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Controcorrente Quattro Chiacchiere

AVATAR LA VIA DELL’ACQUA RIMETTE AL CENTRO DI TUTTO L’IMPORTANZA DELLE IMMAGINI?

QUATTRO CHIACCHIERE: Cos’è più importante nel cinema, l’aspetto visivo o i dialoghi? il nuovo capolavoro di James Cameron sembra darci una risposta.

Si sa il cinema è nato muto, quindi ovviamente le immagini hanno la loro importanza, anzi sono fondamentali, rispetto alle parole che il più delle volte risultano solo inutili e superflue. Il cinema è stato però anche fonte di monologhi meravigliosi, a volte estratti da libri, altri invece semplicemente scritti con maestria dai migliori sceneggiatori o da un autore particolarmente ispirato.

Il bello di questi due elementi non dipendono esattamente l’uno dall’altro, anzi quando uno prevale nettamente ci soddisfa senza troppo bisogno di qualcosa di più, il bello delle parole è che sono semplici, incisive, le immagini, pur se spettacolari, sono meno incisive, più difficili da ricordare con esattezza e necessitano di un immenso lavoro anche in post produzione.

Avatar riporta al centro di tutto l’aspetto visivo, come già fatto da Top Gun questa estate, lo fa in modo clamoroso e attrattivo, quasi a farci dimenticare che il cinema è fatto anche di parole. Un cinema che per avere successo deve essere immediato, dinamico e che non ha molto tempo per soffermarsi sulla profondità. Nonostante c’erano tematiche dense e possibilità di dialoghi importanti, James Cameron gli evita abilmente e punta tutto sulla qualità delle immagini e degli effetti visivi, creando forse il film più immersivo di sempre.

Le parole passano in secondo piano quando un film ha tanto da offrire a livello visivo, la mente è concentrata più sulle immagini che sulle parole. Nel caso di Avatar tutto questo è amplificato, tanto che in alcuni momenti di entrambi i film, non si ha nemmeno la percezione di cose è appena stato detto perché si è rapiti dalla bellezza delle immagini. Così le parole perdono potere e sarebbe quasi del tutto inutile scrivere monologhi di un certo livello.

Così i film diventano azione e non più dialogo, allontanandosi da quella capacità degli anni 90′ di fare film “teatrali”, dove bastavano due attori e un dialogo ben scritto per sostenere un intero film, con scene che vengono postate e replicate ancora oggi, mentre con la bellezza delle immagini che si perde nel tempo e non viene più ricordata. Il dialogo sa viaggiare nel tempo, essere il passato, il presente e il futuro, l’immagine invece rimane intrappolata nel presente con una bellezza che muta, cambia e migliora nel corso degli anni.

Lo stesso Avatar ha fatto passare 13 anni, per migliorarsi visivamente, per portare qualcosa di meglio, evidentemente più spettacolare. Mentre i dialoghi hanno sempre la stessa forza, bellezza e impatto se sono scritti bene. Va data profondità anche a livello umano e il regista insieme all’attore deve essere capace ad esprimerla. Intere serie e film basano la loro intera struttura sul dialogo, lasciando che le immagini siano solo il luogo dove tutto accade e dove si lasciano parole stupendamente incisive.

Questi film così visivi, ci riportano anche un po’ indietro al cinema muto, dove sono solo le immagini a parlare, una qualità video che a volte supera quasi la realtà. Interi mondi che vengono creati digitalmente con una maestria sempre più aggiornata e meravigliosa. Con effetti visivi da lasciarci a bocca aperta. A volte ci basta questo poter sognare con i nostri occhi, commuoverci anche senza aver per forza la necessità di avere un dialogo iconico e che rimarrà nella storia del cinema.

Pensando al cinema moderno la risposta rimane chiara e scontata, la cosa che conta di più in un film è sicuramente l’aspetto visivo, i nostri occhi sono abituati troppo bene ormai e la nostra mente non ha voglia di impegnarsi nella comprensione di dialoghi e parole troppo contorte.

Non solo Avatar ma anche altri film sono la dimostrazione concreta che le immagini sono la forza e il motore del cinema moderno, le uniche che possono regalare una differenza sostanziale tra la sala cinematografica e la nostra Tv di casa. L’importanza delle immagini è fondamentale, e poco importa se ormai le parole sono semplice sfumature in un film fatto di opere d’arte visive.

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Recensioni nel tempo di un caffè

THE WATCHER: L’OSSESSIONE DELLE MISTERO SENZA RISPOSTA

Recensione nel tempo di un caffè

The Watcher è una miniserie distribuita da Netflix nel 2022, I punti chiavi sono che la serie è ispirata a fatti realmente accaduti e che è scritta da Ryan Murphy e Ian Brennan che hanno cavalcato l’onda del successo della miniserie Dahmer per fa sì che anche questa serie avesse seguito.

Sembra proprio una mossa studiata a pennello, due serie scritte dagli stessi autori, entrambe tratte da una storia vera, una che ricalca quasi perfettamente la verità dei fatti, e The Watcher che invece ne prende solo spunto per creare qualcosa di davvero interessante. Questa serie non si può definire un horror, ma un thriller, con l’obiettivo di far immedesimare lo spettatore nelle sensazioni dei protagonisti.

Dei bravissimi Bobby Cannavale e Naomi Watts, interpretano moglie marito nel pieno di una svolta di vita, comprano la casa dei loro sogni, davvero bellissima nel New Jersey, fuori dalla caotica città. Westfield è una cittadina molto tranquilla, “la più sicura dello stato”, ma non appena iniziano a viverci succedono dei fatti davvero strani e talvolta inquietanti. Ricevono delle strane lettere minatorie, scritte da uno che si fa chiamare l’osservatore. I sospetti ricadono sui diversi vicini dell’abitazione, che sembrano davvero tutti molto strani e legati in qualche modo a quella casa, che è a tutti gli effetti un’ossessione per molti.

La serie gioca benissimo sul sospetto, sulle domande senza risposta e sull’inganno, lo spettatore si ritrova coinvolto in una storia molto particolare, dove tutti sembrano mentire e dove tutti potrebbero essere gli impostori. C’è ossessione e disperazione, l’ansia e il sospetto sono parte integrante di ogni scena ben scritta e ben girata. A tratti la trama rallenta un po’ troppo caricandoci un po’ di scene noiose che ci portano in direzioni che non ci piacciono, sempre più lontani dalla soluzione dei misteri.

Man mano che la serie va avanti, l’ossessione, la voglia di risposte e sempre tanta, tutto viene perfettamente apparecchiato per farci ritrovare tutti come la situazione della storia realmente accaduta, come nella serie e come quello spettatore che si ritrova a provare le stesse sensazioni dei protagonisti.

Nel complesso un’ottima serie, direi ben studiata e elaborata, sicuramente non banale forse un po’ in contrasto con i gusti moderni e che potrebbe deludere molti per i suoi ritmi e il suo finale. Lo spettatore potrebbe anche un po’ sentirsi preso in giro e in effetti questa serie si basa davvero poco su fatti reali, per poi viaggiare in modo molto azzeccato con la fantasia. Ottimo che Netflix abbia trovato due autori come Murphy e Brennan, altra miniserie di altissimo livello.