The Hunt è un film del 2020 diretto da Craig Zobel e scritto da Damon Lindelof (Lost) che n’è anche prodotto esecutivo insieme alla Blumhouse.
Questo film parla di ricchi e annoiati che in una così detta “Fattoria” portano delle persone per essere cacciate come animali. Prendono i fucili e sparano verso le ignare vittime che si ritrovano li inconsapevoli di ciò che sta accadendo. Il finale non manca di un colpo di scena abbastanza interessante, un plot point particolare che regala una nuova chiave alla trama del film.
Sinceramente, viste le premesse mi aspettavo qualcosa di meno ironico, ma il tratto distintivo della Blumhouse che solitamente mette insieme commedie e horror si vede ed è incisivo all’interno del film, con scene paradossali e un po’ troppo splatter e grottesche.
Questo però rende il film più leggero e ne toglie quasi ogni tipo d tensione, fin da subito intugliamo chi sarà la protagonista, ma difficile intuire quale sarà il finale. La trama è ben scritta, a tratti anche divertente con personaggi davvero molto particolari e molto folli.
C’è un vortice di follia fin dalle prime scene in cui ci ritroviamo su un aereo con dei ricchi viziati, c’è da subito violenza e una sorta di splatter forse eccessivo. La svolta finale rende il film meno banale di quello che sembra, ma l’ironia e la parte parodistica e grottesca rimane fino all’ultimo frame del film.
The Hunt è molto più banale e stupido di come si presenta, è il classico film molto trash che esagera ma che allo stesso tempo si fa vedere non annoia e una volta inquadrato e anche piacevole. Ovviamente non è un film che può superare la sufficienza, ma è un prodotto che sa quello che vuole, ordinato che una trama che nonostante qualche follia ha un senso e una logica e funziona bene.
Ho scelto questo film principalmente perché scritto da Lindelof, ma ho trovato davvero poco della sua traccia e del suo stile, se non nella dettagliata e quasi spirituale follia di alcuni personaggi.
You arriva dunque alla fine della sua quarta stagione, un finale che potrebbe chiudere definitivamente la serie o lasciare aperte infinite possibilità per la quinta stagione. La quarta stagione è stata divisa in due parti da cinque episodi ed effettivamente anche a livello di storia e dinamiche, questa stagione ha due fasi.
Un plot Twist nel bel mezzo della trama ci riporta su strade già percorse e insidiose che rischiano di rendere la serie un po’ troppo ripetitiva, la follia del suo protagonista si fa sempre più intensa, caotica e ciò rende un po’ gli ultimi episodi una strana agonia già vista e forse veramente troppo inverosimili. Il colpo di scena è sensazionale, ma allo stesso tempo un po’ troppo forzato, che prende in giro gli spettatori, bella l’idea di aver diviso in due la stagione, in modo da alzare il livello di suspense di una situazione sempre più tesa.
Il personaggio principale Joe Goldberg, interpretato da Penn Badgley che fa da regista anche all’ultimo episodio, è sempre di più un personaggio contorto, completamente distaccato dalla realtà come il mondo che lo circonda, le troppe morti e cadaveri infiniti nel corso delle diverse stagioni, allontanano lo spettatore dalla realtà, redendo l’opera veramente surreale. Il gioco è bello quando dura poco e YOU sta trascinando la cosa forse troppo per le lunghe. La prima parte aveva dei grandissimi pregi, la seconda, nonostante un colpo di scena davvero d’effetto, si va ad arenare in scelte davvero assurde, tanto da far diventare Joe fin troppo fortunato e sempre circondato da persone più folli di lui.
Nel complesso però, forse è una delle migliori stagioni dopo la prima, perché sia a livello di ambientazione che di personaggi ha un certo spessore, la storia che racconta e interessante anche se assurda, ma le sfumature cambiano e ci ritroviamo ad osservare la follia omicida di quello che ormai è un serial killer. Perde un po’ lo stile da stalker, l’ossessione e si trasforma più in una pura follia, spaccando in due il mondo del protagonista, tra una lezione di letteratura e una gola tagliata.
Una serie che con questo stile, sinceramente può andare avanti quanto vuole, ma che forse troverebbe una sua pace in una quinta stagione come stagione finale, con la doppia vita di Joe Goldberg che prosegue e con i suoi vizi che non si possono sopprimere e con un finale che anche se sarà scontato, sarà quello giusto.
Il secondo episodio della serie The Last of Us, dopo il grande successo del primo, mantiene lo stesso livello e ci si accorge ancor di più quanto questa serie sia molto fedele al videogioco. Non mi è mai capitato di vedere un live action così simile al videogioco da cui è tratto, alcune scene davvero identiche e il percorso fatto fin qui dai personaggi e le loro battute sono simili a quelle presenti nel videogioco.
La domanda che ci si pone a questo punto è perché non aver fatto un casting per prendere attori il più possibile simili a quelli presenti nel videogioco? Non lo sapremo mai con certezza, forse servivano prima di tutto attori di alto livello. Ogni scena del secondo episodio ricorda moltissimo un videogioco, ma non solo The Last Of Us nello specifico, ma tutti i videogiochi in terza persona, sia nelle inquadrature che nei movimenti. L’attesa che uno dei personaggi faccia il giro per aprire una semplice porta è molto emblematica e caratteristica del mondo videoludico.
Secondo episodio sempre molto bello, la storia di Neil Druckman che qui e anche regista, era cosi perfetta che non ha bisogno di tante modifiche, ti prende subito, ti incuriosisce e funziona. Anche chi non ha mai visto il videogioco si ritrova subito preso da questa situazione post apocalittica, ed è pronto a scoprire gli orrori di questo nuovo mondo. Questa copia carbone finisce per soddisfare tutti, i fan del gioco, e i neofiti di questa storia.
Per il mio gusto personale, delle volte, soprattutto in questo secondo episodio, il lato videogioco e davvero fin troppo esagerato e amplificato, perdendo un po’ il fascino cinematografico e il realismo di tutto ciò che stiamo vedendo. Certe scene si perdono in percorsi che visivamente non mi fanno impazzire, forse un po’ troppo finti e scelte, come quelle della porta, che non hanno molto senso, troppo veramente da giochi di ruolo. A livello di regia questo episodio non mi ha conquistato, mi aspettavo qualche piano sequenza sorprendente ma nulla, emozionante però lo scontro con gli infetti e il modo in cui sono fatti è davvero sensazionale. Lo spunto horror è davvero interessante ed effettivamente non c’è nulla di simile a livello di serie Tv, nonostante ci siano già molti prodotti di questo tipo, The Last of Us riesce ad essere unico.
Questo secondo episodio da una direzione precisa, e ha un bel colpo di scena, un plot twist inaspettato, che indirizza la storia in una determinata direzione. Un episodio molto da videogioco, che potrebbe rendere questa serie precursore di molti altri prodotti di questo genere, girati così, perfettamente fedeli al videogioco da cui sono tratti.
Stanco delle scelte sbagliate che ultimamente mi capita di fare sui vari cataloghi delle piattaforme streaming, decido di andare un po’ indietro nel tempo a colpo sicuro e mi guardo un film che purtroppo non avevo mai avuto occasione di vedere, ma di cui avevo sentito parlare.
Il Caso Thomas Crawford è un film del 2007 diretto da Gregory Hoblit e scritto magistralmente da Daniel Payne, un thriller giallo che crea da subito curiosità con una semplice log line di poche righe. Un ingegnere scopre che la moglie lo tradisce, quindi al uccide, al processo decide di difendersi da solo, sembra tutto semplice e chiaro, ma le cose non andranno cosi e non saranno così facili.
Il personaggio di Anthony Hopkins è un ricco ingegnere aeronautico, un uomo che trasmette da subito una spiccata intelligenza e pianificazione, il suo personaggio è tosto, perfettamente sicuro di sé, vendicativo e cinico verso la propria moglie. Thomas Crawford uccide la moglie, ma l’arma del delitto è sparita, non si sa dove sia, ci sono i bossoli, c’è la pistola, ma quella pistola non ha mai sparato. Senza arma del delitto non può essere incastrato e accusato.
L’avvocato Willy Beachum è giovane, spigliato ed è uno dei migliori del suo settore, è un avvocato che lavora per lo stato, quindi un procuratore distrettuale, accetta il caso Crawford perché si aspetta di fare in fretta e passare poi ad un’agenzia più grande e privata con uno stipendio molto più alto. Ryan Gosling rende il giusto tono al suo personaggio, che ha difetti di essere troppo sicuro di sé, ma che allo stesso tempo non molla mai e vuole sempre vincere, è un vincente.
I dialoghi sono molto importanti, ben scritti e mai banali, il confronto tra i due protagonisti è affascinante, magnetico e davvero ben fatto, tutta la storia convince e a fine film ti soddisfa completamente con un ottimo plot point e rivelazione.
Un bel film sotto molto punti di vista, si perde forse un po’ su alcune sottotrame, ma per il resto mantiene un livello alto dall’inizio alla fine, con qualche colpo di scena davvero ben pensato, qualcosa di abbastanza unico e con un livello di recitazione molto alto che aiuta a rendere il tutto molto credibile.
Un film che ci mostra anche alla fragilità di certe leggi, “contro ogni ragionevole dubbio” delle volte mette in crisi il sistema e anche se una persona confessa, non si ha praticamente la possibilità di accusarla e arrestarla se non si trova l’arma del delitto.
Davvero un bel film che consiglio a tutti quelli che magari come me, fino a ieri, non l’hanno ancora visto.
The Voyeurs è un film del 2022 scritto e diretto da Micheal Mohan e distribuito da Prime Video. Il film si presenta come un thriller erotico, in cui una coppia di ragazzi si ritrova a spiare la vita sessuale dei propri vicini, questo però porterà a rivedere il loro rapporto di coppia e le loro priorità e tutta si trasformerà in un gioco pericoloso.
Il film gioca spesso e in modo equilibrato con l’erotismo, stuzzicando la fantasia dello spettatore, nonostante la situazione è abbastanza assurda e paradossale, non ci appare poi così irreale e tratta con semplicità ed erotismo, l’argomento della curiosità umana. Il film ci mostra come delle volte siamo più presi ed interessati dalle vite degli altri più che dalla nostra.
Un film nel complesso abbastanza banale, gioca molto bene con gli elementi che ha a disposizione, ma nulla di più, una recitazione abbastanza piatta, ma una trama che sa sorprendere soprattutto nel suo finale, molto più complicato e articolato di quello che ci si aspetta a inizio film.
Proprio come i due protagonisti anche lo spettatore viene distratto dall’erotismo di certe situazioni e si dimentica di notare i dettagli e ripensare alla basa assurda di tutta questa situazione, con queste gigantesche finestre che si affacciano l’una sull’altra senza alcun filtro o tenda che possa impedire le coppie di spiarsi nel proprio privato.
The Voyeurs è un film che appare banale, ma che sa sorprendere, ha dei grossi difetti nei dialoghi e nella caratterizzazione dei personaggi, ma la storia in sé sa catturare e nel complesso risulta essere un film piacevole e con un ottimo plot twist nel finale che da un giusto tocco thriller a tutta la trama. Nel complesso quindi un buon thriller erotico, con il giusto equilibrio e le giuste scene messe al punto giusto, la trama di guida nella giusta direzione e ti fa volere ciò che poi accade, questo è un grande pregio.
Il film tratta in sé l’argomento Voyeur con le pinze, ne parla poco, ma rende la trama molto realistica e paradossalmente a tratti molto verosimile. Un film che poteva dare ancora di più e che ogni tanto si perde un po’ in scene un po’ troppo assurde, il finale è bello ma si stacca un po’ dal realismo del resto del film.
L’uomo delle castagne (Kastanjemanden) è una serie tv Danese tratta dall’ononimo romanzo di Søren Sveistrup. La storia segue le vicende di due detective di Copenaghen impegnati nella ricerca di un serial killer che lascia sempre una firma sul luogo del delitto, un omino fatto con le castagne.
Questa serie tv fa fare un passo avanti alle produzioni danesi, rispetto a The Rain, migliora moltissimo sia nell’aspetto visivo che in quello della recitazione. La fotografia è davvero di altissimo livello giocando alla perfezione con i colori dell’autunno. Un serie tv di ottimo livello sotto molti aspetti che prende spunto dai classici gialli scandinavi ma che allo stesso tempo strizza l’occhio alle serie tv britanniche.
Un sceneggiatura ben congeniata, con forse qualche passaggio non necessario. Personaggi ben caratterizzati e un colpo di scena finale parecchio inaspettato, ma forze un po’ troppo studiato, come se fosse fatto esclusivamente per sorprendere lo spettatore. Mi è piaciuto come colpo di scena, ma avrei preferito qualcosa di più realistico. Molti cliché all’interno della sceneggiatura, rendono comunque la serie più familiare e piacevole.
Mi è piaciuta molto la recitazione dei due protagonisti Danica Curcic e Mikkel Boe Følsgaard che interpretano i detective Nadia Thulin e Mark Hess. Però non ho trovato altrettanto affascinante la caratterizzazione dei loro personaggi, forse poco coinvolgenti.
L’uomo delle castagne ha tutte le caratteristiche per essere un ottima serie tv su un serial killer, c’è la giusta tensione, il giusto mistero e qualche colpo di scena che ci regala le giuste emozioni. Il soggetto è davvero geniale, infatti tutta la sceneggiatura poggia su un buon punto di partenza. Nel complesso una serie che promuovo a pieni voti, niente di clamoroso ma comunque un bellissimo prodotto di questo genere, brava Danimarca!
Sweet girl è un film del 2021 diretto da Brian Mendoza e distribuito da Netflix, con protagonisti Jason Momoa e Isabela Merced. I due sono padre e figlia in un film che parla di vendetta e amore per la famiglia, dove è sottolineata l’importanza del rapporto tra padre e figlia. La trama è completa non ha grossi vuoti e si capisce dall’inizio alla fine ciò che succede, i dialoghi hanno degli alti bassi e a volte pur cercando di colpire l’attenzione non ci riescono e risultano un po’ banali. L’inizio è molto inteso, la situazione è molto drammatica, con la mamma e moglie dei protagonisti che muore di cancro. Inizia così una ricerca disperata della verità, perchè sembra che il farmaco salvavita sia stato bloccato dalle lobby farmaceutiche e dalla politica. Raymond Cooper (Jason Momoa) non si ferma davanti a nulla e addirittura uccide pur di vendicare la moglie morta e far venire a galla la verità. L’ottimo plot twist verso il finale rende tutto più bella, e da decisamente un tocco in più a tutta la storia.
Un film che non ha grandi pretese, ma che nel complesso è fatto davvero bene, a fine film sei soddisfatto di ciò che hai visto e a memoria non ci sono grandi errori, la regia è buona anche se un po’ confusionaria nelle scene di azione. Gli attori non mi hanno convinto subito, ma poco a poco si può dire che entrambe le interpretazioni sono di buon livello. Nulla di spettacolare a livello visivo, ma il film riesce a stupire in modo abbastanza inaspettato con qualche piccolo colpo di scena, in generale però una trama che non convince del tutto per le proprie dinamiche che appaiono un po’ forzate e troppo distaccate dalla realtà.
Il rapporto padre e figlia è forte e si vede, il film si “appoggia” su questo argomento, mettendo un linea di confine quasi sottile, con una frase emblematica “Genitore e figlio, dove finisce uno e inizia l’altro?”. Con questa frase c’è un po’ tutta l’essenza del film, il fatto che arriva un punto della vita dove forse è il figlio a doversi prendere cura dei propri genitori, quando sei allo stesso tempo genitore e figlio, quando la famiglia è al centro di tutto. I ricordi si mischiano e inizi a chiederti se quelli saranno i tuoi ricordi o quello di tua figlia/o. Sono linee sottili che diamo per scontato eppure non sempre è così, delle volte i nostri figli sono delle copie di noi stessi, stesso carattere e atteggiamento, delle volte li sentiamo tremendamente lontani. Sweet girl cerca in qualche modo, in mezzo a moltissimo azione, di mostrare che a volte il rapporto tra padre e figlia è talmente forse da andare oltre a qualsiasi cosa, talmente uniti da sembrare la stessa persona.
La donna alla finestra è un thriller psicologico diretto da Joe Wright e presente nel catalogo Netflix, il film è tratto da un romanzo di successo di A.J. Finn. La trama è apparentemente semplice, infatti una donna (Amy Adams) assiste ad un omicidio nella casa di fronte alla sua, questa vicenda però non fa altro che complicare la sua salute mentale, non sapendo più distinguere la realtà.
Il film ci espone subito la precarietà della salute mentale della protagonista con una grossa dose di psicofarmaci che lei ingerisce con facilità e con l’immancabile bicchiere di vino, simbolo di verità ed elemento costante all’interno del film. L’agorafobia non permette a questo donna di avere la forza e il coraggio di uscire di casa, una fobia complessa e più diffusa di quanto si pensi che rende la protagonista un attenta osservatrice del quartiere, con le finestre come unico sbocco sul mondo reale. Ho trovato alcune scelte della regia molto azzeccate anche se a volte un po’ confusionarie, il film non è semplice da seguire e a volte annoia quasi per la troppa pesantezza di certe situazioni psicologiche, che sono la forza e la debolezza di questo film. Amy Adams è sempre sul pezzo, a tratti davvero molto convincente e realistica, anche Julien Moore anche se appare per poco, è molto ben delineata e con caratteristiche ben precise.
Mi è piaciuto molto il fatto che a un certo punto del film non si capisce più cosa sia reale o meno, ciò ci fa immergere meglio nella situazione e ci fa mettere nei panni della protagonista, bella anche la tensione che si crea man mano che il film volge al termine. Anche se il finale l’ho trovato un po’ troppo classico e al miele, forse troppo distaccato dal resto del film. Peccato che Gary Oldman sia stato utilizzato così poco, praticamente assente e molto simile a James Woods esteticamente parlando.
Molto convincente la prova attoriale del giovane Fred Hechinger in un ruolo non semplice e fatto di sfumature difficile da interpretare, perchè condizionate dalla salute precaria del giovane che fin da subito sembra avere attimi di follia e di instabilità mentale, forse dovuti ad abusi subiti in famiglia.
Un Thriller psicologico di ottimo livello che riesce fin da subito ad essere coinvolgente e facile da apprezzare, un po’ pesante in alcune sue dinamiche e forse poco credibile in alcuni aspetti della trama, che si deve adattare per il plot point finale, un colpo di scena che si fa aiutare troppo dalla “finzione” o forzatura non è mai un ottimo colpo di scena, anche se resta comunque efficace. Consiglio questo film perchè è fatto davvero bene, scritto bene e diretto altrettanto bene, niente di esageratamente bello, ma riesci comunque ad essere un film di ottimo livello.
Uno degli episodi pilota meglio usciti, quasi perfetto con un sacco di punti di forza, il mio punto di vista 17 anni dopo
Era il 2004, 17 anni fa, il tempo passa davvero veloce e te ne rendi conto quando ti metti a fare cose del genere, riguardare una serie, un episodio soprattutto che riguarda molto la tua infanzia, che riguarda la tua adolescenza e a cui sei legato particolarmente per diversi motivi.
17 anni fa usciva su Rai due il primo episodio di una serie che avrebbe fatto la storia, un’icona e un emblema del modo di fare serie tv, quella che hai tempi era acclamata come una meravigliosa novità, ricordo ancora che pur essendo un bambino ero affascinato dalla spot che trasmettevano alla tv.
Poi che dire, come già ho detto nella recensione (che trovate nel sito) questa serie l’ho vista tutta in tv, due o tre episodi a settimana, e una stagione all’anno, un impresa di cui ne vado ancora fiero, peccato che essendo ancora bambino e poi ragazzino, non potevo dialogare molto sulla serie con gli amici, non c’era ancora la mania da serie tv.
Avevo un ricordo nitido di questa serie, mi ricordo tutti i nomi dei personaggi principali e le loro caratteristiche e mi ricordavo che l’episodio pilota, (diviso in due parti) era una delle cose meglio riuscite che io abbia mai visto.
Lost può essere considerata droga? me lo chiedo spesso perchè ha una capacità di creare suspense e curiosità che ancora non ho visto in nessuna serie tv a questi livelli, si lo so, il finale non piace, dalla stagione tre diventa tutto più stupido e debole, ma quanto è bello il primo episodio?
Essendo passati 17 anni, di acqua sotto i ponti n’è passato molta, io ho studiato e sono cresciuta e ho una conoscenza del settore molto più ampia di quella di un tempo, quindi ho potuto analizzare l’episodio pilota con più cura e attenzione.
L’episodio pilota di Lost ci crea da subito un po’ di curiosità, perchè capiamo fin da subito che una aereo è precipitato su un isola deserta e ci sono dei sopravvissuti, intuiamo fin da subito che è un miracolo che nessuno abbia praticamente un graffio, nonostante non ci sia traccia ne della coda, ne della cabina del pilota.
C’è confusione e paura, iniziamo a conoscere i personaggi, di cui scopriamo subito il nome, perchè si devono per forza presentarsi tra di loro, e intuiamo subito quali potrebbero essere i protagonisti, si crea un perfetto mix tra ansia e curiosità, con anche un buon ritmo. Jack il chirurgo, il dottore diventa subito un punto di riferimento per il gruppo che comunque riporta qualche ferita e ha bisogno di un leader e di qualcuno che possa prendersi cura di loro. La situazione è abbastanza normale non vediamo nulla di strano o troppo anomalo se non la dinamica dell’incidente che di per se è un mistero. Ovviamente tutti sono convinti che saranno salvati da li a poco, perchè l’aereo ha la scatola nera e non può sparire nel nulla.
Il Primo colpo di scena si verifica nella notte, con uno strano suono nella giungla alle spalle della spiaggia, una specie di sirena, di suono artificiale misto ad un urlo animale che muove le piante come fosse gigantesco. Non vediamo nulla, ma la curiosità schizza a mille, da quel punto li capiamo che Lost non è un semplice survivor.
Questo episodio ha la capacità di esporci bene i personaggi e di crearci un senso di curiosità insaziabile, vogliamo sapere tutto e subito e non ci diamo pace, iconico il sorriso di Locke con l’arancia in bocca che ci mette quasi ansia e dubbi, Perchè sorridere quando ti sei appena schiantato con un aereo? forse vede il lato positivo?
Riuscire a mettere un immagine così iconica già nell’episodio pilota penso sia qualcosa di grandioso che ne riassume anche lo stato d’animo di tutti, un misto di felicità e disperazione, sono fortunati ad essere sopravvissuti o sono sfortunati per l’aereo è precipitato? una continua contrapposizione tra opposti, tra bene e male, tra felicità e tristezza, tra vita e morte.
L’episodio pilota non solo ci espone con cura e abilità i personaggi, ma ci indirizza nella direzione giusta per seguire la serie che rimane comunque molto complessa e piena di situazioni, misteri e domande a cui dovremo trovarci forse, da soli una risposta. La seconda parte dell’episodio pilota è una crescita di misteri, crea una sorta di curiosità morbosa difficile da saziare e soddisfare. I protagonisti sono alla ricerca della cabina, la trovano, il pilota è vivo e gli avvisa che sarà difficile trovarli perchè erano fuori rotta di mille miglia al momento dello schianto, devo lanciare un messaggio radio, all’improvviso il pilota viene preso da qualcosa di misterioso e sbattuto per aria, lo ritroveranno appeso sopra un albero privo di vita e pieno di sangue, come se fosse passato di li un T-Rex, mi ha ricordato un po’ Jurassic Park e Predator quella scena, altri pezzi della mia infanzia. Poi come se non bastasse, altri del gruppo uccidono un orso polare, il problema è che sono in un isola tropicale, altro mistero altra curiosità altro hype, per poi concludersi con un Cliffhanger davvero potente e bello, i protagonisti intercettano un segnale radio che proviene dall’isola è registrato in francese, è una donna che parla, dice di essere sola e che sono morti tutti, quel segnale viene trasmesso da 16 anni.
In quel momento vuoi sapere tutto, hai mille domande, e curiosità e ti chiedi davvero cosa sia quell’isola, devi sapere, torni un bambino pieno di curiosità, in qualche modo vuoi capire e conoscere tutto e hai già capito che ti guarderai tutta la serie.
Io ci sono ricascato, ho guardato il primo episodio per scrivere questo articolo, ma un po’ per affetto e per curiosità, non ho potuto far a meno di continuare a guardare la serie per la seconda volta nella mia vita, per vederlo con occhi diversi, più coscienti e meno curiosità, chissà che rivisto adesso il finale mi piacerà.
La Ballata di Buster Scruggs è un film a episodi del 2018, scritto e diretto dai fratelli Coen.
Devo ammettere che raramente ho visto un film ad episodi, quindi per me era un po’ una cosa nuova, un esperienza un po’ difficile da valutare ma che va comunque analizzato come un unico film.
In queste storie ci sono tute le caratteristiche dei fratelli Coen, con la loro splendida regia, lo stile con una sottile ironia che sfocia in immediati e improvvisi atti di violenza, la sorpresa e la crudeltà del vecchio west sono il centro focale del film.
In questo film c’è tutta la magia dei western moderni con una fotografia davvero spettacolare, in alcuni momenti ipnotica sfruttando al meglio la bellezza del paesaggio.
Il ritmo forse è un po’ troppo lento, anche se idoneo al genere, alcune storie ti conquistano, altre giustamente ti lasciano un po’ l’amaro in bocca come se mancasse qualcosa, alcune sono più immediate e facili da capire, altre sono più misteriose e contorte.
Bello come ogni episodio, della durata di circa 15/20 minuti l’uno, vada a toccare diversi sentimenti e significati, ogni episodio ha il suo scopo narrativo e si passa da lunghe parole e monologhi a scene di pace e lavoro.
La trama gioca spesso sulla bellezza del colpo di scena, sulle trame che creano una sorta di tensione e di agonia e speranza verso un lieto fine che spesso non arriva, il west era un posto difficile che non lasciva spazio alla felicità.
Nel complesso però, a parte qualche cosa davvero carina, non mi a colpito del tutto, anzi mi sono spesso distratto e a volte se l’episodio trattato non convinceva finivo per annoiarmi e volerne la fine al più presto.
Film super adatto per chi ama lo stile inconfondibile e sempre di ottimo livello dei fratelli Coen.