Categorie
Recensioni nel tempo di un caffè

OPERATION FORTUNE: AZIONE E DIVERTIMENTO

Recensione nel tempo di un caffè

Operation Fortune è un film del 2023 diretto da Guy Ritchie con protagonisti Jason Statham, Audrey Plaza, Hugh Grant e Josh Hartnett. Un film d’azione in pieno stile del suo regista, tra spionaggio, armi e missioni segrete.

Operation Fortune segue le vicende di alcuni agenti segreti Inglesi che devono fermare il commercio di una misteriosa arma segreta, non conoscono il contenuto, ma ben presto conoscono che si occupa dell’affare e per completare la missione, assumono una star di Hollywood per intrepretare sé stesso.

Come sempre Guy Ritchie scrive degli ottimi personaggi, con caratteri specifici che tengono un po’ in piedi tutta la storia, spesso i “cattivi” sono molto espansivi e particolari e Hugh Grant si trova a perfezione in questo ruolo, con una interpretazione davvero di ottimo livello. Statham è sempre lo stesso, ma non c’è personaggio migliore per questo genere di film. Un film che ricorda molto il passato del suo regista, con spezzoni e pellicole già viste, forse uno dei suoi difetti, è proprio la similitudine.

Questo film ha un ritmo elevato e una bella ironia, non annoia mai e la storia pur se piena di cliché dele genere, riesce ad avere un finale un po’ diverso dal solito, ovviamente i protagonisti sono molto abili e praticamente imbattibili e non hanno molti problemi a concludere la missione. Nonostante ci sia un po’ di violenza è molto mitigata dall’ironia presente nel film. Le location sono affascinanti e il finale ha un certo livello anche nei propri dialoghi con una scena molto scenografica e iconica.

Una regia, più pulita e meno artistica del solito e con delle musiche meno incisive rispetto alle sue precedenti pellicole, però anche in questo caso Ritchie non sbaglia il colpo e regala un prodotto davvero molto piacevole, moderno e adatto un po’ a tutti. Lasciandoci senza impegno, con ottimi personaggi e con anche qualche risata che non guasta mai.

Operation fortune è un film piacevolmente riuscito, io sono un po’ di parte perché apprezzo molto questo regista e autore, però è davvero un buon film. Ovvio niente di eccezionale o da oscar sia chiaro, ma nel panorama dei prodotti in streaming si difende davvero bene.

Categorie
Recensioni nel tempo di un caffè

NEL NOME DEL CIELO: RECENSIONE MINISERIE, LOTTA TRA FEDE E GIUSTIZIA

Recensione nel tempo di un caffè

In nome del cielo è una miniserie creata da Dustin Lance Black e basata sul romanzo Under the banner of Heaven: a story of violent faith di Jon Krakauer.

La serie con protagonista Andrew Garfield vede un giovane detective mormone che deve indagare su un violento caso di omicidio, di una donna e di sua figlia, all’interno della comunità religiosa. Fin da subito dovrà confrontarsi con la propria fede che sembra proprio essere al centro di questo caso.

La serie riesce a trattare in modo molto inciso un forte confronto tra fede, fanatismo religioso e giustizia con il protagonista detective che si ritrova in mezzo ad una situazione che fa dubitare il suo credo e vacillare la sua fede. Il lato oscuro della religione, del fanatismo e della sete di potere e di controllo che essa può portare. La serie non si ferma sulla superficie ma ci mostra a fondo la comunità Mormone nelle vicinanze di Salt Lake city, un’indagine che rivela l’aspetto negativo e da setta che può portare la troppa fede.

La presenza di un co-protagonista detective più esperto e di origini Indiane d’America, rende il contrasto ancora più duro e forte con una religione che non accetta estranei e li tratta con un tatto differente, ovviamente è tutto estremizzato, ma è tratto da una storia vera che testimonia quanto la fede si possa trasformare in violenza se usata come strumento di potere e di controllo.

Sicuramente è ben recitata, Andrew Garfield rimane ancora un attore fin troppo sottovalutato anche se sempre di grandissimo talento, difficilmente i dialoghi sono banali, anzi sono una profonda riflessione su una religione e sulla fede, uno sguardo profondo, verso la caratteristica dell’uomo della necessità di avere una bussola e di come essa possa perdere facilmente la direzione.

Un serie che ha fatto discutere perché rappresentazione cruda e fin troppo cinica di una comunità religiosa abbastanza importante in America, però una serie fatta bene, con i giusti toni e con i dialoghi che sono centro importante dell’evolversi della storia con una fotografia che migliora episodio dopo episodio.

Quando una serie o un film trasmettono curiosità, voglia di ricerca, voglia di leggere e di saperne di più, voglia di raccontarle, vuol dire che hanno fatto davvero un buon lavoro. In nome del cielo è così, è incisiva, crea curiosità e ti fa andare oltre alla semplice visione della serie stessa.

Categorie
Recensioni nel tempo di un caffè

AMSTERDAM: GRANDE CAST MA POCA SOSTANZA.

Recensione nel tempo di un caffè

Amsterdam è un film del 2022 scritto e diretto da David O. Russell che sta diventando uno dei quei personaggi da cinema che azzecca un colpo per poi sbagliarne molti. Ottimi prodotti sempre a livello stilistico, ma che si perdono spesso in trame complicate e che non trasmettono quasi nulla.

Amsterdam è uno dei quei film indubbiamente ben fatti, la fotografia di Lubezki è sempre magistrale e il cast corale è di altissimo livello e comprende diversi attori di successo come Christian Bale, Margot Robbie, John David Washington, Robert de Niro, Michael Shannon, Taylor Swift, Zoe Saldana, Rami Maleck, Anya Taylor-Joy, Mike Meyers, Chris Rock e tanti altri.

La storia parla di tre vecchi amici della grande guerra che vengono incastrati in un caso di omicidio e che allo stesso tempo devono indagare cosa c’è dietro ad esso, giochi di potere e complotti inerenti ai movimenti estremisti provenienti dall’Europa di quegli anni. Il tutto alleggerito da uno stile commedia che si percepisce per tutto il film, con a tratti uno stile che ricorda quasi quello di Adam Mckay ma con una fotografia che ne è la piena protagonista. Un film che nel suo complesso funziona per la qualità della recitazione, i suoi personaggi e le inquadrature, ma che si perde molto e fin troppo nella sua trama contorta e poco emozionante e priva di stimoli.

Russell si perde in una commedia che non colpisce nel suo umorismo e che con tutte le sue star, crea una certa confusione, il film è ben diretto, ma la storia non sembra una storia di cui valga la pena parlare e soprattutto in quel modo. Quindi un film che rimane sulla sufficienza e che dopo averlo visto svanisce in fretta dalla propria mente, forse è questo il suo più grande difetto, che non rimane impresso e risulta quasi noioso e che non cattura l’attenzione.

Non è sicuramente una pellicola da buttar via, anzi, ha diversi aspetti positivi, il problema è che rimane un film che non si sa se vale la pena consigliare a qualcuno, un film che rimane un po’ una via di mezzo e che non riesce ad esprimersi del tutto, rimanendo nel limbo di quei film senza capo né coda, piacevoli per la qualità degli attori e magari della fotografia, ma che si fermano lì e non vanno oltre.

Categorie
Recensioni nel tempo di un caffè

JOJO RABBIT: UNA COMMEDIA IRREVERENTE SU UN MOMENTO BUIO DELLA STORIA

Recensione nel tempo di un caffè

Jojo Rabbit è un film del 2019 scritto e diretto da Taika Waititi, liberamente tratto dal romanzo “il cielo in gabbia” di Christine Leunes. Il film è una particolare commedia sul nazismo, un visone parodistica e satirica della Germania verso la fine della seconda guerra mondiale.

Jojo Rabbit si sofferma in modo irriverente su un aspetto poco raccontato del nazismo, ma presente in diversi video storici, cioè i bambini tedeschi formati fin da piccoli a diventare dei soldati e discepoli veneratori del loro eroe Adolf Hitler. Il protagonista Jojo (Roman Griffin Davis) è un bambino tedesco, fanatico del nazismo e soprattutto dello stesso Hitler che lo vede anche come suo amico immaginario, interpretato dallo stesso Waititi. La storia ha molta leggerezza intorno a sé, una ironia che stride un po’ con il contesto in cui si trova, ma che cerca di sdrammatizzare, rendendo il tutto una visione parodistica di un bambino.

Jojo rappresenta un folle fanatismo e un’espressione di una società fanatica e vicina al proprio fallimento, il film fa riflettere in diversi dei suoi aspetti, dal confronto con il bambino nazista e la bambina ebrea, alla delicatezza di un madre che nasconde dei segreti molto grandi, alla follia ideologica di quel periodo storico e alle sue conseguenze. In questo caso questo film si può definire un po’ “ruffiano“, tanto che nel finale sembra cambiare un po’ direzione, perdere un po’ della sua ironia, per dedicarsi a scene dal significato più violento e intenso.

Forse il punto centrale di questo film, e che quello che vediamo, per quanto assurdo e irreverente sia, ha un grande fondo di verità, con molti personaggi che rappresentano l’opposto di ciò che si doveva essere in quei tempi e con la guerra che aveva creato un certo livello di follia in molte persone. Scarlett Johanson interpreta la madre del protagonista, una donna forte, anche divertente e sorridente, ma con un altissimo livello di malinconia e tristezza che si percepisce per tutto il film.

Jojo Rabbit riesce in qualche modo a porsi come una novità di una storia già raccontata in mille versioni ed è forte uno dei film più satirici e ironici mai fatti su questo argomento, non avendo quasi mai la percezione di trovarsi in una vera guerra e con l’innocenza dei pensieri di un bambino a farne da padrone. Come se la sua mente stesse sdrammatizzando tutto ciò che lo circonda, come se si proteggesse da tutto grazie alla sua leggerezza.

Questo film riesce in qualche modo ad essere un altro esempio del potere del cinema, del suo potenziale e della possibilità di trattare diversi argomenti e storie in modi diversi e sempre originali, mettere ironia e far riflettere con essa ad esempio. Un film che funziona nel suo stile, un po’ confusionario, ruffiano, ma che offre sicuramente un ennesimo spunto interessante su un momento davvero buio della storia.

Categorie
Recensioni nel tempo di un caffè

WILL HUNTING – GENIO RIBELLE: L’ESPRESSIONE CINEMATOGRAFICA DELLA PAROLA

Recensione nel tempo di caffè

Will Hunting – Genio Ribelle, in inglese Good Will Hunting è un film di cui ho già parlato in un piccolo elogio, alla bellezza delle parole nel cinema e dell’importanza dei dialoghi in esso. Una perla di insegnamento di sceneggiatura più di un libro di McKee o Syd Field. (Articolo qui)

Will Hunting è un film del 1997 diretto da Gus Van Sant e scritto da due attori ormai famosi come Matt Damon e Ben Affleck, con una sceneggiatura che gli è valsa un Oscar agli esordi della loro carriera.

Il film parla di Will un ragazzo prodigio, con una memoria e una capacità matematica assurde e impareggiabili, un dono che non sta sfruttando, perché arriva dalla parte povera di Boston e perché all’università è solo uno spazzino alla MIT. Viene scoperto il suo talento, ma un famoso matematico non riesce a controllare il carattere ribelle del giovane Will e che quindi richiede l’aiuto di un suo vecchio amico e insegnate di psicologia.

Il film è sorretto da splendidi dialoghi e il confronto tra il genio ribelle di Will, interpretato da Matt Damon e un ormai triste e ferito professore di psicologia con grande talento per i rapporti umani, interpretato da uno strepitoso Robin Williams. Il resto funziona come uno splendido contorno dove ci vengono mostrati diversi aspetti della vita di Will, tra cui un amore intenso appena sbocciato ma che rischia già di finire. A poco a poco il film prende una forma attuale, passano gli anni ma i dialoghi sono applicabili al giorno d’oggi, forse ancora più di allora. La paura del futuro, della perdita, e il confronto costante con il proprio passato. Un amore visto in modo poetico, essenziale e davvero unico. Questo film ha davvero la capacità di conquistarti con le parole e ci mostra un piccolo spezzone di vita, di scelte e di bivi in cui spesso ci dobbiamo confrontare.

Un film che è come una nuvola soffice in cui ci possiamo rilassare, studiare a fondo e capire qualcosa in più sulle infinite sfumature della nostra vita. Non è solo il confronto tra i due personaggi o il talento matematico sprecato, ma è una vera e propria figurina del nostro mondo, di quando si è giovani sognatori impauriti, quando il nemico numero uno siamo noi stessi, le nostre scelte e il voler essere ribelli, ma non con il mondo, quando con la nostra vera essenza. Will fugge dal proprio talento, ma allo stesso tempo lo rincorre, fugge dall’amore, ma allo stesso tempo non desidera altro. Una stretta mortale in cui ci incanala la società che ci circonda, ma noi dobbiamo assaporare la vita in ogni suo attimo, “sentire l’odore della capella Sistina e non solo sapere chi è Michelangelo“. Il concetto è vivere, dare il meglio di sé stessi, offrire non al mondo ma proprio a noi stessi la nostra parte migliore.

Una piccola perla di Cinema, che merita di essere vista e rivista e anche ascoltata. Un Robin Williams che non bisogna mai smettere di elogiare, per le sue interpretazioni pure, vere e bellissime.

Categorie
Controcorrente Quattro Chiacchiere

AVATAR LA VIA DELL’ACQUA RIMETTE AL CENTRO DI TUTTO L’IMPORTANZA DELLE IMMAGINI?

QUATTRO CHIACCHIERE: Cos’è più importante nel cinema, l’aspetto visivo o i dialoghi? il nuovo capolavoro di James Cameron sembra darci una risposta.

Si sa il cinema è nato muto, quindi ovviamente le immagini hanno la loro importanza, anzi sono fondamentali, rispetto alle parole che il più delle volte risultano solo inutili e superflue. Il cinema è stato però anche fonte di monologhi meravigliosi, a volte estratti da libri, altri invece semplicemente scritti con maestria dai migliori sceneggiatori o da un autore particolarmente ispirato.

Il bello di questi due elementi non dipendono esattamente l’uno dall’altro, anzi quando uno prevale nettamente ci soddisfa senza troppo bisogno di qualcosa di più, il bello delle parole è che sono semplici, incisive, le immagini, pur se spettacolari, sono meno incisive, più difficili da ricordare con esattezza e necessitano di un immenso lavoro anche in post produzione.

Avatar riporta al centro di tutto l’aspetto visivo, come già fatto da Top Gun questa estate, lo fa in modo clamoroso e attrattivo, quasi a farci dimenticare che il cinema è fatto anche di parole. Un cinema che per avere successo deve essere immediato, dinamico e che non ha molto tempo per soffermarsi sulla profondità. Nonostante c’erano tematiche dense e possibilità di dialoghi importanti, James Cameron gli evita abilmente e punta tutto sulla qualità delle immagini e degli effetti visivi, creando forse il film più immersivo di sempre.

Le parole passano in secondo piano quando un film ha tanto da offrire a livello visivo, la mente è concentrata più sulle immagini che sulle parole. Nel caso di Avatar tutto questo è amplificato, tanto che in alcuni momenti di entrambi i film, non si ha nemmeno la percezione di cose è appena stato detto perché si è rapiti dalla bellezza delle immagini. Così le parole perdono potere e sarebbe quasi del tutto inutile scrivere monologhi di un certo livello.

Così i film diventano azione e non più dialogo, allontanandosi da quella capacità degli anni 90′ di fare film “teatrali”, dove bastavano due attori e un dialogo ben scritto per sostenere un intero film, con scene che vengono postate e replicate ancora oggi, mentre con la bellezza delle immagini che si perde nel tempo e non viene più ricordata. Il dialogo sa viaggiare nel tempo, essere il passato, il presente e il futuro, l’immagine invece rimane intrappolata nel presente con una bellezza che muta, cambia e migliora nel corso degli anni.

Lo stesso Avatar ha fatto passare 13 anni, per migliorarsi visivamente, per portare qualcosa di meglio, evidentemente più spettacolare. Mentre i dialoghi hanno sempre la stessa forza, bellezza e impatto se sono scritti bene. Va data profondità anche a livello umano e il regista insieme all’attore deve essere capace ad esprimerla. Intere serie e film basano la loro intera struttura sul dialogo, lasciando che le immagini siano solo il luogo dove tutto accade e dove si lasciano parole stupendamente incisive.

Questi film così visivi, ci riportano anche un po’ indietro al cinema muto, dove sono solo le immagini a parlare, una qualità video che a volte supera quasi la realtà. Interi mondi che vengono creati digitalmente con una maestria sempre più aggiornata e meravigliosa. Con effetti visivi da lasciarci a bocca aperta. A volte ci basta questo poter sognare con i nostri occhi, commuoverci anche senza aver per forza la necessità di avere un dialogo iconico e che rimarrà nella storia del cinema.

Pensando al cinema moderno la risposta rimane chiara e scontata, la cosa che conta di più in un film è sicuramente l’aspetto visivo, i nostri occhi sono abituati troppo bene ormai e la nostra mente non ha voglia di impegnarsi nella comprensione di dialoghi e parole troppo contorte.

Non solo Avatar ma anche altri film sono la dimostrazione concreta che le immagini sono la forza e il motore del cinema moderno, le uniche che possono regalare una differenza sostanziale tra la sala cinematografica e la nostra Tv di casa. L’importanza delle immagini è fondamentale, e poco importa se ormai le parole sono semplice sfumature in un film fatto di opere d’arte visive.

Categorie
Recensioni nel tempo di un caffè

FINO ALL’ULTIMO INDIZIO: LE PICCOLE COSE FANNO LA DIFFERENZA

Recensione nel tempo di un caffè

Fino All’ultimo Indizio è un film del 2021 scritto e diretto da John Lee Hancock. Il film si presente come un classico giallo/thriller dai toni molti anni novanta, sia nella collocazione temporale che nello stile di narrativa e regia.

Il cast principale è formato da tre premi oscar Denzel Washington, Rami Malek e Jared Leto. Personaggi contrapposti ma allo stesso tempo molto simili. Il film gioca molto su questo fattore e sulla sottile differenza tra bene e male. Una scelta un dettaglio, fanno di una decisione, una decisone giusta e buona o una decisone sbagliata e maligna.

Una trama di confronto, tra personaggi e caratteristiche, Un serial Killer e due detective ossessionati dal caso per motivi differenti, un uomo già a pezzi e distrutto da un caso passato Joe Deacon (Denzel Washington) e un altro detective in erba, che non fallisce mai e che nulla gli sfugge (Rami Malek), poi c’è la follia, il caos e il controllo, la parte cattiva e cinica rappresentata da Albert Sparma (Jared Leto) il possibile assassino.

La trama non è semplice e si complica soprattutto nel finale, alcune scene hanno bisogno di molta attenzione di essere capite e alcune scelte vanno analizzate nel profondo, questo riesce a coinvolgere lo spettatore ma anche a confonderlo e forse allontanarlo un po’ dall’empatia che prova verso i personaggi. Ognuno ha una caratteristica ben precisa, ma sembra che il destino sia segnato per tutti, solo un personaggio di può salvare dall’agonia dei sensi di colpa. Si percepisce il tormento e la voglia di risolvere il caso dei protagonisti, in una storia che mentre va avanti diventa più densa e profonda e mette in difficoltà la moralità dei due detective.

A tratti può risultare un po’ lento e complicato, ma nel complesso è un film che sa coinvolgere e farti porre determinate domande in perfetto stile giallo/thriller. Bella la regia, pulita senza troppe complicazioni e uno stile un po’ anni novanta presente in tutto il film. La scrittura dei personaggi è ottima anche se a tratti risulta forse troppo profonda e complessa da capire. Il finale è ottimo, lascia scelta allo spettatore e ci lascia una sensazione di sollievo, di completezza, ma allo stesso tempo la sensazione di non avere tutte le certezze e le risposte. Un finale che ha la capacità di empatizzare al massimo con i due detective protagonisti.

Nel complesso un film piacevole soprattutto per gli amanti del genere. Un film che però non convince del tutto e che è difficile pensarlo come un film a cui dare massimi voti, ha dei difetti che lo appiattiscono un po’ e lo rendono un po’ forse troppo mediocre.

Categorie
Quattro Chiacchiere

AMAZON PRIME VIDEO STA LENTAMENTE VINCENDO IL CONFRONTO CON NETFLIX?

QUATTRO CHIACCHIERE: Ormai è un dibattito che fa molto discutere, il confronto tra le due piattaforme streaming, ma quale sarà la migliore?

Questo è un dibattito che ogni tanto ritorna tra le pagine del web una discussione che tiene sempre banco e che giustamente con il passare del tempo si evolve, grazie a piattaforme nuove e grazie al continuo aggiornamento dei loro cataloghi.

(Qui l’articolo a riguardo)

Anche io qualche tempo fa ho scritto un articolo a riguardo (link qui sopra) ma non ho voluto rileggerlo per non farmi influenzare e per esprimere una nuova idea e un nuovo giudizio a riguardo.

Netflix oltre ad essere sempre più costoso ha un catalogo sempre più ampio e sforna contenuti originali in continuazione. Alcuni dei contenuti spariscono nei meandri del catalogo e se non gli si mette nella lista non verranno mai più ritrovati. Ormai è un giudizio che sta diventando oggettivo, Netflix punta troppo sulla quantità e non sulla qualità, addirittura prodotti di un certo livello e costosi come ad esempio Valhalla, passano in secondo piano perché è uscita la seconda stagione di Bridgeton o perché è finita la Casa di Carta. Netflix ha un meraviglioso catalogo di documentari di davvero ottimo livello, ma si perde in continue e invasive banalità che occupano gran parte del catalogo.

Una volta si poteva scegliere, con cura e calma si andava a cercare il prodotto di un certo livello, magari che ne so un film d’autore, oppure una serie tv ben prodotta, adesso a poco a poco stanno sparendo e sta solo rimanendo la leggerezza e i prodotti frettolosi e poco curati. Io recensisco tutto ciò che vedo, ma ultimamente se guardo un prodotto originale Netflix raramente soddisfa a pieno la mia voglia di prodotti di livello.

Lo ripeterò all’infinito, il miglior prodotto Netflix che possiamo vedere in Italia, è Mindhunter, parlando di serie tv, ultimamente invece per quanto riguarda i film, ci sono alcuni elementi di buona qualità da sala cinematografica.

Nel complesso non vedo una serie tv che possa conquistare anche il pubblico più colto, più attento e tecnico, e il catalogo sta prendendo troppo una forma precisa, un misto di Trash e cafonate con uno stile ben preciso, ovattato, stupido e davvero molto banale.

Prime Video va per la sua strada e continua a crescere, punta di più sulla qualità, la serietà e difficilmente produce serie banali e affrettate, questo però per molti può anche essere visto come un difetto. Infatti il catalogo è molto più spoglio e ci spinge a scegliere i prodotti originali, difficile muoversi li, meno dinamico e confusionario. Molte delle serie sono ben curate, ottimi attori, fotografia sempre di ottimo livello, ma molto spesso troppo lente e noiose, belle, ma veramente noiose, forse troppo.

Sembra che Netflix faccia di tutto per piacere, mentre Prime Video segue la propria strada e teoria come se non gli importasse davvero dei numeri, forse perché una è una società che fa solo quello, mentre Amazon fa tutto.

Bella l’idea di prime video di diventare anche produttore di programmi televisivi, prendendo elementi dal mondo televisivo, come ad Esempio Jeremy Clarkson e gli altri di Top Gear, oppure Fedez per LOL e Cracco per un programma di cucina molto particolare. Penso che da questo lato sia solo l’inizio di grandi produzioni e visto LOL, non mi stupirei di vedere “giochi” come ad esempio Takeshi Castle o roba simile e perché no, magari una sorta di Reality o talent show targato Amazon.

Prime Video ha pure il calcio e potrebbe essere solo l’inizio e a livello di prezzo non c’è paragone con Netflix, a poco a poco le due piattaforme stanno prendendo due strade diverse, una sembra in crescita, mentre l’altra sembra un po’ impantanata in continui aumenti di prezzi e in un catalogo troppo grande e di poca qualità.

è difficile dire quale sia la piattaforma migliore, soprattutto perché sono una diversa dall’altra, penso che per questo motivo il giudizio rimarrà sempre molto soggettivo.

Categorie
Recensioni nel tempo di un caffè

MOTHER/ANDROID: FORSE È QUESTIONE DI BUDGET

Recensione nel tempo di un caffè

Mother/android è un film del 2021 scritto e diretto da Mattson Tomlin, al suo esordio come regista. Un film che sembra un esempio di discussione su come il budget può essere importante se non fondamentale per l’esecuzione di un film.

Questa pellicola si perde in una semplicità quasi noiosa e insensata, cerca di essere introspettivo e profondo, ma rimane piatto e veramente molto debole, sia nei dialoghi che nella sua trama. Questi due ragazzi che vagano in cerca di un posto sicuro in un mondo in cui gli androidi hanno preso il sopravvento in pochi mesi. Lei (Chloe Moretz) è incinta di lui (Algee Smith) cercano di sfuggire all’attacco degli androidi passando dai boschi per arrivare a Boston, città che si è fortificata per resistere agli attacchi.

Un film girato quasi tutto in location povere, nei boschi o in stanze abbandonate senza troppa cura, solo due personaggi principali con una recitazione che stenta a decollare, e che non fa trasparire le giuste emozioni. Un film che cerca di essere profondo ma che anche nei dialoghi non convince e che nel finale presenta qualche buco di trama importante.

Un peccato perché c’erano degli ottimi spunti, ma che non vengono sfruttati a dovere e che forse per un budget debole non ci viene mostrato sostanzialmente nulla, poca azione e poca suspense. Non convince quasi nulla e tutto appare noioso e senza un fine verso la trama. Sembra non partire mai, e il finale è estremamente frettoloso, confuso e distaccato. Le emozioni non escono dallo schermo e l’empatia non esiste perché è impossibile entrare nei panni dei protagonisti, davvero tutto troppo spento e lento.

Nel complesso un pessimo film, che difficilmente posso consigliare, veramente troppo povero di contenuti, peccato perché lo spunto iniziale non era affatto male.