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LUTHER – VERSO L’INFERNO: IL RITORNO DEL DETECTIVE ANTIEROE

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Luther – verso l’inferno è un film del 2023 diretto da Jaime Payne e sequel dell’omonima serie inglese andata in onda dal 2010 al 2019. Il protagonista è sempre Idris Elba nei panni del tenebroso e fuori dale righe detective Londinese.

Luther era un tributo all’arte cinematografica inglese, con una cura della fotografia sublime e un’intensità significativa e affasciante. Una serie crime tra le migliori in circolazione che ha deciso di portarsi avanti con un film, che mantiene alcune caratteristiche importanti ma che nel complesso perde un po’ del suo stile originale.

Un film scritto e diretto molto bene, il livello della fotografia e sempre ottimo e più invecchia e più sembra che Idris Elba sia tagliato per questo ruolo, anche solo nella postura e nella classica camminata, con il suo inseparabile cappotto grigio, ormai rovinato dal tempo. La storia si fa grande, fin troppo eclatante con un serial killer che usa principalmente il ricatto come arma per eseguire i suoi delitti, espliciti e violenti. Forse un personaggio davvero troppo eccessivo che non giustifica una caccia all’uomo cosi quasi minimalista e con pochi mezzi come quelle precedenti. Un Luther che fugge dalla polizia e che intanto insegue un folle omicida non convince molto come trama nonostante sia scritta bene.

In un certo senso il voler renderlo più cinematografico e scenografico ha fatto perdere la vera arte della serie, fatta di una fotografia elaborata, tenebrosa e sempre molto sul pezzo, con una Londra che esprimeva sia la sua bellezza che il suo terrore. La sottile linea tra giustizia e legge, che spesso si sovrappongono, con Luther che spesso si trovava in mezzo, con scelte violente e fuori dagli schemi, in questo film è tutto giustificato. Il serial killer è talmente potente e violento che ogni azione che il detective compie è perfettamente giustificata dalla gravità di ciò che sta succedendo, non ponendo mai il dubbio su cosa sia giusto o sbagliato.

Luther combatte solo e praticamente con sé stesso e con la voglia di catturare il nemico, perdendo un po’ il duello tra lui e le leggi che aveva caratterizzato la serie. Andy Serkis è sempre un attore di altissimo livello eppure il suo personaggio, folle potente e con manie di protagonismo e potere appare un po’ più com un nemico di James Bond e Luther quasi come un Batman.

Hanno voluto esagerare in tutto e il risultato pur essendo buono e di alto livello, si stacca forse troppo dalla serie di cui di fatto è un sequel. Nel complesso è un ottimo film crime, ci sono buoni attori e girato e scritto bene e potrebbe anche conquistare chi non ha mai visto la serie, quindi come film è promosso a pieni voti. Paragonato alla serie, perde un po’ del suo fascino, un po’ quella sensazione di estrema cura e precisione e un po’ delle caratteristiche impregnanti della serie Luther.

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THOR LOVE AND THUNDER: FORSE IL PEGGIOR FILM MARVEL

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Thor love and Thunder è un film del 2022 diretto e scritto da Taika Waititi. Il film è la quarta pellicola con protagonista Thor e interpretato ovviamente da Chris Hemsworth ed è film che ci ricorda che è meglio fermarsi al tre e non andare più avanti. Questo film è anche il ventesimo del MCU.

Thor è a spasso per lo spazio con i guardiani della galassia, ma una nuova minaccia lo fa tornare sulla terra nella nuova Asgard per formare un esercito e combattere un nuovo nemico, Gorr interpretato da un ottimo Christian Bale.

Forse uno dei miglior Villian di tutti i venti film, interpretato da un super attore in uno dei film peggio riusciti della Marvel, con non solo un Thor irriconoscibile e fin troppo irreverente ma con una storia e tutto cast che sembrava non vedesse l’ora che finisse il film. Una pellicola confusionaria, fatta di piccoli sketch comici e con una trama molto altalenante. Molto superficiale e che punta forse troppo alla battuta di turno e poco alla sostanza. A parte Gorr, anche la cura dei dettagli e la CGI è davvero pessima, assolutamente lontana dal livello degli altri film.

Passatemi il termine ma appare tutto troppo “giocattoloso” e un Russel Crowe così nei panni del dio Zeus non si può vedere e sminuisce quello che poteva essere un personaggio alquanto interessante. Waititi l’ha messa troppo sulla commedia, dimenticandosi fin troppo di avere un confronto interessante tra un Dio è un distruttore di dei, sminuendo un po’ il tutto e per farla finita a Tarallucci e vino.

Una saga che sembra arrivata alla fine dei suoi tempi e che dopo un po’ sembra quasi stancare troppo, perdendo ogni parvenza di razionalità e perdendo anche il favore di un pubblico un po’ più adulto. Questo film di Thor rappresenta un po’ quello che la saga non si deve permettere di fare e perdersi troppo in prodotti davvero frettolosi, banali e fanciulleschi pur di fare film un determinato numero di film all’anno.

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HOW I MET YOUR FATHER: RECENSIONE PRIMA STAGIONE

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How i met your father è una serie del 2022 creata da Isaac Aptaker e Elizabeth Berger e spin-off della famosa sitcom How i met your mother.

Il compito di questa serie non era facile, avvicinarsi così tanto ad una serie come HIMYM poteva essere un’arma a doppio taglio e i paragoni avrebbero distrutto la nuova serie. Invece questa serie con protagonista Hilary Duff, non entra a gamba tesa sull’originale, ma anzi la rispetta, ne fa a tratti un tributo senza esagerare e usando la prima stagione un po’ come un esperimento. In un periodo che non offre più sitcom di livello, How i met your father è una bella sorpresa. A tratti un po’ forzata nella sua comicità, trova equilibrio in personaggi moderni e che rispecchiano in parte la società attuale.

Lo scopo di questa serie, come in quella originale, non è solo di farci capire come la protagonista abbia conosciuto il padre di suo figlio, ma è un racconto di vita, di dinamiche sociali e di come l’amore sia sempre al centro di tutto. Rispetto alla serie originale, questo spin-off è meno profondo e serve un bellissimo cameo nel finale per riportare una certa profondità e un fortissimo senso di malinconia che serve da slancio alla seconda stagione.

Un buon livello di ironia fa apprezzare i personaggi, che hanno bisogno un po’ del loro tempo per essere apprezzati, all’inizio sembra tutto un po’ forzato e solo più avanti diventa più naturale, forse quella che funziona di più è proprio la protagonista Sophie che in molte sue sfumature ricorda molto Ted Mosby. Il problema della serie è forse il duro e eterno confronto con l’originale e i veri momenti di picco e di interesse sono forse troppo condizionati da personaggi della serie originale. Il bello di HIMYM era la sua capacità di toccare diversi sentimenti ed emozioni e per adesso in questa prima stagione, questa serie non è riuscita ad andare ancora nel profondo, anche se non sono mancate storie profonde nello sfondo.

Nel complesso è una stagione in un certo senso educata e rispettosa del prodotto da cui è nata, un esperimento che fino a d’ora è riuscito e che inizia a camminare con le proprie gambe, con i personaggi che a poco a poco prendono il loro spazio e verso cui si inizia a provare affetto. A differenza dell’originale in questa serie vediamo la protagonista che parla con suo figlio che non vediamo mai in faccia, questo potrebbe essere un modo per deviare le possibilità di chi sia il padre, ma allo stesso tempo potrebbe anche essere un gigantesco indizio su chi potrebbe essere il padre alla fine della serie.

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RICOMINCIO DA ME: COMMEDIA CHE PROVA A DARE QUALCOSA DI PIU’

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Ricomincio da me è un film del 2018 diretto da Peter Segal e con protagonista l’attrice e cantante Jennifer Lopez.

Il film si pone come una classica commedia americana, ma c’è anche una parte che fa abbastanza riflettere, anche se la storia è semplice, ha delle dinamiche di una società complicata, sempre in salita e dove gli ostacoli sembrano sempre più grandi, ogni anno che passa. Il titolo in inglese (Second Act) indentifica ancor di più la difficoltà di ripartire, di seguire i propri sogni e di dimostrare il proprio valore.

Jennifer Lopez interpreta una donna di mezza età, che grazie al figlio di una sua amica, falsifica il proprio curriculum e finalmente può lavorare per una grande azienda e grazie al suo talento e abilità le verrà riconosciuto, finalmente il suo buon lavoro, senza bisogno di un documento a certificarlo.

Jennifer Lopez è bella come sempre, forse anche troppo per il personaggio che interpreta, tanto che risulta poco credibile in alcuni momenti del film, soprattutto per l’evidente cura del suo corpo. Però allo stesso tempo rispecchia un personaggio, tosto e determinato e tutto sommato la recitazione ci può stare in questo contesto. Una commedia leggerezza sulla possibilità di riscattarsi a qualsiasi età e il in cui il vero ostacolo siamo solo noi stessi, leggera ma che tratta l’argomento anche con i giusti toni e con una madre che ritrova sua figlia dopo moltissimi anni.

Abbastanza divertente, ma un po’ in difetto e manca di personaggi davvero significativi, forse fin troppo stereotipati e prevedibili come un po’ tutta la trama del film, di cui si intuisce già il finale a metà film. Come spesso accade per le commedie, non si hanno grosse pretese e ci ritrova davanti ad un prodotto semplice ma efficace, che funziona e che cerca di dare qualcosa in più non riuscendo del tutto ad arrivare in fondo all’obiettivo.

Nel complesso una commedia come molte altre, qualche piccola novità nel soggetto principale, ma nulla di eclatante o degno di nota, gli attori funzionano e anche la trama con qualche sorriso ogni tanto fa il giusto per apprezzare il film. Ovviamente un film che vola basso, che non ha grosse pretese e che si presta molto alle piattaforme streaming.

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THE LAST OF US: RECENSIONE SERIE E ULTIMO EPISODIO PRIMA STAGIONE

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The Last Of Us è una serie HBO del 2023 tratta dall’omonimo famoso videogioco della Naughty Dog, la serie è scritta e creata da Craig Mazin e Neil Druckmann. Da subito si può dire che uno dei miglior adattamenti mai realizzati, una serie che non solo ha rispettato le aspettative ma le ha superate e ha mantenuto la bellissima storia del primo videogioco.

The Last Of Us era molto di più di un semplice videogioco, questa serie è riuscita a raccontarlo nel modo giusto, rimanendo fedele, a volte nel dettaglio, a ciò che il gioco ci aveva mostrato anni fa. Una storia di sopravvivenza, violenza e amore che va al di là della solita storia post-apocalittica. Gli infetti e la malattia sono solo il contorno di una storia che approfondisce nel profondo lo spirito umano, l’amore tra un padre e una figlia acquisita, le difficoltà di un mondo cinico, povero e violento. Questa serie HBO è davvero ben fatta, recitata alla perfezione, scritta magistralmente con scene e dialoghi che non sono mai banali, ma sempre con una certa caratteristica e profondità.

The Last Of Us, proprio come nel videogioco riesce a spezzarti in due, ti lascia desolazione e angoscia, non è una storia leggera, ma un’intensa lotta per sopravvivere, con un impercettibile speranza che sfiora i protagonisti. Joel non è buono, il classico salvatore del mondo, ma è un uomo plasmato e inciso dalla vita, dalle vicende che ha dovuto sopportare è la rappresentazione stessa del mondo in cui si trova. Chi sopravvive deve essere cinico, spietato, violento e freddo e anche Ellie nella sua evoluzione, perde quella luce negli occhi da bambina, per lasciare spazio ad una ragazzina che stringe con tutta la sua forza la vita e che coltiva una forte speranza per il mondo.

L’episodio finale è un’esplosione di emozioni forti, un episodio molto crudo con un gesto d’amore che si trasforma in violenza pura e rabbia. Dipendenza l’uno dall’altra e Joel che non vuole più perdere o sacrificare nulla della propria vita. Il suo gesto si trasforma in un grido di disperazione, un atto contro il destino, contro tutto ciò che c’è di brutto in quel mondo. La sua luce è Ellie e non la lascerà mai andare. La capacità di trasmettere emozioni di questa serie è evidente, sembra così realistica che a volte ci si dimentica del mondo di fantasia in cui si trova. C’è stata delicatezza negli attimi di amore, frantumata sempre da un “martello” di dolore che ricorda sempre che c’è ormai davvero poca speranza.

La prima stagione si chiude con un “OK” di Ellie e poi titoli di coda, a spezzare il tutto, a lasciarci con quell’angoscia sapendo quello che è appena successo e nonostante tutto ci sentiamo solidali con Joel, lo capiamo e in fondo ne comprendiamo l’animo. Complimenti a Pedro Pascal e Bella Ramsey che riescono a dare in ogni scena le giuste vibrazioni, dall’affetto, al dolore, alla disperazione, gli occhi persi nei momenti di pura violenza, come un essere vivente che con forza si aggrappa alla vita.

Una trasposizione perfettamente riuscita, un’amplificazione di quello che a livello di soggetto era già un capolavoro, alcune scene sono una perfetta riproduzione, altre sono attimi di puro cinema, con sensazioni umane impareggiabili da un computer. Joel e Ellie in tutta la loro semplicità ci portano lungo questo mondo in cui si vuole sempre qualcosa in cambio, in cui si è gentili e disponibili solo con le vite degli altri, un mondo in cui ognuno pensa alla propria sopravvivenza, manifestando l’egoismo che contraddistingue la razza umana. Non è una semplice trasposizione, ma un adattamento perfetto di un videogioco ad un mondo più complesso come quello televisivo/cinematografico. Non è una serie complessa nella sua evoluzione, ma complessa nelle sue emozioni e soprattutto nelle sue scelte, non ci sono mai scelte facili, ogni direzione che si prende è un sacrificio, la scelta finale di Joel è puro egoismo, per lui ed Ellie è sicuramente la scelta giusto, per il resto del mondo forse no.

I difetti ci sono, nel complesso si può definire una serie scenograficamente povera, nulla di clamoroso a livello visivo, ma sono davvero piccoli difetti quasi impercettibili, la qualità soprattutto in alcune scene e momenti e talmente intensa e alta da rendere la serie The Last Of Us un piccolo capolavoro. Bellissima in ogni suo attimo, nella sua profondità, nel suo messaggio, nella sua scrittura e nei suoi protagonisti.

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WILL HUNTING – GENIO RIBELLE: L’ESPRESSIONE CINEMATOGRAFICA DELLA PAROLA

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Will Hunting – Genio Ribelle, in inglese Good Will Hunting è un film di cui ho già parlato in un piccolo elogio, alla bellezza delle parole nel cinema e dell’importanza dei dialoghi in esso. Una perla di insegnamento di sceneggiatura più di un libro di McKee o Syd Field. (Articolo qui)

Will Hunting è un film del 1997 diretto da Gus Van Sant e scritto da due attori ormai famosi come Matt Damon e Ben Affleck, con una sceneggiatura che gli è valsa un Oscar agli esordi della loro carriera.

Il film parla di Will un ragazzo prodigio, con una memoria e una capacità matematica assurde e impareggiabili, un dono che non sta sfruttando, perché arriva dalla parte povera di Boston e perché all’università è solo uno spazzino alla MIT. Viene scoperto il suo talento, ma un famoso matematico non riesce a controllare il carattere ribelle del giovane Will e che quindi richiede l’aiuto di un suo vecchio amico e insegnate di psicologia.

Il film è sorretto da splendidi dialoghi e il confronto tra il genio ribelle di Will, interpretato da Matt Damon e un ormai triste e ferito professore di psicologia con grande talento per i rapporti umani, interpretato da uno strepitoso Robin Williams. Il resto funziona come uno splendido contorno dove ci vengono mostrati diversi aspetti della vita di Will, tra cui un amore intenso appena sbocciato ma che rischia già di finire. A poco a poco il film prende una forma attuale, passano gli anni ma i dialoghi sono applicabili al giorno d’oggi, forse ancora più di allora. La paura del futuro, della perdita, e il confronto costante con il proprio passato. Un amore visto in modo poetico, essenziale e davvero unico. Questo film ha davvero la capacità di conquistarti con le parole e ci mostra un piccolo spezzone di vita, di scelte e di bivi in cui spesso ci dobbiamo confrontare.

Un film che è come una nuvola soffice in cui ci possiamo rilassare, studiare a fondo e capire qualcosa in più sulle infinite sfumature della nostra vita. Non è solo il confronto tra i due personaggi o il talento matematico sprecato, ma è una vera e propria figurina del nostro mondo, di quando si è giovani sognatori impauriti, quando il nemico numero uno siamo noi stessi, le nostre scelte e il voler essere ribelli, ma non con il mondo, quando con la nostra vera essenza. Will fugge dal proprio talento, ma allo stesso tempo lo rincorre, fugge dall’amore, ma allo stesso tempo non desidera altro. Una stretta mortale in cui ci incanala la società che ci circonda, ma noi dobbiamo assaporare la vita in ogni suo attimo, “sentire l’odore della capella Sistina e non solo sapere chi è Michelangelo“. Il concetto è vivere, dare il meglio di sé stessi, offrire non al mondo ma proprio a noi stessi la nostra parte migliore.

Una piccola perla di Cinema, che merita di essere vista e rivista e anche ascoltata. Un Robin Williams che non bisogna mai smettere di elogiare, per le sue interpretazioni pure, vere e bellissime.

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YOU DON’T KNOW ME: IL FINALE CHIUDE IL CERCHIO

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You Don’t Know Me è una miniserie de 2022 distribuita da Netflix, una crime story britannica tratta dal libro di Imran Mahmood e creata dalla BBC e scritta dal Tom Edge.

You Don’t Know Me, ricalca in pieno lo stile televisivo inglese, con una fotografia sempre eccellente e una scrittura lenta ma molto profonda, risultando a tratti un po’ noiosa ma sempre molto intensa e che porta sempre a qualcosa. Difficile risulti banale e anche in questo caso questa serie si comporta in questo modo.

La trama si sviluppa su due linee temporali, con l’imputato che nell’arringa finale parla di ciò che è realmente successo e del perché lui non è colpevole, si rivolte alla corte senza avvocato, per apparire il più sincero possibile. Si scoprirà che lui si è travato in una brutta situazione, in una lotta tra gang, tutto per proteggere la ragazza che ama. La storia funziona anche se un po’ lenta e noiosa senza troppi colpi di scena, con un bel romanticismo che fa da sfondo. Il finale è aperto con lo spettatore che deve decidere quale finale preferisce dare a questa storia, se tragico o con un lieto fine per il protagonista.

La recitazione è ben centrata nella trama, a tratti di ottimo livello, nel complesso soddisfa e trasmette le giuste emozioni. Una miniserie che però pur se fatta bene, non riesce a conquistare del tutto, rimane forse un po’ troppo piatta e basilare, e la storia che c’è dietro non crea poi quelle forti emozioni. Si muove qualcosa solo nel finale, ma non basta per rivalutare tutto il prodotto. You Don’t Know Me, va un po’ contro lo stile moderno di andare sempre veloci, una storia con i suoi ritmi e le sue cadenza, che parte in modo soft, per poi aggiungere la drammaticità di ciò che gli sta succedendo al protagonista, che in fondo, lotta solo per amore, tanto amore.

Una serie che non penso avrà molto successo anche se di ottima qualità, una miniserie forse troppo distante dagli stili moderni e commerciali, ma che rimane comunque un buon elemento in più all’interno del catalogo Netflix.

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YESTERDAY: TRA AMORE E FAMA NEL RICORDO DEI BEATLES

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Yesterday è un film del 2019 diretto da Danny Boyle e scritto da Richard Curtis. Il film parla di un giovane cantautore inglese che non riesce a sfondare nel mondo della musica e che continua a accumulare fallimenti. Un giorno durante un blackout globale viene investito da un autobus e quando si risveglia scopre che alcune cose nel mondo non sono mai esistite, una tra queste, I Beatles e la loro musica, sfrutta quindi questa occasione per diventare famoso, grazie alle loro canzoni.

La trama funziona anche senza essere scritta, perché anche solo in poche parole crea curiosità e attira l’attenzione, si ha voglia di scoprirla e di sentire qualche canzone dei Beatles. Però ovviamente il film va più in profondità, sfruttando questa dinamica per parlare di amore, di ciò che veramente conta nella vita, allontanandosi un po’ dalla fama, per concentrarsi su qualcosa di più intenso. Il cameo di Ed Sheeran da un tocco in più essendo uno dei cantautori più capaci a parlare di amore. E l’incontro con un John Lennon anziano e soddisfatto della sua vita, una vita in cui non è mai stato un Beatles è davvero una piccola chicca.

Il finale è un concentrato di molte sensazioni, ovviamente viene messo al centro l’amore, la scelta del protagonista di abbondonare soldi e fama, per la donna che ama e che ha sempre amato e che ha sempre creduto in lui. Bello anche il confronto con il fatto di avere successo per una cosa non tua, per opere d’arte che non ti appartengono. Uno stupendo tributo ai Beatles nel finale, con un paio di canzoni meravigliose che mostra anche la varietà della loro musica, l’attualità e le melodie, base di tutta la musica moderna.

Un film che riesce a concentrare molte emozioni, un tributo alla musica e all’amore.

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FALLING FOR CHRISTIMAS: UN CLASSICO (ANCHE TROPPO) FILM DI NATALE

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Falling for Christmas è un classico film di natale del 2022 distribuito da Netflix e diretto da Janeen Damian al suo esordio alla regia. Tra i protagonisti c’è il ritorno della tormentata Lindsay Lohan.

La Lohan interpreta in questo film una ricca ereditiera, figlia di un grande imprenditore e proprietario di un sacco di hotel e resort. Per natale si ritrova in montagna, in un resort di lusso, pronta ad accogliere il suo ragazzo influencer, viziato come lei. Dopo aver battuto la testa ha un’amnesia che le cambierà la vita.

Un film estremamente leggero, in certi casi anche fin troppo, la trama ricalca perfettamente i classici film di natale in ogni suo aspetto e la semplicità della regia, della fotografia e di un po’ tutto il film in ogni suo aspetto e quasi spiazzante, fin troppo bassa anche per Netflix. Sembra un classico film di natale che le piccole case di produzione fanno per racimolare qualche soldo.

Giustamente non si aspetta nulla da un film del genere, ma in certi casi si rimane comunque delusi dalla bassa qualità delle riprese e da una recitazione molto piatta e a tratti falsa, non del tutto autentica. Il lato positivo è che riesce a trasmettere una bella atmosfera di natale, ed è così semplice che diventa quasi piacevole da vedere mentre si fa una chiacchiera con gli amici, un qualcosa di sottofondo che ogni tanto ti fa fare qualche piccola risata.

A parte la giusta atmosfera Natalizia c’è poco da salvare, Netflix dovrebbe puntare si su questo tipo di film, ma con magari delle produzioni leggermente più impegnative.

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MORBIUS: UN ENNESIMO FLOP TARGATO SONY

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Morbius è un film del 2022 diretto da Daniel Espinoza. Un film dell’universo Marvel ma gestito da Sony come alcuni dei film Spider-man. Un intrigato intreccio di diritti che spesso ci confonde e che divide i due mondi, con prodotti come Venom e appunto Morbius evidentemente differenti dai classici film Disney Marvel.

Morbius è stato sommerso dalle critiche dal primo giorno della sua uscita e in effetti, il film appena uscito su Netflix e schizzato primo in classifica per qualche giorno, ma vedendolo non è facile estrapolarne qualcosa di buono. Questo film effettivamente è il massimo esempio di un prodotto fatto tanto per fare, per fatturare un pochino. Spento, banale e senza senso, con solo qualche piccolo pregio nella recitazione di Jared Leto e nella colonna sonora che mi ha ricordato Hans Zimmer nei Batman di Nolan.

Morbius ha una trama banale e un po’ stupida, con lo scienziato malato da anni che vuole fare di tutto per salvare il suo migliore amico che ha la stessa malattia, tutto prevedibile e scontato. Una malattia del sangue che va curata con i pipistrelli, mix di razze, contaminazione e i due amici fraterni diventano una specie di vampiro. Ovviamente il Villain Michael Morbius non è il cattivo, perché come sempre, fanno i film sui nemici dei supereroi ma che sono a loro volta buoni e salvano tutti quelli che possono.

Questo film non convince, sembra davvero fatto senza voglia e spegne subito l’interesse dello spettatore. Manca una trama convincente e delle scene meno da videogioco e più dense e fatte con un po’ di cura, un abuso continuo di una pessima CGI rendono il film ancora più banale.