che ci permettano di capire il film più a fondo. Il disordine e il ritmo aiutano però a dare una giusta conformazione al film, che ha bisogno di questo stile. Ci mostrano la bella vita, il denaro e tutti gli affari loschi dietro al sito di poker online che truffa le persone per prosciugargli il conto. Un film a tratti piacevole, perché se non approfondito, risulta semplice e il finale facile da capire.
Il confronto tra i due protagonisti è ottimo, c’è il giusto mix di stima e rivalità che si ripete nel corso della trama, il personaggio di Ivan Block è difficile da capire, da comprendere a fondo e lascia forse un po’ lo spettatore insoddisfatto con molti dubbi. Il ritmo veloce confonde, si dà carattere al film, ma è facile perdersi e non capire più le mosse del protagonista. Non ci sono colpi di scena clamorosi e il finale è troppo annunciato. Manca la giusta tensione e suspense che in certe parti del film, lo spengono un po’.
Runner Runner parte con il poker, ma a poco a poco lo mette da parte diventando un argomento superficiale, quasi marginale, anche la truffa è difficile da comprendere, e il protagonista del film diventa di più lo stile di vita dietro il sito con le sue truffe e la vita criminale che si nasconde dietro quel sito di poker online.
Nel complesso un film piacevole che scorre bene, veloce e con un buon ritmo, recitato in modo adeguato al suo stile. Nulla di speciale, ma un film che ti fa passare una buona serata.
Deep Water è un film del 2022 diretto da Adrian Lyne. La pellicola è la trasposizione dell’omonimo romanzo di Patricia Highsmith scritto nel 1957.
Il film si presenta come un thriller erotico con protagonisti Ana de Armas e Ben Affleck, un thriller che non riesce mai a creare la giusta tensione, ma che basa le proprie fondamenta su un soggetto ben strutturato e scritto e che rende almeno la trama un lato positivo.
Ana De Armas interpreta Melinda, la moglie di Vic Van Allen (Ben Affleck) uomo silenzioso e misterioso, molto sulle sue e con un carattere molto apatico e criptico. Tutto è incentrato sul rapporto malato con la propria moglie e che per certi versi ricorda molto il film Gone Girl. Melinda è una donna libera che ha bisogno dei suoi spazi, vuole sempre uomini attivi, felici e energici che le possano dare ciò che suo marito non le dà, le piace tradire il proprio marito e sbattergli in faccia la sua libertà.
La situazione si fa sempre più misteriosa e intricata soprattutto per le strane reazioni di Vic Van Allen che sembra avere la situazione emotivamente sotto controllo, lui e le sue lumache, altra parte inutile e enigmatica del film.
A parte la trama il film fa fatica ad imporsi con i propri sentimenti, non c’è per nulla erotismo e i protagonisti sono spaesati e piatti, ma collocati nel proprio personaggio, tanto che il livello di recitazione rimane molto mediocre e poco coinvolgente, sembra tutto troppo finto e davvero poco reale.
Un film che poteva dare sicuramente di più e che non raggiunge mai i livelli sperati, molto lontano da thriller erotici eccellenti come Basic Instinct. Molto ben pubblicizzato ma è un film che consiglio solo per la sua trama comunque bella e intrigante.
The Accountant è un film del 2016 diretto da Gavin O’Connor con protagonista Ben Affleck. Il film è stato scritto da Bill Dubuque, interessante il fatto che sia un contenuto completamente originale non tratto da un soggetto completo come ad esempio un libro.
Il lato positivo e centrale del film è la scrittura del personaggio principale interpretato proprio da Ben Affleck. Christian Wolff è un ragazzo autistico, cresciuto da un padre militare e severo, che cerca di proteggerlo dal mondo esterno, creando così un assassino eccezionale, Chris però ama la tranquillità dei numeri, il loro ordine e sa che non verrà mai tradito dalla matematica così diventa un contabile, ma non un qualsiasi. Collabora con le più grandi organizzazioni criminali, per la loro revisione dei conti, dove gira un sacco di nero ed è facile perdere soldi o che qualcuno voglia rubarli in bella vista. Il personaggio principale è davvero ben scritto con molte sfumature, ha la sua etica, il suo ingegno, una calma a volte inverosimile, una sua visione del mondo ben precisa che ci viene mostrata durante il film. Anche Ben Affleck in questo ruolo è stato perfetto, la sua faccia da “tonto” un po’ persa nel suo mondo si adatta perfettamente ad un personaggio serio e composto.
Il film si presenta bene con la giusta dose di azione e con scontri a fuoco elaborati davvero bene, un po’ confusionarie le scene più affollate e di lotta e la trama risulta un po’ complessa a tratti, troppi salti temporali non meglio specificati e tentativi di colpi di scena un po’ forzati. Il passato di Christian è un po’ confuso e la linea temporale non si capisce del tutto. Un po’ isolata e timida Anna Kendrick che mi è parsa un po’ fuori contesto e mai totalmente nel personaggio.
Per essere un contenuto totalmente originale mi è piaciuto molto, a tratti sembra quasi un thriller di spionaggio, a tratti quasi un film sul talento matematico di un contabile e in altri casi ci mette anche un pizzico di ironia, tanto che una delle uccisioni sembra quasi una parodia di questo genere di film.
Un film che mi ha stupito piacevolmente, bello da vedere, con un buon ritmo e che non annoia, un ottimo Ben Affleck e nel complesso scritto e diretto bene, un contenuto originale ben fatto e che da respiro un po’ ad un cinema pieno di reboot e soggetti già completi.
L’importanza delle parole e dei monologhi nel mondo del cinema
Will Hunting – Genio Ribelle (Good Will Hunting) è un film del 1997, diretto da Gus Van Sant e scritto da Matt Damon insieme a Ben Affleck, due grandi amici già a quei tempi.
Il film si è aggiudicato due oscar, uno alla miglior sceneggiatura originale, e l’altro al miglior attore non protagonista, un incredibile Robin Williams.
La trama è abbastanza semplice, di quelle che non ti colpiscono fin da subito, ma che possono solo catturarti grazie al loro sviluppo narrativo, alla loro evoluzione e in questo caso ai suoi dialoghi.
Will è un genio della matematica, ma è giovane, ribelle e si fa trascinare dalle sue vecchie amicizie, e in qualche modo continua a fuggire dalla vita di adulto, un passaggio molto difficile per ogni ragazzo. Lavora come ragazzo delle pulizie al MIT, una delle università più prestigiose del mondo nel settore tecnico/tecnologico, patria di grande matematici. Will però non sa cosa farsene del suo talento e passa le sue giornate a bere ad annoiarsi e a divertirsi, però ha gravi problemi a rapportarsi con chi non è suo amico e molto spesso si ritrova a fare rissa fuori dai locali di Boston.
Il punto cruciale della storia è il rapporto di Will con lo psicologo Sean Maguire (Robin Williams) e la storia d’amore con una studentessa di Harvard. Il talento di Will viene notato casualmente al MIT, quando lui risolve un problema di matematica molto complesso. Il professore che aveva scritto il problema alla lavagna propone a Will di seguire le lezioni, ma allo stesso tempo dovrà andare da uno psicologo.
Tre Will e Sean nasce un bellissimo rapporto, di amicizia e confronto, e finalmente Will ha trovato una persona con cui parlare di se stesso dei suoi problemi, della sua vita, uno con cui fare discorsi profondi e che gli permette di scavare dentro se stesso.
Sean non è tanto uno psicologo, ma più un insegnante di quella materia, un padre e un amico, ha anche lui un carattere forte, ma che con il tempo ha abbassato la guardia, soprattutto da quando la moglie è venuta a mancare per cancro.
In realtà i due protagonisti alleggiano in una situazione simile, in momenti diversi della propria vita, Will non sa cosa farsene del suo talento, mentre Sean non sa più bene cosa fare della sua vita dopo che la moglie e morta.
Questa ansia, questo vuoto del non saper come affrontare il futuro è descritto perfettamente nel film, con dei dialoghi perfetti in ogni loro piccola parte, sono piccole perle che danno valore all’intero film.
In questo film non c’è una trama complessa, non ci sono grossi colpi di scena, ma lunghi e bellissimi dialoghi, confronti e parole, il centro di tutto è il confronto tra le persone, il dialogo come parte fondamentale della vita.
Ci sono alcuni monologhi che hanno fatto la storia di questo film, e non solo, hanno fatto la storia del cinema, Robin Williams ci coccola con le sue parole e ci sembra dare dei grandi insegnamenti anche noi che siamo li a guardare questo film.
Usa parole importanti, pesanti che ci fanno capire tutti gli alti e bassi della vita, la bellezza degli istanti e delle piccole cose, perchè i monologhi quando sono scritti così bene hanno questa forza.
Un buon monologo può darci molto, più di qualsiasi scena di azione o che visivamente ci colpisce, con il monologo impariamo a conoscere il personaggio, le sue caratteristiche e le parole ci entrano nella mente e alle volte ci commuovono, come quando si ascolta una canzone che sembra parlare di noi stessi.
Questo film si sviluppa su diversi livelli di rapporto, quello dell’amicizia semplice, infantile, in cui basta bere e sparare qualche cazzata, in cui tutti ci sentiamo più al sicuro e liberi di fare ciò che vogliamo.
Poi c’è il rapporto con la vita reale, il confronto con le difficoltà, la consapevolezza di cosa potremmo diventare, il lavoro e lo studio per raggiungere i nostri obiettivi, un rapporto che a volte non ci piace proprio e ci spaventa, facendoci tornare bambini e ci fa rinchiudere nelle sicurezze.
C’è il rapporto con l’amore e i legami quelli veri, quelli che ci fanno crescere e ci cambiano la vita, lo possiamo osservare nei rapporti che Will ha con Sean e con la sua ragazza, sono i rapporti che lo fanno crescere davvero e che lo portano in una vita più da adulto con più responsabilità. Un rapporto che gli permette di confessarsi, di parlare di cose più complesse e profonde, rapporti rari e quasi introvabili, delle volte anche quando hai la felicità davanti agli occhi fai di tutto per evitarla perchè hai paura che finirà e non ti vuoi “scottare”. Ti inventi e ti convinci di essere un ribelle, uno a cui non importa nulla di nessuno, ti convinci di essere una persona distaccata e solitaria, in modo che saranno gli altri a soffrire per te, ma tu mai per loro. Proprio come Will ci autoconvinciamo che non ci serve niente di speciale per essere felici, perchè siamo noi quelli speciali, quelli che hanno un idea del mondo che gli altri non possono comprendere, che in fondo Sean ci fa capire che quella è presunzione, è essere codardi, è una fuga verso le nostre convinzioni e non verso ciò che davvero ci renderebbe felici.
Film basati su i dialoghi ormai sono una vera e propria rarità, non si possono più spogliare come le vecchie poesie, andare a fondo, trovarne una propria verità o un proprio insegnamento, ed è davvero un peccato.
Il cinema è vero è fatto prima di tutto di immagini, tanto che è nato muto, ma quanto sono belle le parole? quanto valore prende un film quando riesce pure ad insegnarci qualcosa tramite le proprie dinamiche narrative e ai propri dialoghi.
Rimane comunque tremendamente difficile scrivere dei dialoghi convincenti nella sceneggiatura, e dove ci si perde di più dove non si è mai convinti, come un compositore davanti ad un piano forte, si prova a suonare qualcosa di cui si è appena scritto e si finisce per creare un mucchio di fogli stracciati.
Lo sceneggiatore a volte si trova a scrivere un ottimo dialogo, un monologo perfetto ma non sa come collocarlo o semplicemente non ha strutturato abbastanza bene prima il personaggio che le sue parole stonerebbero invece di essere perfette.
Il monologo più bello di Will Hunting, arriva quando Sean e seduto con Will su una panchina in un parco di Boston e gli un discorso sull’amore.
“Se ti chiedessi sull’arte probabilmente mi citeresti tutti i libri di arte mai scritti… Michelangelo. Sai tante cose su di lui: le sue opere, le aspirazioni politiche, lui e il papa, le sue tendenze sessuali, tutto quanto vero? Ma scommetto che non sai dirmi che odore c’è nella Cappella Sistina. Non sei mai stato lì con la testa rivolta verso quel bellissimo soffitto… mai visto. Se ti chiedessi sulle donne, probabilmente mi faresti un compendio sulle tue preferenze, potrai perfino aver scopato qualche volta… ma non sai dirmi che cosa si prova a risvegliarsi accanto a una donna e sentirsi veramente felici. Sei uno tosto. E se ti chiedessi sulla guerra probabilmente mi getteresti Shakespeare in faccia eh? “Ancora una volta sulla breccia cari amici!”… ma non ne hai mai sfiorata una. Non hai mai tenuto in grembo la testa del tuo migliore amico vedendolo esalare l’ultimo respiro mentre con lo sguardo chiede aiuto. Se ti chiedessi sull’amore probabilmente mi diresti un sonetto.Ma guardando una donna non sei mai stato del tutto vulnerabile… non ne conosci una che ti risollevi con gli occhi, sentendo che Dio ha mandato un angelo sulla terra solo per te, per salvarti dagli abissi dell’inferno. Non sai cosa si prova ad essere il suo angelo, avere tanto amore per lei, vicino a lei per sempre, in ogni circostanza, incluso il cancro. Non sai cosa si prova a dormire su una sedia d’ospedale per due mesi tenendole la mano, perché i dottori vedano nei tuoi occhi che il termine “orario delle visite” non si applica a te. Non sai cos’è la vera perdita, perché questa si verifica solo quando ami una cosa più di quanto ami te stesso: dubito che tu abbia mai osato amare qualcuno a tal punto. Io ti guardo, e non vedo un uomo intelligente, sicuro di sé, vedo un bulletto che si caga sotto dalla paura. Ma, sei un genio Will, chi lo nega questo. Nessuno può comprendere ciò che hai nel profondo. Ma tu hai la pretesa di sapere tutto di me perché hai visto un mio dipinto e hai fatto a pezzi la mia vita del cazzo. Sei orfano giusto? Credi che io riesca a inquadrare quanto sia stata difficile la tua vita, cosa provi, chi sei, perché ho letto Oliver Twist? Basta questo ad incasellarti? Personalmente, me ne strafrego di tutto questo, perché sai una cosa, non c’è niente che possa imparare da te che non legga in qualche libro del cazzo. A meno che tu non voglia parlare di te. Di chi sei. Allora la cosa mi affascina. Ci sto. Ma tu non vuoi farlo, vero campione? Sei terrorizzato da quello che diresti. A te la mossa, capo.”
Questo monologo è davvero bellissimo, tra l’altro adattato perfettamente dai nostri doppiatori italiani che riescono sempre a trovare le parole giuste per regalarci queste perle di sceneggiatura.
Il monologo è perfetto anche perchè qualche scena prima abbiamo già avuto prova del carattere del personaggio interpretato da Robin Williams, la sceneggiatura ci ha già dato prova del suo dolore e del rapporto che molto probabilmente aveva con la moglie, abbiamo capito che era un uomo che era stato tradito dalla vita, ma che non si era pentito di affidarsi all’amore.
Robin Williams è un valore aggiunto perchè riesce a dare la giusta espressione a queste parole, la giusta cadenza e frequenza per entrarti nel cuore, ci smuovono e ci fanno riflettere.
Questo monologo è collocato bene sia a livello temporale nella storia che a livello fisico nella tranquillità di un parco su una panchina, un luogo di pace in cui è più facile essere profondi e arriva nel punto in cui Sean deve per forza e in qualche modo smuovere quella stupida corazza che si è costruito Will.
In questo modo le parole acquistano più valore, più significato e ci sembrano ancora più perfette, c’è un anticipo, un prologo, poi c’è luogo giusto e il momento adatto all’interno della storia per essere pronunciate.
Segnano una svolta all’interno della storia e per i personaggi, tutti e due capiscono che parlare potrebbe fare bene a entrambi, capiscono che in fondo entrambi hanno bisogno di sfogarsi e ci da indizi sui protagonisti.
Capiamo la profondità dello psicologo Sean e vediamo e impariamo che Will non è solo un ribelle chiuso in se stesso, anzi è un ragazzo che sa anche fermarsi e ascoltare e perchè no apprendere qualcosa.
Questo è un paio di altri dialoghi sono talmente importanti che delineano non solo il carattere di Will ma ne tracciano pesantemente anche il futuro, tanto che le sue scelte di vita saranno guidate dalle parole di Sean. Chissà se qualcuno nella vita oltre a Will è stato anche lui condizionato da queste parole, chissà se ha imparato qualcosa.
Il resto dei dialoghi sono evoluzione di un rapporto che si crea tra Will e Sean, come se fossero quasi padre e figlio, un uomo esperto che insegna al giovane quando bello può essere l’amore.
Ci sono dei dialoghi stupendi in cui Sean parla di sua moglie e dei momenti belli e divertenti con lei, uno addirittura improvvisato da Robin Williams che è allo stesso tempo divertente quanto malinconico, recitazione meravigliosa.
Quando ci sono dialoghi del genere anche per l’attore è più facile entrare nel personaggio, recitare ed esprimere il meglio delle sue possibilità, una buona sceneggiatura aiuta proprio tutti, perchè tutto si incastra perfettamente, tutto sembra perfetto.
Le giuste parole messe al posto giusto rendono i film delle opere d’arte migliori di una poesia, perchè sono pezzi di vita, e fanno parte di tutti noi, in molti di essi ci possiamo riconoscere tranquillamente.
Questo film non è altro che un insegnamento a come vanno scritti i film incentrato sul confronto, sulla crescita personale e sulle parole, una lunga e bellissima poesia visiva.
Perchè secondo me, quello che per molti è un semplice attore, deve essere considerato quasi un maestro di cinema.
Innanzitutto questa per me è un opinione che va un po’ controcorrente anche con me stesso, perchè Ben Affleck come attore non mi piace molto e penso che non sia nulla di speciale, allo stesso tempo però devo esaminare tutti i suoi aspetti e ammettere che generalmente sottovalutato come uomo di cinema.
Per renderci conto di cosa ha fatto Ben Affleck nella sua carriera bisogna guardare con scrupolo ciò che ha creato, scritto e diretto, perchè Ben non è semplicemente un attore come molti pensano ma lavoro nel mondo del cinema in molti campi e con ottimi risultati.
Penso sia uno dei pochi nella storia che riesce a fare tutti i quattro ruoli principali tenendo sempre un livello alto di qualità, lui infatti nella sua carriera è stato Regista, attore, sceneggiatore e produttore, vincendo anche due premi oscar alla miglior sceneggiatura originale (1998) e miglior film (2013).
Anche se come attore non mi entusiasma, trovo che il fratello Casey sia più bravo, è comunque riconosciuto da molti registi, che lo vogliono come attore principale nei loro film, infatti in carriera ha davvero interpretato un sacco di ruoli anche molto diversi tra loro.
Vorrei partire dalla cosa che mi sta più a cuore, la sceneggiatura, lui esordisce ad Hollywood con un capolavoro che gli fa vincere subito l’oscar come miglior sceneggiatura con il film “Will Hunting – Genio Ribelle” scritto davvero in modo impeccabile e in cui compare anche come attore, anche The Town film tutto suo dalla produzione, alla scrittura, alla regia e al ruolo di protagonista, è un film davvero ottimo in ogni suo aspetto.
Ben Affleck va considerato a tutto tondo in ogni suo aspetto della sua carriera, un talento che riesce a portare avanti più forme d’arte, collegate tra loro ma che non sempre sono così scontate.
La vittoria negli oscar per il miglior film, Argo, in cui è produttore, regista e attore protagonista ne consacra il talento che da molti non è ancora riconosciuto.
Non è facile centrare tutti i ruoli in un film, molti ci hanno provato a mettersi alla regia dopo anni di recitazione, o a scrivere un film, ma i risultati sono sempre stati molto pessimi, lui invece fin da subito è stato un ottimo sceneggiatore e un buon attore che avuto anche molto successo.
Grazie a Fincher, in “Gone Girl”, penso abbia fatta la sua miglior interpretazione, con un personaggio che era davvero adatto a lui, con Batman invece non ha avuto vita facile essendo arrivato dopo i film di Nolan con Christian Bale nel ruolo del “cavaliere oscuro”. Anche se grazie alla sua fisicità, Ben Affleck non è poi stato così pessimo nel panni di Batman.
Spesso ci si sofferma solo su alcuni aspetti del mondo del cinema, sulla recitazione, o sui film che si sono interpretati nella propria carriera, anche se a volte non è colpa dell’attore ma più del regista e dello sceneggiatore.
Ben Affleck secondo me, ha il pregio di essere sempre stato al suo posto, senza interpretazioni da buttare, e nemmeno recitazioni da Oscar, però riesce ad essere sempre ben collocato e mai fuori posto nei film che fa.
La sua conoscenza di cinema lo porta sempre a fare le scelte giuste e produrre anche i film più adatti ai suoi ruoli, anche in un film come “Triple Frontier” dove c’è comunque un cast importante, lui non sfigura e ne esce fuori protagonista.
Ben Affleck è sottovalutato ma riesce a dare sempre il suo tocco nei film in cui è presente, forse perchè riesce a dare consigli o sa già come muoversi visto che ha eseguito tutti i ruoli più importanti nella produzione di un film.
Partendo con un Oscar la sua carriera ha preso subito la piega giusta e gli ha permesso di collaborare e recitare in film di grande rilievo mediatico come Armageddon e Pearl Harbor entrambi di Michael Bay, che ti portano ad essere sotto i riflettori come attore quando hai già in tasca un oscar come sceneggiatore.
La sua prova del nove è stata la regia che dopo anni da attore già nel suo primo film da regista ha espresso tutto il suo talento, dirigendo il fratello in Gone Baby gone, scritto e diretto da lui, anche questo un ottimo film.
Naturalmente ciò che ama fare e recitare, infatti i film interpretati sono molti di più di quelli scritti e prodotti, o addirittura diretti, però a mio parere non è riuscito ancora a trovare il suo ruolo perfetto, quello da oscar, forse non lo troverò mai.
Penso che lui riesce a dare il meglio di se, in film scritti da lui o diretti da lui, in cui riesce a darsi un ruolo preciso e in cui si sente a suo agio.
Rimane comunque uno dei pochissimi attori che è riuscito davvero a spaziare un po’ ovunque in un film, uno dei pochi attori a trasmettere la passione per il cinema in diversi modi, scrivendo anche ottimi film o dirigendo film da oscar, per questo motivi penso che sia sottovalutato e penso che negli ultimi vent’anni sia stato davvero un pezzo pregiato di Hollywood, forse poco riconosciuto.