The Forgiven è un film del 2021 diretto e scritto da John Michael Mcdonagh. Il film è presente su Now Tv, canale streaming di Sky, tra gli attori protagonisti ci sono Ralph Fiennes, Jessica Chastain e Matt Smith.
The Forgiven parla di due ricchi turisti inglesi che stanno andando ad una festa di un amico, in mezzo al deserto del Marocco, durante il viaggio di andata investono accidentalmente un ragazzo del luogo e lo uccidono. Presi dalla paura fanno in modo di nascondere l’identità del ragazzo, ma presto arriverà il padre che vuole una redenzione da parte del turista inglese. La situazione sembra risolversi facilmente, ma poi il padre del ragazzo morto, chiede che chi ha ucciso suo figlio, venga con lui nel suo villaggio per assistere alla sepoltura.
Nonostante il film duri le classiche due ore, c’è una forte e radicata crescita e cambiamento nei personaggi, immersi in una situazione opposta ma significativa. Una terra splendida come il Marocco in una storia di perdono, vendetta e redenzione. Mentre David Henninger (Ralph Fiennes) parte con il padre della vittima per qualche giorno, sua moglie Jo (Jessica Chastain) ritrova sé stessa e tradisce suo marito con un turista americano presente alla festa. David inizia un viaggio che lo cambia nel profondo e alimenta in sé un forte senso di colpa.
Il film gioca molto sul dubbio e il contrasto, dubbio su che fine farà David e il contrasto tra questi piccoli villaggi di cacciatori di fossili e i ricchi turisti viziati che invadono il Marocco, in queste enormi ville in mezzo a deserto. Un’ottima fotografia immersiva rende questa pellicola un piccolo viaggio nel deserto, come una piccola immersione in una piccolissima parte della cultura in Marocco, in posti lontani dal mondo, in cui i sogni sono soppressi dal sole e dal caldo.
La recitazione è buona, anche la scrittura lo è, anche se ha tratti vacilla un po’ con scelte non molto utili ai fini della trama e con un’evoluzione non meglio giustificato del personaggio di Jo, che appare come la vera “cattiva” di tutta la storia e con cui è difficile empatizzare per le scelte che commette.
Un ottimo film che riesce a nascondere bene i propri difetti e con un finale molto deciso, che si fa riflettere ma che conclude alla perfezione, l’evoluzione dei personaggi. Un po’ noioso a tratti, forse un po’ lontano dallo stile moderno, frenetico e senza profondità, ma che invece si allinea di più a un cinema più complesso con una retorica e un significato.
Prey è un film del 2022 diretto da Dan Trachtenberg, questa pellicola è il quinto capitolo della saga di Predatore prequel degli altri quattro film, saga partita nel 1987 in un film cult il cui protagonista era Arnold Schwarzenegger.
Questo film è il prequel di tutti gli altri, ambientato nel settecento, vede come protagonista Naru, una giovane ragazza Comanche interpretata da Amber Midthunder, che difende la propria famiglia e popolo dall’attacco di un misterioso alieno con una tecnologia molto avanzata. A differenza di altri Prequel, questo ha la necessità di essere visto dopo gli altri film per capirne meglio alcuni aspetti della trama e alcuni riferimenti.
Premesso che io sia un gran fan della saga, questo film mi è piaciuto molto, soprattutto per alcune scelte, soprattutto quella di riportarlo alle origini e di renderlo semplice in un duello tra il predator e l’uomo. Ci son ottime scelte nella trama che caratterizzano bene l’alieno che seleziona a poco a poco il predatore/cacciatore più forte di quel pianeta rendendosi in poco tempo che si tratta dell’uomo. Bella l’ambientazione, una fotografia a tratti molto significativa, a tratti forse un po’ troppo sacrificata per il potenziale che aveva. I duelli non sono mai banali, e ricalcano in parte quelli già visti in precidenti film. Ottima la scelta del tempo storico che ci mostra altre potenzialità di questo trama e rende il predator primordiale, neofita del pianeta e terra e con armi che come sempre, per caratteristiche sono simili a quelle della propria preda.
C’è un po’ del primo film, quella sensazione di duello tra l’uomo che per la prima volta è la preda e non il cacciatore, una preda che però è abituata a cacciare e che sa come difendersi, soprattutto un popolo nomade e esperto nella caccia come i comanchi, che dopo qualche scontro iniziano ad apprendere le caratteristiche del proprio cacciatore e futura preda. Predator ha uno schema preciso, che quando viene seguito, come un po’ è accaduto nel primo, nel terzo e in queso capitolo, funziona sempre e rende i film degli ottimi prodotti di fantascienza.
Prey rimette a posto le idee, ritorna allo stile originale e che fa funzionare questa saga e ci offre un’ottima pellicola, con una storia convincente e che funziona e con altri esperti dell’ormai iconico alieno, predator.
Midnight in the Switchgrass è un film del 2021 diretto da Randall Emmet e con protagonista Megan Fox, Emile Hirsch e Bruce Willis che fa più da comparsa.
Un serial killer ha appena fatto un’altra vittima, la settima ragazza che sparisce e di cui viene ritrovato il corpo il giorno seguente, nessuno vuole indagare e la polizia di stato non sa più cosa fare, solo un detective sembra intenzionato a dare la caccia al killer. L’incontro con una agente della FBI da una svolta alle indagini.
Un thriller abbastanza classico soprattutto nella sua fotografia dai toni più spenti e grigi, con una colonna sonora molto immersiva e azzeccata. La recitazione aleggia sulla sufficienza, Megan Fox se pur bellissima non sembra mai al top e non riesce dare animo al suo personaggio. il serial killer viene mostrato quasi subito, questo toglie un po’ di tensione e curiosità, ma allo stesso tempo ci regala una sorta di angoscia quando scopriamo che il mostro ha una moglie e una figlia e continua le sue due vite in tranquillità.
Il film risulta un po’ spento nelle sue dinamiche e nei dialoghi e i personaggi sembrano cambiare da una scena all’altra, sia nelle intenzioni che nelle proprie parole. Un film che rispetta molto bene i canoni del genere ma che si perde clamorosamente nel finale, montato male e molto frettoloso. Il momento più cruciale si trasforma in salti temporali di ore privandoci di un po’ di azione e lotta tra il killer e la giustizia. Ci si perde in una sequenza di immagini che dovrebbero essere forti ma non lo sono, anzi sembrano distaccate e spente.
Lo stesso Bruce Willis sembra estraneo al film e quando si vede non è mai sul pezzo, ma distaccato e con poca voglia, come più o meno tutto il cast e la produzione nel finale. Alti e bassi che rendono il film mediocre, dispersivo in parole superficiali e in scene frettolose che non sono mai violente o davvero significative. Sicuramente più un film da Tv che da cinema, adatto agli amanti del genere, per la fotografia (solo a tratti) e la colonna sonora.
The Last Of Us con il suo sesto episodio, ci mostra un nuovo aspetto della vita dopo la pandemia. Un villaggio totalmente autonomo e popolato in cui sembra che il tempo si sia fermato a prima che il fungo infettasse tutto il mondo. I posti isolati sembrano riuscire a sopravvivere con piccole città che vanno avanti con la propria vita. E qui che Joel incontra suo fratello e si confronta con il proprio passato, rendendosi sempre più conto di quanto sia importante per lui Ellie.
Questo è forse l’episodio con la fotografia più entusiasmante, molto naturale, con paesaggi innevati e desolati da togliere il fiato, un episodio chiave per alcuni aspetti ma che stride quasi un po’ per la sua tranquillità, che poi sfocia in un cliffhanger nel finale. La regia rende molto, forse la migliore di tutti gli episodi, c’è una cura dei dettagli sempre maggiore e l’occhio di può perdere in diverse parti dello schermo. Una serie che rimane costante di alto livello e che riesce a regalare anche una certa profondità. Qui la storia di fa meno videoludica e più cinematografica, con un rapporto Joel e Ellie che si stratifica in diverse dinamiche sempre più affettuose.
Si può vedere quanto ormai Joel non abbia altro che Ellie e che la felicità altrui non fa che ferirlo e ricordargli ciò che ha perso, stessa cosa per Ellie che si ritrova a sentirsi persa e sola senza il suo “vecchio custode”. Un episodio che analizza altri aspetti della vita e non solo il confronto con gli infetti. Si accenna al futuro, al ruolo di Ellie come cura e alla possibilità di un mondo nuovo, a livello di speranza, fino a qualche istante prima della fine, è forse l’episodio più positivo, più lontano dalla solita negatività e malinconia che contraddistingue una serie del genere.
The last of us è una serie che rimane sui propri binari, che continua a rimanere fedele al videogioco da cui è tratta e che in ogni episodio si nota una bella scrittura e una bella storia che va avanti. Una piccola perla HBO, forse l’esecuzione e trasposizione migliore di un videogioco. Una serie che rimette in ordine le priorità e la cura del dettaglio e che forse potrebbe essere anche dopo questo sesto episodio, da esempio a future serie di questo genere.
QUATTRO CHIACCHIERE: Forse il primo e vero universo horror, con spin-off e prequel, con i Warren come spunto narrativo.
The Conjuring Universe ha rivoluzionato un po’ il mondo dell’horror e lasciato una traccia importante nel genere, rendendolo più accessibile a tutti e creando una grossa curiosità nelle sue storie, grazie alla storia vera dei Warren.
Tutto è partito con il primo film del 2013, un film dalla storia classica di esorcismo, ma che attirò molto la curiosità del pubblico essendo tratto in parte da una storia vera, qui si viene a conoscenza di Ed Warren e sua moglie Lorraine due famosi demonologi che hanno passato la loro vita alla ricerca di forza oscure e di possessioni. Nella loro casa è presente una stanza piena di oggetti posseduti che hanno trovato durante le loro esperienze paranormali. La forza di questo franchise è stata quella di puntare su di loro e non sulle storie che raccontano. Il primo film racconta dei Perron una famiglia che ha subito eventi inspiegabili appena si sono trasferiti in una casa del Rhode Island.
L’evocazione è il classico esorcismo, ma con una cura dei dettagli e della regia davvero degna di nota, con unJames Wan che conquista tutti con il suo stile, l’Horror fa un passo in più e finalmente dopo anni dal film più iconico di sempre nel suo genere “L’esorcista”, un film horror non viene più considerato film di seconda categoria. The Conjuring non è solo paura, tensione e grossi balzi sul divano, ma anche un film con una trama che mette grande curiosità e che ti innesta la necessità di sapere altro sui Warren.
Tutto si evolve velocemente, viene prodotto uno spin-off sulla bambola posseduta vista nel primo film, Annabelle, che però non riscuote delle recensioni positive, ma il franchise non si ferma e mette in produzione altri progetti. Il vero film di questo universo è sicuramente The Conjuring 2 – Il caso Enfield, una storia che molti già conoscevano e che non vedevano l’ora di vedere sul grande schermo in un film. Questo è un film che viaggia da solo anche senza la presenza dell’horror, un thriller a tutti gli effetti, con una grossa traccia di vero paranormale solo nel finale. Come nella storia vera rimane il dubbio tra realtà e finzione, sembra quasi sia la bambina a fare tutto. Nonostante sia un film Horror il dubbio si insinua nel pubblico anche se è consapevole di ciò che lo aspetta. Anche qui i Warren sono i grandi protagonisti, portano amore e mistero nella trama. C’è un bellissimo mix di canzoni, si passa dai The Clash con un bellissimo spaccato della Londra anni 70′ ad un momento di pace e amore con la canzone di Elvis Presley cantata dai protagonisti.
Veniamo a conoscenza del demone Valak, una suora demoniaca di cui ci viene mostrata la storia nel “The Nun“.
Il sistema funziona, si parte con un film che si avvicina alle storie dei Warren, per poi farne un prequel per spiegare l’origine di quel male e di quell’oggetto indemoniato. Un sistema che permette di creare un universo cinematico horror senza precedenti. I due veri film di livello sono i primi due The Conjuring, forti di essere tratti da storie vere, di cui è possibile leggere le storie online. Anche gli altri seguono lo stile ben preciso, ma si perdono facilmente in cliché classici del genere con lo sforzo di dover far paura a tutti i costi.
Uno stile ben preciso, segnato nel profondo da James Wan e dagli sceneggiatori dei primi due film. La capacità di portare il cinema nell’horror e non viceversa, con piani sequenza davvero molto interessanti e con la fotografia che supera l’obiettivo unico e solo di spaventare lo spettatore. Con questa saga, l’utente non si ferma al film, ma può fare ricerche, confrontare il cinema con le storie vere e alimentare la sua paura verso il paranormale. La storia dei Warren ha il suo fascino e ha un fascino estremamente cinematografico. Sono storie che valgono la pena di essere narrate, che spesso hanno un lieto fine e che si prestano molto ad una sceneggiatura, ovviamente con molte aggiunte di fantasia.
L’obiettivo, come nell’esorcista, non è solo quello di creare paura con la scena in se, ma con tutto il contesto, insistendo con il fatto che siano degli eventi realmente accaduti, le foto reali nel finale non sono altro che una preparazione al film successivo e ci predispongono ad avere più ansia e paura prima ancora di vedere un film della saga. The Conjuring Universe si basa su tutto ciò che ha prodotto, guardi The Nun con la curiosità di sapere chi è il demone Valak e con l’illusione che ciò che stai guardando potrebbe essere successo veramente. Nessuno potrà mai battere il fascino intrinseco che ha un film tratto da una storia vera e non potendolo fare per tutti i film, il franchise sfrutta i Warren proprio per trasmettere questa sensazione e fascino.
The Conjuring poi, porta nel mondo dell’horror la figura cinematografica e narrativa del Villain, non si combatte più con spiriti ed entità astratte, ma con qualcosa di più concreto che ha una forma e delle caratteristiche precise. Si sono visti già in altri film del genere, ma in questi c’è un’evoluzione, una cura dei dettagli e degli spin-off creati per rafforzare le caratteristiche. Annabelle ha un aspetto fin da subito terrificante, inquietante e al tempo stesso che crea curiosità, tanto da avere tre spin-off comunque di alto livello. The Nun ci mostra Valak, anch’essa da subito iconica, questa suora demoniaca che ci mette soggezione fin dal primo istante in cui la vediamo e da subito sentiamo il bisogno di saperne di più sulle sue origini.
The Conjuring Universe ha una grande capacità di creare curiosità ed è stato perfettamente ideato per questo, prima della paura viene la sete di sapere di conoscere e di informarsi e poi quando siamo già belle pronti e condizionati arriva lo spavento alimentato da ciò che sappiamo, da ciò che ancora non sappiamo e dall’esperienze dei film precedenti. Come tutti gli universi narrativi funziona man mano che si vedono i film nell’ordine in cui sono usciti.
L’obiettivo finale non è solo quello di darti il film in se da vedere ma di darti qualcosa di più, una storia vera, la curiosità sui Warren e sul mondo di cui trattano, un Villain e una regia e fotografia sempre di ottimo livello in modo da essere appagato anche a livello visivo, portando il mondo dell’horror ad un livello superiore.
Cabinet of Curiosities è una serie antologica del 2022 ideata da Guillermo del Toro e distribuita da Netflix, la serie mostra in ogni episodio un racconto diverso, con protagonisti e registi differenti. Ogni episodio ha una forte marcatura horror e lo stile di Del Toro e percepibile un po’ ovunque.
L’intro e la sigla, l’ho trovato davvero molto bello e coinvolgente, Guillermo del Toro presenta la storia che andremo a vedere e annuncia il regista che ne curerà l’esecuzione. Un intro elegante, molto simile a quelle di Hitchcock.
Le storie raccontate sono diverse tra loro, ma molti simili nel loro stile fotografico e narrativo, con spesso una raffigurazione del male molto simile, disegnata molto probabilmente da Del Toro, dove il suo stile si vede proprio in queste rappresentazioni e nello stile generale della serie. Bellissimo il gioco “accademico” dei registi, per appassionato di regia questa serie è una piccola chicca, perché ogni episodio nasconde stili e caratteristiche differenti. Parte tutto dallo stile del “capo” e episodio dopo episodio, vedremo delle scelte di regia sempre uniche e davvero di ottimo livello. Una serie che tiene molto alto il livello visivo e in cui la recitazione è sempre di ottimo livello.
La trama dei diversi episodi sembra convincere un po’ meno, molto profonda a tratti, sembra un po’ lanciare dei messaggi su qualche peccato capitale, come avarizia e lussuria, però poi si perde spesso in finali che non convincono del tutto, spegnendo un po’ tutto il resto. Ovviamente ogni episodio ha i suoi pregi e i suoi difetti, artisticamente un bellissimo esperimento, nella pratica è un qualcosa che spiazza sicuramente il pubblico. Non fa paura, a tratti fa orrore, un orrore che non percepivo da molto e che la computer grafica aveva quasi annullato, in questa serie ho ritrovato un tipo di paura differente, non tanto da “jump Scared“, ma quanto da una sensazione di orrore, come a chi non sopporta di vedere il sangue.
Nel complesso dal lato puramente banale del piacere di vedere la serie, non posso promuoverla, nessuna delle storie mi ha coinvolto e mi hanno lasciato tutte molto perplesso, è facili distrarsi ed è difficili essere catturati davvero positivamente da un episodio. Però se guardo il lato tecnico, la fotografia, la regia e l’idea in se di Del Toro, non posso che promuoverla a pieni di voti, perché da quel lato è davvero una bellissima serie e un contenuto unico nel catalogo di Netflix.
L’uomo delle castagne (Kastanjemanden) è una serie tv Danese tratta dall’ononimo romanzo di Søren Sveistrup. La storia segue le vicende di due detective di Copenaghen impegnati nella ricerca di un serial killer che lascia sempre una firma sul luogo del delitto, un omino fatto con le castagne.
Questa serie tv fa fare un passo avanti alle produzioni danesi, rispetto a The Rain, migliora moltissimo sia nell’aspetto visivo che in quello della recitazione. La fotografia è davvero di altissimo livello giocando alla perfezione con i colori dell’autunno. Un serie tv di ottimo livello sotto molti aspetti che prende spunto dai classici gialli scandinavi ma che allo stesso tempo strizza l’occhio alle serie tv britanniche.
Un sceneggiatura ben congeniata, con forse qualche passaggio non necessario. Personaggi ben caratterizzati e un colpo di scena finale parecchio inaspettato, ma forze un po’ troppo studiato, come se fosse fatto esclusivamente per sorprendere lo spettatore. Mi è piaciuto come colpo di scena, ma avrei preferito qualcosa di più realistico. Molti cliché all’interno della sceneggiatura, rendono comunque la serie più familiare e piacevole.
Mi è piaciuta molto la recitazione dei due protagonisti Danica Curcic e Mikkel Boe Følsgaard che interpretano i detective Nadia Thulin e Mark Hess. Però non ho trovato altrettanto affascinante la caratterizzazione dei loro personaggi, forse poco coinvolgenti.
L’uomo delle castagne ha tutte le caratteristiche per essere un ottima serie tv su un serial killer, c’è la giusta tensione, il giusto mistero e qualche colpo di scena che ci regala le giuste emozioni. Il soggetto è davvero geniale, infatti tutta la sceneggiatura poggia su un buon punto di partenza. Nel complesso una serie che promuovo a pieni voti, niente di clamoroso ma comunque un bellissimo prodotto di questo genere, brava Danimarca!
Midnight Mass è una miniserie creata Mike Flanagan. Una miniserie che si strizza l’occhio agli horror più classici ma che nel complesso è più drammatica con un genere non del tutto definito. La trama distribuita su sette episodi da un’ora è a tratti lenta ma sembra densa di significato, ci incuriosisce e ci cattura per la cura particolare dei suoi dialoghi, mescolando religione e oscurità in modo perfetto.
Crockett Island è una piccola isola a largo degli stati uniti, non è specificato bene dove, un isola con poco più di cento abitanti, fatta di pescatori e con una forte impronta religiosa, cristiana cattolica. Veniamo subito introdotti in questa forte fede, fin dalla prima scena, subito un forte contrasto tra la volontà di Dio e una morte ingiusta. Questo sarà il filo conduttore di tutta la serie. Un giovane prete appare per la prima volta sull’isola e da quel giorno iniziano dei miracoli ma allo stesso tempo degli eventi particolarmente macabri e misteriosi.
Il bello di questa miniserie è la capacità costante di giocare molto con le scritture, con il fanatismo religioso, passi della bibbia e del vangelo che sembrano giustificare l’orrore di certe azioni in cui il sangue diventa il protagonista. Religione, scienza e fantasia si mescolano lasciandoci il dubbio di quale sia la vera risposta. Come nella serie, anche la fede dello spettatore viene messa alla prova e deve decidere quale onda di pensiero seguire, costringendolo quasi a prendere la via più facile, quella della fantasia. Quello che accade non è ne il volere di Dio, ne un evento che la scienza può provare, è semplicemente una cosa mostruosa che non ha nulla a che vedere con la religione e la scienza.
Una fotografia davvero spettacolare e coinvolgente, una scenografia adatta, un gioco di colori ben congeniato, dando valore a delle albe stupende. Dialoghi davvero ben scritti, convincenti e personaggi con una loro personalità forte e ben definita. Livello di recitazione molto alto e attori particolarmente ispirati. Qualche piccola incongruenza nella trama, qualche dettaglio non del tutto curato e qualche personaggio un po’ spento sono dei piccoli difetti di questa miniserie.
Nel complesso davvero una bella serie, con i giusti tempi e che co intriga con il suo mistero, ci lascia mille dubbi e domande con un po’ di amaro in bocca, volutamente fatta così. Visivamente molto bella ed è bello anche soffermarsi su alcune parole, un miniserie in cui il dialogo torna protagonista e lo fa in modo stupendo. La consiglio davvero anche per chi non ama il genere horror, perchè c’è la giusta dose di paura e violenza, ma non è mai esagerata, è solo un contorno per dare un impatto emotivo adatto in base a cosa sta succedendo. Guardate la serie e fatevi anche voi un idea di ciò che sta accadendo, è religione? Scienza? o semplicemente fantasia irrealistica?
QUATTRO CHIACCHIERE: Una piccola recensione non basta, il kolossal di Villeneuve merita un altro approfondimento.
La recensione breve è già presente sul sito, come sempre il format non può cambiare, ma Dune è un film importante pieno di sfumature, un tipo film che ormai è quasi una rarità vedere al cinema, voglio analizzarlo con più cura e più pazienza. Un articolo un po’ più completo, perchè c’è molto di cui parlare.
SOGGETTO
Parto dalla parte più importante del film, dove nasce tutta la sua struttura e ovviamente la storia, il libro ononimo di Frank Herbert è diventato ormai una storia di culto nel mondo della fantascienza. Moltissime storie successive prendono spunto da questo libro, anche lo stesso G.R.Martin ha dichiarato di essersi ispirato a questo libro per il gioco di casate presente in Game of Thrones. Questo libro apre un mondo, un universo dalle mille possibilità, ci sono scelte e situazioni che strizzano l’occhio ai giorni nostri e tecnologie davvero interessanti. Segue le orme del viaggio dell’eroe come il più classico dei libri di questo genere, ma lo fa con maestria e accuratezza. I dettagli sono evidenti, nulla è lasciato al caso e il Arrakis è un pianeta ben descritto con caratteristiche ben precise. Uno dei soggetti più ambiti della storia del cinema, molti registi visionari hanno sognato di poterlo trasporre sul grande schermo. Dune non è semplice, è molto complesso, ampio e soprattutto ha uno zoccolo duro di fan, pronti a giudicare. Per molti fare un film fatto bene su un libro del genere è impossibile, ma forse non quanto si pensava. Il libro di Herbert pone si degli elementi visivamente stupendi, ma anche la difficoltà di raccontare in breve tempo un concentrato di informazioni. Un soggetto meraviglioso, estremamente completo e complesso, ma su cui ci si può davvero scrivere un infinità di mondi e di storie.
SCENEGGIATURA
La sceneggiatura è stata scritta da Eric Roth (Forrest Gump), Denis Villeneuve e John Spaihts, più menti, tra cui lo stesso regista per cercare di fare una trasposizione corretta del libro. Personaggi, poteri, mondi e storie che potessero essere comprese dallo spettatore senza influenzare troppo la bellezza visiva del prodotto. Una sceneggiatura che a tratti zoppica un attimo, ma che nel complessa è davvero ben scritta e congeniata, raramente ne ho viste così ben strutturate ultimamente. I personaggi sono caratterizzati in poco tempo, anche grazie ad un buon soggetto di partenza, in pochi attimi captiamo le caratteristiche dei personaggi principali e le loro sfumature. La storia scorre lenta e non ci sono moltissime parole, i dialoghi però sono densi di significato e rivelazioni, ogni parola viene sfruttata e riutilizzata all’interno della trama, nulla è scritto a caso. Forse un po’ fredda a tratti, un po’ troppo spenta nelle proprie parole, ma ben si colloca con il tipo di storia che si sta narrando. Una sceneggiatura che ci illustra un nuovo universo e di cui dobbiamo imparare molte cose in poco tempo, una spiegazione perfetta che nel giro di due ore ci trasporta nel mondo del libro e nelle sue caratteristiche. Davvero un ottima scrittura.
TRAMA
Il soggetto e la sceneggiatura ci aprono ad un mondo complesso, molto espanso, con un bellissimo contrasto tra medioevo e tecnologia del futuro. Giochi di potere, casate e rivalità storiche, tutto concentrato sulla storia di un pianeta unico nell’universo. La storia inizia con la voce narrante di Chadi (Zendaya) una indigena di DUNE (Arrakis) che racconta la storia del suo pianeta, un pianeta invaso da anni da altri popoli di altri pianeti, un pianeta ambito per un elemento presente nelle sue sabbie, “La spezia”, preziosa per molti motivi, per i suoi poteri che allungano la vita e amplifica la mente e perchè è un elemento fondamentale per i viaggi interstellari. Da anni gli Harkonnen comandano il pianeta, ne sono i custodi e sfruttatori e mietono “La spezia” con grossi macchinari nelle notti fresche del deserto. Gli Harkonnen sono esseri spregevoli e spietati e puntano solo al profitto. La “presentazione” di Chadi, si conclude con gli Harkonnen che lasciano dopo ottanta anni il pianeta per ordine dell’imperatore.
La storia ci mostra poi un’altra casata, insediata sul pianeta Caladian, gli Atreides, casata molto potente e influente all’interno di quello che viene chiamato Imperium, un grande impero universale. A capo di questa famiglia c’è Leto Atreides (Oscar Isaac), un uomo ambizioso, forte e saggio, molto devoto però al proprio imperatore e impero. Con lui sua moglie Lady Jessica, una donna misteriosa, una Bene Gesserit, una setta molto importante e potente all’interno dell’impero, con poteri paranormali e in grado di comandare le persone con la propria voce. Paul Atreides (Timothèe Chalamet) il loro unico figlio, è un miscuglio perfetto di queste caratteristiche, addestrato dal padre ad essere un leader e dalla madre ad usare questi misteriosi poteri. L’imperatore ha affidato il pianeta Arrakis alla famiglia Atreides che accetta subito il suo dovere e si trasferisce il prima possibile sul nuovo pianeta.
Iniziano i giochi di potere, con l’imperatore (che non si vede mai nel film), che vuole distruggere la casata degli Atreides perchè troppo pericolosa e potente e che potrebbe minacciare il suo potere. Infatti ha mandato gli Atreides su Arrakis per indebolirli, e per attaccarli con più facilità, restituendo il potere agli Harkonnen e al loro leader il Barone (Stellan Skarsgard). Gli Atreides capiscono ben presto che la situazione non è delle migliori e che il pianeta è davvero inospitale. A differenza degli Harkonnen però, Leto vuole allearsi con i Fremen che ritiene un popolo meraviglioso e dalle mille risorse, un popolo che potrebbe servigli in futuro per difendersi dalle altre casate. Macchinari che non funzionano e tutto lasciato in malora, è evidente che gli Harkonnen e lo stesso imperatore stiano tramando qualcosa. L’attacco è immediato, la famiglia Atreides viene distrutta, gli Harkonnen riprendono il potere e l’imperatore non ha più pericoli intorno a se. La storia si conclude con il giovane Paul, considerato il prescelto di alcune profezie, che fuggito dall’attacco si schiera con i Fremen pronto per riprendersi il pianeta. Una sintesi della trama molto semplice e immediata ma che ci fa capire a grandi linee la grandezza e la complessità di questo film, dinamiche che vengono comunque spiegate alla perfezione.
PERSONAGGI
Una parte fondamentale di Dune sono i suoi personaggi, con le loro caratteristiche, scritti magistralmente da Herbert e riportati alla perfezione in pellicola.
PAUL ATREIDES (Timothèe Chalamet) Paul è il protagonista della storia, un ragazzo segnato dal destino e figlio di due personaggi molto importanti per l’impero, ha appreso gli insegnamenti dei suoi genitori ma è ancora giovane e confuso. Abile nella lotta e con grande coraggio, Paul rappresenta il classico eroe di questo tipo di storie. Chalamet si è ben calato nel ruolo, convince in tutte le sue parti anche se mi è apparso un po’ troppo spento in alcune scene, un attore un continua crescita proprio come il suo personaggio. Paul Atreides per molti è il prescelto, per il popolo dei Fremen condizionato dall’influenza spirituale delle Bene Gesserit, è l’uomo che gli aiuterà a salvare finalmente il loro pianeta dalle invasioni. Paul sogna il futuro e spesso si avvera, rimane subito folgorato dalla giovane Fremen, Chadi perchè sempre presente nei suoi sogni ancora prima di vederla e di sapere che sarebbe finito su Arrakis. Nei sogni Chalamet perde qualche colpo, troppo confusionaria la sua interpretazione, non riesce a trasmetterti paura e ansia, nemmeno compassione, un po’ freddo in queste situazioni.
LETO ATREIDES (Oscar Isaac) Leto è sicuramente uno dei personaggi più belli del film, un uomo forte con una grande leadership, un ottimo stratega che è devoto all’impero ma che allo stesso tempo ha grandi piani per il pianeta che gli è stato affidato. Isaac è perfetto in questo ruolo, esprime bontà ma allo stesso tempo anche grande disciplina e forza. Sicuramente è facile identificarlo come il lato buono di tutta la storia, perchè è un padre premuroso, un buon compagno e soprattutto un capo amato da tutti. Mi ha ricordato molto Ed Stark, di GoT. Isaac è una punta di diamante di questo film, un attore ancora troppo sottovalutato ma che valorizza alla grande ogni suo ruolo, ottimo il lavoro di Villeneuve con tutti gli attori.
LADY JESSICA (Rebecca Ferguson) Lady Jessica è un personaggio estremamente complesso che per tutta la durata del film non l’ho capito fino in fondo, una donna con due personalità distinte, una forte, cinica e sicura e l’altra timida, ansiosa e estremamente fragile, un donna dai mille misteri con un passato oscuro. Forte dei poteri delle Bene Gesserit, preoccupa molto chi gli sta intorno, quasi intimorito dalle sue stregonerie. La Ferguson non mi ha convinto del tutto, ottima la sua interpretazione, però non ho capito bene le sensazioni e i sentimenti del suo personaggio, forse troppo confusionario e con troppi sbalzi di umore, troppo complicata forse questa Lady Jessica.
GURNEY HALLECK (Josh Brolin) Capo delle guardie di Leto, Gurney è un ottimo guerriero, molto coraggioso e diretto, simpatico e molto devoto alla famiglia, si vede che è anche molto legato al giovane Paul che prende spesso in giro amichevolmente. Brolin non mi ha convinto in questo ruolo, forse un po’ troppo in disparte, poco sfruttato e con poca identità, peccato vedere un attore così, sfruttato così poco, si perde un po’ nel film. Forse il personaggio meno di impatto di tutta la trama.
GAIUS HELEN MOHIAM (Charlotte Rampling)Gaius è la “madre” delle Bene Gesserit, la loro leader, con forti poteri e che cerca di condurre le file del destino dell’intero universo, donna cinica, subdola e che incute un grande timore. Ottima l’interpretazione della Rampling che interpreta alla perfezione il personaggio, crea la giusta tensione e ansia.
GLOSSU “BESTIA” RABBAN HARKONNEN (Dave Bautista) è il leader dell’esercito Harkonnen, un uomo di poche parole, molto forte e potente ma sottomesso al proprio capo, un personaggio che non si è espresso molto nella prima parte del film. Bautista è sempre prefetto in questi ruoli, gestisce alla perfezione personaggi che necessitano di molto trucco e con caratteristiche aliene, il suo fisico imponente, fa il resto del lavoro.
CHANI (Zendaya)Chani è una ragazzina Fremen, non sappiamo nulla di lei, è una voce narrante all’inizio del film e appare ogni tanto nelle visioni del protagonista. Zendaya è una attrice di grande talento in continua crescita e anche qui dimostra di essere sempre ben collocata nel suo personaggio.
DUNCAN IDAHO (Jason Momoa)Duncan è un grande combattente dell’esercito Atreides oltre che essere insegnate e grande amico di Paul. Un personaggio carismatico, forte è molto legato alla famiglia Atreides, molto abile ad integrarsi con gli altri popoli, mette le basi per l’alleanza con i Fremen. Momoa è perfetto in un ruolo del genere, con un atteggiamento da grande guerriero ma che trasmette amicizia e gentilezza, un interpretazione che mi ha stupito, positivamente.
STILGAR (Javier Barden)Stilgar è il portavoce dei Fremen e in un certo senso è anche il loro leader, un uomo molto risoluto che intuisce subito le intenzioni delle persone, un uomo saggio che apre alla alleanza con gli Atreides. Barden eccellente come sempre, anche questo personaggio, anche se appare poco, da molto al film, merito anche del regista.
“IL BARONE” VLADIMIR HARKONNEN (Stellan Skarsgard) Uno dei personaggi più iconici del film, un uomo di potere, cinico e che pensa solo al profitto, annientatore di Fremen e che vuole solo sfruttare al massimo Dune. Un essere misterioso, molto grande, grasso e pelato, brutto, un cattivo per eccellenza. Misterioso, che fluttua nell’aria non facendo mai un passo. Skansgard è sempre eccezionale, in questo ruolo è perfetto, con il suo sguardo perso nel tempo e pensieroso, inquietante. Il suo personaggio mi ha ricordato a tratti “sputa fuoco” Bill Turner di Pirati dei caraibi, sempre interpretato e per certe caratteristiche simile. Un peggio pregiato del film.
SHAI-HULUD (Verme delle sabbie) protagonista assoluto del deserto, l’elemento narrativo che colpisce di più di tutta Dune e simbolo stesso della storia, i vermi giganti che attraversano il deserto e che vengono attirati dai rumori costanti e regolari. Vermi lunghi trecento metri inattaccabili che divorano tutto ciò che trovano. Nel film sono visivamente un elemento davvero spettacolare, un piccola perla.
FOTOGRAFIA
Grieg Fraser è il direttore alla fotografia di Dune, un fotografo che ha seguito le direttive del suo regista mettendoci comunque il suo tocco, una fotografia davvero importante, a tratti ipnotica che si adatta perfettamente a tutte le sfaccettature del film. Sia negli spazi chiusi che in quelli aperti una fotografia sempre nitida, affascinante e che ti cattura. Qualche leggerissima pecca nella gestione della GCI, ma per il resto davvero un quadro stupendo. Uno dei valori principali di questo film, che riesce a trasmettere perfettamente, anche solo con le immagini, il calore e le ostilità del pianeta e che ci fa immergere in questo strano mondo, visivamente è un film pazzesco, quindi grande merito alla fotografia di Fraser.
COLONNA SONORA
La colonna sonora è creta da Hans Zimmer, che come sempre non tradisce le aspettative, anzi, si migliora ancora di più, sperimenta e si ci stupisce ancora di più, ancora una volta. Una colonna sonora molto complessa e articolata, a tratti epica a tratti molto profonda e intensa come le scene del regista. Una colonna sonora che ti smuove lo stomaco con la sua forza d’impatto e ti fa provare i brividi per la sua perfetta unione con le immagini dello schermo. Zimmer conferisce al suono delle immagini e questa colonna sonora è il suo del deserto, ce l’ho ricorda in ogni sfumatura, in ogni suono. Forte, potente e d’impatto, ci trascina con ancora più coinvolgimento nel mondo di Dune. Hans Zimmer non sbaglia un colpo e anche questa volta crea una colonna sonora bellissima, un vestito perfetto per questa pellicola.
REGIA
Denis Villeneuve l’ho lasciato per ultimo, perchè questa opera è anche molto sua, la sua trasposizione cinematografica del libro di Herbert è stata praticamente perfetta e ci ha messo tutto se stesso, questo è il kolossal definitivo del regista. Con questo film, Villeneuve entra a far parte dei registi visionari che riescono a portarti dove vogliono in qualsiasi storia. Il regista ci fa immergere in questo mondo con la giusta cura e la giusta intensità gestendo gli attori in modo magistrale. Tutto è finalizzato a colpire lo spettatore con inquadrature spettacolari, con scelte e tecniche perfette per il genere, la scena del verme che esce dalla sabbia, è iconica e tremendamente spettacolare. Denis Villeneuve diventa maestro, e ci mostra il pianeta Arrakis come non lo abbiamo mai visto, ogni scelta è ben ponderata e curata, ogni dettaglio viene esaltato dal talento ormai garantito del regista. Dune si presenta come un bellissimo kolossal che visivamente non ha nulla da invidiare e nessun film, una prima parte gestita alla perfezione con il dovuto ordine e con le dovute scene per introdurci in questo mondo. Non manca anche l’azione, i combattimenti e i sentimenti tutti ben esposti e calcolati con scene davvero emozionanti.
Forse un po’ freddo a tratti, e troppo inteso e lento in altri, un film che sembra sempre rallentare quando non è necessario e che si fa troppo pensante nella scelte di intensità di Villeneuve che vuole dare peso ad ogni inquadratura e scena ma che si discosta un po’ dal cinema moderno. La sua calma diventa a tratti troppo incisa, quasi esagerata, anche se allo stesso tempo dona un tono di serietà e pesantezza di cui la trama a bisogno. Villeneuve si “tuffa” nell’impresa di fare un film su un libro di culto della fantascienza e ci riesce perfettamente, tutto coincide e tutto è perfetto, un viaggio visionario e stupendo, con la giusta dose di adrenalina.
Un film che non solo strizza l’occhio ai kolossal degli anni passati, ma anche a film di spessore e più reali, un film con tempistiche e cadenze che ricordano l’intensità che al cinema non si usa più. Dune è un perfetto film da 2021 nelle sue scenografie e effetti, ma un film anni 70′ per la sua lentezza e intensità non nuova al regista canadese. Nel complesso Dune è un giusto equilibrio, tra un Blockbuster e un cinema d’autore, perfetto per un pubblico che magari è stufo dei soliti film ma che non vuole impegnarsi troppo per il cinema d’autore.
Dune è un film impegnativo per il proprio soggetto, molti nomi, situazioni e personaggi, ma meno dal lato visivo e dal lato introspettivo, i personaggi sono tutti abbastanza chiari, la trama pure, non c’è bisogno di una analisi più profonda di capire qualche trama secondaria o sotto trama, è tutto abbastanza chiaro.
Questo regista è riuscito a restituire al cinema la sua grande forza di creare storie e mondi e di aprire nuovi universi narrativi, perchè Dune è solo una scheggia della potenzialità narrativa dei libri di Herbert, un intero universo su cui sognare e creare.
QUATTRO CHIACCHIERE: Netflix e le altre piattaforme streaming hanno dato la possibilità di vedere film e seri tv quando e dove si vuole, riducendo certe persone a guardare film dal proprio telefono o da pc con schermi davvero piccoli.
L’altro giorno mi trovavo in spiaggia in riva al lago, sdraiato sul mio asciugamano quando all’improvviso dietro di me sento chiaramente le battute dell’ultimo film di Tarantino, “Once Upon a Time in Hollywood”. All’inizio non capivo da dove provenissero, poi mi giro e vedo un ragazzino che stava guardando il film dal proprio telefono, sulla spiaggia, con tutti i rumori di contorno, un po’ guardava e un po’ guardava in giro. Non so se era la prima volta che vedeva quel film e se guardava dei “pezzettini” per poi decidere se vederlo tutto o no, sta di fatto che ho subito scosso la testa e ho pensato al povero Tarantino, che sicuramente ci avrà messo tutto l’impegno del mondo a girare il suo film, a fare determinate inquadrature, fotografie e tecnologie varie, per poi essere trasmesso su device non all’altezza.
Adesso sto sottolineando solo il lato negativo di questa possibilità che offrono le piattaforme streaming, ma è una cosa che fa riflettere e forse il cinema per come lo conosciamo è davvero destinato a morire perchè non più dentro i canoni di ciò che vuole la gente. I giovani soprattutto, le nuove generazioni, vogliono prodotti veloci, di breve durata e in formato che possano vedere con il device che preferiscono, soprattutto il proprio smartphone, e così si ritrovano a guardare un film girato magari completamente in IMAX con un cellulare da cinque pollici. Distruggendo completamente il lavoro fatto dal regista e da tutto il resto degli artisti all’interno del film e questo è davvero un peccato.
Non dico che tutti facciano così, ma è una tendenza, una abitudine che sta prendendo piede, non dare più importanza a niente, non aver più voglia nemmeno di apprezzare veramente un film, perchè troppo impegnativo, lungo e magari complicato. Molti guardano e si divorano le serie tv su piccoli pc perdendo tutta la qualità dei suoni, della regia e della fotografia, diventa tutto piatto e banale, come guidare una Ferrari con il motore di un panda non potendo esprimere il vero potenziale. Certi contenuti vanno visti nel modo giusto, perchè dietro di essi ci sono delle scelte e un impegno finalizzato ad un certo tipo di visione, già ho parlato dell’inadeguatezza di molti cinema, ma vedere un film di Tarantino visto dal telefono è la vera sconfitta del cinema.
Il lato positivo c’è, quello di coinvolgere di più il pubblico, di permettergli di vedere ciò che vuole quando vuole, di vedere più contenuti possibili e di appassionarsi così a questo mondo. Parlarne con gli amici, scambiarsi opinioni con loro, parlare e parlare ancora di cinema aiuta tutto il sistema stesso a rimanere in piedi ed averlo sempre con se non è negativo. Però dovrebbe essere una cosa più marginale, un metodo per godersi un trailer, un pezzettino di film o serie tv per poi vederla bene a casa davanti ad un bel televisore.
Netflix è altre piattaforma hanno fornito infinite possibilità, ma allo stesso tempo assecondando, giustamente la clientela, stanno involontariamente allontanando le persone dal vero cinema, dal modo coretto di vedere film e serie tv, di guardare dei prodotti a volte complessi e studiati per essere visti in un certo modo per godere a pieno dello spettacolo. Il cinema è fatto di infinite sfumatura ma per percepirle serve lo schermo giusto, l’audio giusto e una qualità di visione elevata. Mi auguro che quel ragazzino abbia poi visto il film su un bel televisore o che addirittura abbia visto il film al cinema in una bella sala energia del cinema Arcadia di Melzo, come avevo fatto io per quello splendido film.