The Last Duel è un film del 2021 diretto da Ridley Scott e tratto dall’omonimo libro da Eric Jager, che parla di un ultimo “duello di Dio” svoltosi in Francia nel 1386 tra Jean de Carrouges e Jaques le Gris.
Questo film si sviluppa su tre capitoli e su tre punti di vista differenti, il film si basa su fatti storici realmente accaduti e quindi ha dei vincoli da rispettare anche se grazie a questa tecnica, può far decidere alo spettatore quale sia la versione più reale della storia raccontata.
I punti di vista sono prima quello di Jean (Matt Damon), poi quello del suo amico e rivale Jaques (Adam Driver) e poi quello giovane moglie di Jean, Marguerite de Carruges (Jodie Corner), la vittima che accusa Jaques le Gris di averla stuprata.
I primi due capitoli sono un po’ noiosi e portano lo spettatore a voler andare veloce al dunque, il film di spinge a credere alla donna, che è evidentemente vittima di un sistema davvero crudele e ignorante. L’interpretazione di Matt Damon è davvero di alto livello, forse una delle sue migliori, con un personaggio un po’ pazzo e istintivo, ma molto coraggioso e fedele alla corona. Mentre un po’ spento quello di Adam Driver che anche nei momenti cruciali della sua storia non riesce ad uscire da una particolare apatia. Il film non riesce a mostrare con chiarezza il rapporto tra i due protagonisti, tanto che i loro litigi sembrano più che giustificati. Non sembrano mai veri amici, quanto più dei semplici cavalieri con ambizioni differenti.
L’accuratezza storica riporta il film sui binari giusti, con costumi e una fotografia ben dettagliata, il finale è crudo nelle parole quanto nella scena di combattimento e riporta al giusto tono al film che a tratti risulta veramente troppo noioso e inconcludente oltre che abbastanza complicato.
Ridley Scott ha perso il suo “potere” da tempo e non riesce più a fare delle pellicole che convincono del tutto, sono spesso noiose e inconcludenti e anche in The Last Duel manca qualcosa che si vede solo nel finale. Infatti la parte finale non migliora solo dal punto di vista narrativo, ma anche della regia che non sbaglia un colpo e crea la giusta atmosfera. La storia è cruenta per quanto sia moderna sotto certi aspetti, con una donna che porta avanti la propria accusa pur rischiando la vita sua e quella del marito e con Jaques De Gris, convinto di non aver stuprato nessuna perché condizionato dalle sporche abitudini del tempo.
Una storia davvero interessante, ma che ci viene mostrata in un film nel complesso disordinato e con poco carattere e che si salva solo un po’ nel finale, mi aspettavo qualcosa di più, ma ultimamente è facile rimanere delusi da quello che comunque è uno dei registi che ha fatto la storia del cinema.
Air – La Storia del grande salto è un film del 2023 diretto da Ben Affleck. Il film racconta della creazione del marchio Air Jordan, nato dalla collaborazione del marchio di scarpe Nike e un quasi sconosciuto Michael Jordan.
Il film ci mostra una storia di cui conosciamo il finale, ma di cui conosciamo difficilmente i dettagli, una delle collaborazioni pubblicitarie e sportive più riuscite della storia, con un marchio che è ha fatto decollare la Nike verso vette mai raggiunte. Cosa c’è dietro a tutto questo? Da cosa è partito? Air ci mostra tutto questo con un cast davvero di alto livello, con Ben Affleck, Matt Damon, Jason Bateman, Chris Tucker, Viola Davis e Marlon Wayans.
Come sempre la storia vera delle volte, trasmette più emozioni che un inventata e questo film ci riesce, raccontando una storia di semplici affari, di business ma rendendola più romantica, unica ed emozionante. Le Air Jordan non sono solo delle scarpe, ma ormai sono un simbolo, uno status, e sono una svolta del settore per mille motivi. Forse è la più grande scommessa fatta in questo campo, eppure Nike ci è riuscita e ha scavalcato tutti.
Air è un film ben recitato scritto bene e molto ordinato, non ci si annoia e non ci si perde e avere Matt Damon in questi film è perfetto perché non fa mai interpretazioni da oscar ma è un attore che raramente sbaglia la propria interpretazione e che si adatta bene a tutto. Un film che fa anche un po’ riflettere su quanto delle volte tutto sembra già scritto, si è stata una scommessa, ma è come se tutti sapevano già come sarebbe andata. Una storia che valeva la pena raccontare e che quindi rende il film davvero interessante e piacevole.
Air funziona su più fronti, anche l’idea di non mostrare mai Michael Jordan e di mostrare la scarpa come vera opera d’arte, risultando quindi una manifestazione di passione. Questo film è un po’ la dimostrazione che c’è davvero passione in tutto, che tutto se fatto con il cuore e la passione ha più senso. Una scommessa sì, ma fatta con istinto passione e cuore.
Alla fine della storia ci si chiede quanto Jordan abbia aiutato Nike con il suo talento e quanto Nike abbia aiutato Jordan con la sua capacità di creare leggende. Sicuramente è un dare avere, fino a quando Jordan era atleta, ma adesso il marchio si sta trasformando in qualcosa di più, Air Jordan è un marchio dentro al marchio è un simbolo di uno degli atleti più forti di sempre.
Will Hunting – Genio Ribelle, in inglese Good Will Hunting è un film di cui ho già parlato in un piccolo elogio, alla bellezza delle parole nel cinema e dell’importanza dei dialoghi in esso. Una perla di insegnamento di sceneggiatura più di un libro di McKee o Syd Field. (Articolo qui)
Will Hunting è un film del 1997 diretto da Gus Van Sant e scritto da due attori ormai famosi come Matt Damon e Ben Affleck, con una sceneggiatura che gli è valsa un Oscar agli esordi della loro carriera.
Il film parla di Will un ragazzo prodigio, con una memoria e una capacità matematica assurde e impareggiabili, un dono che non sta sfruttando, perché arriva dalla parte povera di Boston e perché all’università è solo uno spazzino alla MIT. Viene scoperto il suo talento, ma un famoso matematico non riesce a controllare il carattere ribelle del giovane Will e che quindi richiede l’aiuto di un suo vecchio amico e insegnate di psicologia.
Il film è sorretto da splendidi dialoghi e il confronto tra il genio ribelle di Will, interpretato da Matt Damon e un ormai triste e ferito professore di psicologia con grande talento per i rapporti umani, interpretato da uno strepitosoRobin Williams. Il resto funziona come uno splendido contorno dove ci vengono mostrati diversi aspetti della vita di Will, tra cui un amore intenso appena sbocciato ma che rischia già di finire. A poco a poco il film prende una forma attuale, passano gli anni ma i dialoghi sono applicabili al giorno d’oggi, forse ancora più di allora. La paura del futuro, della perdita, e il confronto costante con il proprio passato. Un amore visto in modo poetico, essenziale e davvero unico. Questo film ha davvero la capacità di conquistarti con le parole e ci mostra un piccolo spezzone di vita, di scelte e di bivi in cui spesso ci dobbiamo confrontare.
Un film che è come una nuvola soffice in cui ci possiamo rilassare, studiare a fondo e capire qualcosa in più sulle infinite sfumature della nostra vita. Non è solo il confronto tra i due personaggi o il talento matematico sprecato, ma è una vera e propria figurina del nostro mondo, di quando si è giovani sognatori impauriti, quando il nemico numero uno siamo noi stessi, le nostre scelte e il voler essere ribelli, ma non con il mondo, quando con la nostra vera essenza. Will fugge dal proprio talento, ma allo stesso tempo lo rincorre, fugge dall’amore, ma allo stesso tempo non desidera altro. Una stretta mortale in cui ci incanala la società che ci circonda, ma noi dobbiamo assaporare la vita in ogni suo attimo, “sentire l’odore della capella Sistina e non solo sapere chi è Michelangelo“. Il concetto è vivere, dare il meglio di sé stessi, offrire non al mondo ma proprio a noi stessi la nostra parte migliore.
Una piccola perla di Cinema, che merita di essere vista e rivista e anche ascoltata. Un Robin Williams che non bisogna mai smettere di elogiare, per le sue interpretazioni pure, vere e bellissime.
“La mia vita è uno zoo”, sembra un semplice film, poco considerato, ma con un valore grande, soprattutto nella sua trama e nei dialoghi.
Inizio a descrivere il film per meglio collocarlo nell’arco temporale del cinema e per far capire più o meno a grandi linee di cosa si tratta. “La mia vita è uno zoo” (We bought a zoo) è un film del 2011, diretto da Cameron Crowe ed prende spunto da una storia vera. è una commedia a tinte drammatiche, un film che è facile definire semplice e in fondo lo è, ma che nasconde un grande valore al suo interno.
Matt Damon interpreta Benjamin Mee un uomo che ha appena perso la moglie e che ha con lui due figli, un adolescente e una bambina dolcissima e sempre dalla sua parte, Ben è ancora sconvolto dalla grave perdita e decide di rivoluzionare la propria vita. Si trasferisce, ma non in una casa qualsiasi, ma in un vecchio zoo che è in stato di fallimento e degrado, ma che al suo interno ha ancora molti animali. Lo zoo comprende ben 250 animali esotici differenti e si trova a “9 miglia dal negozio di alimentari più vicino”, isolato e fuori dal mondo, un rifugio, ma anche una vera casa per il protagonista.
Ciò che rende di per se la trama assurda e molto più interessante è comunque il fatto che prende spunto da una storia vera, dall’autobiografia dello stesso Benjamin Mee che appare anche in una scena del film, una storia particolare che fa dell’unione dopo il lutto il suo punto focale, la parte diciamo drammatica di questo film è carica di sentimenti forti e stupendamente espressi nella pellicola. Questo film per me è sempre stato una piccola perla, un film che amo vedere e rivedere e che non mi annoierà mai. Si è vero è molto semplice, non c’è nulla di clamoroso, tutto nella norma, anche la fotografia e di una normale commedia, la recitazione è ottima e per il resto il film finisce nel dimenticatoio come molti film di questo genere, non è sicuramente un film da festival del cinema, ma secondo me è un film che dentro di se nasconde dei meravigliosi significati. Ci sono delle frasi sulla vita, l’amore e i sentimenti che hanno una valore assoluto e che riescono a colpirti al cuore, questo film è una piccola lezione di vita, che si basa sul coraggio di seguire i propri sogni e sulla voglia di ricominciare. Voltare pagina non è mai facile, soprattutto dopo un lutto del genere, il film ci mostra una scelta di vita particolare, una scelta legata alla natura, al fatto che tutto ciò che ci circonda può essere importante e ci può essere d’aiuto.
La vita non è mai semplice, le scelte da fare sono sempre complicate e in fin dei conti sono i soldi che muovono il mondo, anche nel film questo aspetto viene sottolineato, eppure sembra sempre vincere l’amore immenso che c’era tra il protagonista e sua moglie, una donna meravigliosa e che amava la vita e i suoi figli. L’uomo deve farcela da solo, non c’è più la sua guida, non c’è più lei che lo tiene in vita e i suoi figli non fanno altro che ricordargli gli occhi di sua moglie, è come se fosse ancora del tutto aggrappato a lei e non riesce più ad andare avanti. La sua vita stessa sono i propri figli e la loro felicità, vuole dargli di più e qualcosa di speciale. Lo zoo diventa un po’ il simbolo del cambiamento, di una richiesta di aiuto agli animali di mitigare questo grande dolore, aiutare loro aiuta questa famiglia ad aiutare se stessa, perchè poco a poco si rendono conto che stanno facendo qualcosa di davvero grande e meraviglioso, come se fosse un grande tributo al loro amore nel confronti della loro mamma e moglie.
“Concediti almeno una volta nella vita, venti secondi di imbarazzante spavalderia” questa è un a delle piccole frasi “perla” che ci sono nel film, dei piccoli aforismi con un grande significato, una frase del genere racchiude un po’ tutto il significato del film. Il coraggio è il punto centrale, la follia di compiere un gesto di pochi secondi che potrebbe cambiarti la vita. Come comprare uno zoo, oppure molto semplicemente andare a parlare con la ragazza che ti piace, perchè in fondo sta sempre tutto li, amare ed essere amati trovare la persona giusta, eppure a volte non è semplice. Trovare il coraggio andare a parlargli, tutto troppo complicato, al giorno d’oggi poi forse non basta nemmeno più quell’attimo. Il film ci ricorda che certe scommesse vanno “giocate” che bisogna buttarsi di più e che la bellezza esteriore non è altro che l’apice di una bellezza più profonda, che viene scoperta con il tempo. Lo zoo diventa come una persona, va scoperto studiato, curato e con il tempo diventa meraviglioso, parte della nostra vita, in questo caso di quella dei protagonisti. Quei venti secondi di imbarazzante spavalderia sono un piccolo segreto di come approcciarsi a certi momenti della vita, “imbarazzante” quello è il problema, la paura di un no, di un rifiuto, degli sguardi delle altre persone, le mille domande e dubbi che affollano la mente. Delle volte veramente non bisognerebbe pensare a nulla, far finta che non ci sono i social che non ci sia nulla, far finta che quella ragazza non abbia la fila di corteggiatori dietro di se, e buttarsi di più se si sente che quella potrebbe essere una persona importante nella propria vita. Ma non solo nell’amore, anche nel lavoro, piccole scelte di pochi secondi di coraggio, possono davvero cambiare la nostra vita. La mia vita è uno zoo è appunto anche questo, una piccola lezione da cui uno può trarre qualche piccolo insegnamento.
Il dialogo diventa il punto più importante del film, dialogo che c’è tra padre figlio, tra fratelli, tra uomo e donna, molti dialoghi dai diversi significati, che ci insegnano sempre qualcosa. Difficile staccarsi dal ricordo della propria moglie, difficile crescere i propri figli, è tutto estremamente difficile nella vita, ma a volte parlare aiuta. Ti siedi fuori casa, sotto le stelle e parli un po’, ti sfoghi butti fuori ciò che pensi davvero, non puoi farlo con tutti, ma se ci riesci con qualcuno non lasciartelo scappare. Nasce cosi il rapporto tra Ben e la ragazza dello zoo interpretato da Scarlett Johansson, Kelly Foster. Ben ritrova in lei una bellissima persona con cui confidarsi, trovare sostegno e spazio ai propri sfoghi, e si ci mette un po’ a capire l’importanza di trovare una persona così, ma poco a poco i loro sentimenti crescono l’uno per l’altro e anche questo è un altro passo per voltare pagina.
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Il punto che più mi ha colpito però è come il film riesca perfettamente a trasmetterti l’amore immenso che c’era tra Ben e sua moglie, ti apre il cuore in due, ti fa commuovere per tutto il film, lo percepisci da alcuni dialoghi, da alcune frasi dette e da poche ma ben studiate immagini. Il punto di forza di questo film è proprio questo, farti commuovere per questo lutto, ma all stesso tempo farti sorridere perchè capisci che la famiglia è riuscita a rinascere grazie anche allo zoo. Lei era una donna meravigliosa e anche questo lo si percepisce, una donna di quelle che veramente rendono la vita un posto unico e fantastico e nessuno potrà mai cancellare i momenti con lei. Puoi ricominciare si, ma amori così intensi capitano solo una volta nella vita, a volte non capitano mai. L’intensità in amore è tutto, però è difficile essere sulla stessa onda, essere amati quanto si ama non è scontato, ma quando succede penso sia l’essenza della vita, una sinfonia perfetta. Però la vita è anche crudele, e Ben si vede portato via la cosa più preziosa che aveva, eppure non si fa abbattere e va avanti capendo che lui e sua moglie hanno lasciato qualcosa in questo mondo, i loro figli, lui si concentra su di loro e tutto l’amore che dava a sua moglie lo riversa il più possibile sui propri figli e in fondo tutte le scelte che fa le fa per loro, delle volte non sembra, ma il vero fine è regalare un sogno alla propria famiglia.
La scena finale del film è qualcosa che per me ha un significato molto profondo, è la mia scena preferita in assoluto, lo rivista più e più volte e delle volte ammetto di non trattenermi e devono trattenere le lacrime, perchè mi colpisce nel profondo, mi scuote, mi tira un pugno nello stomaco e mi fa sorridere allo stesso tempo.
Lui mostra ai suoi figli come ha conosciuto la loro mamma, un colpo di fulmine, passa davanti ad un bar e la vede li seduta che beve un caffè, rimane folgorato e capisce che è arrivato il momento di usare i “20 secondi di coraggio”. Quindi prende e lo fa, entra nel locale e va a parlare con quella bellissima ragazza. Le dice : “perchè mai una donna bellissima come lei, dovrebbe parlare con uno come me?”, lei sorride e risponde “perchè no?”.
Perchè no? può sembrare una semplice e banale risposta, ma dentro racchiude un mondo, lei grazie a quello spiraglio di speranza, grazie a quella voglia di dare un opportunità fa nascere tutto, quello è dove tutto ebbe inizio, la loro splendida storia d’amore i due figli, il momento tragico, ma anche la rinascita e lo zoo. Tutto parte da li, da quella semplice risposta, una risposta che dovrebbe essere insegnata a scuola, una forma di educazione e vita pazzesca, lei non chiude la porta, non si ferma alle apparenze, non fa la snob, la sognatrice di modelli, no, niente di tutto questo, va subito oltre, legge negli occhi di quel ragazzo, ne capisce le intenzioni ma non si scandalizza anzi gli da una piccola speranza. Peccato che al giorno d’oggi non è più cosi, ma quanto è bello quel momento? quanto è bello quando nasce un amore? perchè è da momenti del genere che partono le storie migliori proprio come quella del film, la semplicità di quell’attimo, senza pensieri, fatto di istinto e speranza, e quel pizzico di coraggio che ci cambia la vita.
Ho voluto parlare di questo film proprio per questo, per la sua capacità di smuovere i miei sentimenti, di farmi sognare e di farmi capire come ancora una volta il cinema sia una forma d’arte meravigliosa che ti regala emozioni talmente forti da farti commuovere, il cinema è una splendida rappresentazione della vita e questo film ne è un particolare esempio.
L’importanza delle parole e dei monologhi nel mondo del cinema
Will Hunting – Genio Ribelle (Good Will Hunting) è un film del 1997, diretto da Gus Van Sant e scritto da Matt Damon insieme a Ben Affleck, due grandi amici già a quei tempi.
Il film si è aggiudicato due oscar, uno alla miglior sceneggiatura originale, e l’altro al miglior attore non protagonista, un incredibile Robin Williams.
La trama è abbastanza semplice, di quelle che non ti colpiscono fin da subito, ma che possono solo catturarti grazie al loro sviluppo narrativo, alla loro evoluzione e in questo caso ai suoi dialoghi.
Will è un genio della matematica, ma è giovane, ribelle e si fa trascinare dalle sue vecchie amicizie, e in qualche modo continua a fuggire dalla vita di adulto, un passaggio molto difficile per ogni ragazzo. Lavora come ragazzo delle pulizie al MIT, una delle università più prestigiose del mondo nel settore tecnico/tecnologico, patria di grande matematici. Will però non sa cosa farsene del suo talento e passa le sue giornate a bere ad annoiarsi e a divertirsi, però ha gravi problemi a rapportarsi con chi non è suo amico e molto spesso si ritrova a fare rissa fuori dai locali di Boston.
Il punto cruciale della storia è il rapporto di Will con lo psicologo Sean Maguire (Robin Williams) e la storia d’amore con una studentessa di Harvard. Il talento di Will viene notato casualmente al MIT, quando lui risolve un problema di matematica molto complesso. Il professore che aveva scritto il problema alla lavagna propone a Will di seguire le lezioni, ma allo stesso tempo dovrà andare da uno psicologo.
Tre Will e Sean nasce un bellissimo rapporto, di amicizia e confronto, e finalmente Will ha trovato una persona con cui parlare di se stesso dei suoi problemi, della sua vita, uno con cui fare discorsi profondi e che gli permette di scavare dentro se stesso.
Sean non è tanto uno psicologo, ma più un insegnante di quella materia, un padre e un amico, ha anche lui un carattere forte, ma che con il tempo ha abbassato la guardia, soprattutto da quando la moglie è venuta a mancare per cancro.
In realtà i due protagonisti alleggiano in una situazione simile, in momenti diversi della propria vita, Will non sa cosa farsene del suo talento, mentre Sean non sa più bene cosa fare della sua vita dopo che la moglie e morta.
Questa ansia, questo vuoto del non saper come affrontare il futuro è descritto perfettamente nel film, con dei dialoghi perfetti in ogni loro piccola parte, sono piccole perle che danno valore all’intero film.
In questo film non c’è una trama complessa, non ci sono grossi colpi di scena, ma lunghi e bellissimi dialoghi, confronti e parole, il centro di tutto è il confronto tra le persone, il dialogo come parte fondamentale della vita.
Ci sono alcuni monologhi che hanno fatto la storia di questo film, e non solo, hanno fatto la storia del cinema, Robin Williams ci coccola con le sue parole e ci sembra dare dei grandi insegnamenti anche noi che siamo li a guardare questo film.
Usa parole importanti, pesanti che ci fanno capire tutti gli alti e bassi della vita, la bellezza degli istanti e delle piccole cose, perchè i monologhi quando sono scritti così bene hanno questa forza.
Un buon monologo può darci molto, più di qualsiasi scena di azione o che visivamente ci colpisce, con il monologo impariamo a conoscere il personaggio, le sue caratteristiche e le parole ci entrano nella mente e alle volte ci commuovono, come quando si ascolta una canzone che sembra parlare di noi stessi.
Questo film si sviluppa su diversi livelli di rapporto, quello dell’amicizia semplice, infantile, in cui basta bere e sparare qualche cazzata, in cui tutti ci sentiamo più al sicuro e liberi di fare ciò che vogliamo.
Poi c’è il rapporto con la vita reale, il confronto con le difficoltà, la consapevolezza di cosa potremmo diventare, il lavoro e lo studio per raggiungere i nostri obiettivi, un rapporto che a volte non ci piace proprio e ci spaventa, facendoci tornare bambini e ci fa rinchiudere nelle sicurezze.
C’è il rapporto con l’amore e i legami quelli veri, quelli che ci fanno crescere e ci cambiano la vita, lo possiamo osservare nei rapporti che Will ha con Sean e con la sua ragazza, sono i rapporti che lo fanno crescere davvero e che lo portano in una vita più da adulto con più responsabilità. Un rapporto che gli permette di confessarsi, di parlare di cose più complesse e profonde, rapporti rari e quasi introvabili, delle volte anche quando hai la felicità davanti agli occhi fai di tutto per evitarla perchè hai paura che finirà e non ti vuoi “scottare”. Ti inventi e ti convinci di essere un ribelle, uno a cui non importa nulla di nessuno, ti convinci di essere una persona distaccata e solitaria, in modo che saranno gli altri a soffrire per te, ma tu mai per loro. Proprio come Will ci autoconvinciamo che non ci serve niente di speciale per essere felici, perchè siamo noi quelli speciali, quelli che hanno un idea del mondo che gli altri non possono comprendere, che in fondo Sean ci fa capire che quella è presunzione, è essere codardi, è una fuga verso le nostre convinzioni e non verso ciò che davvero ci renderebbe felici.
Film basati su i dialoghi ormai sono una vera e propria rarità, non si possono più spogliare come le vecchie poesie, andare a fondo, trovarne una propria verità o un proprio insegnamento, ed è davvero un peccato.
Il cinema è vero è fatto prima di tutto di immagini, tanto che è nato muto, ma quanto sono belle le parole? quanto valore prende un film quando riesce pure ad insegnarci qualcosa tramite le proprie dinamiche narrative e ai propri dialoghi.
Rimane comunque tremendamente difficile scrivere dei dialoghi convincenti nella sceneggiatura, e dove ci si perde di più dove non si è mai convinti, come un compositore davanti ad un piano forte, si prova a suonare qualcosa di cui si è appena scritto e si finisce per creare un mucchio di fogli stracciati.
Lo sceneggiatore a volte si trova a scrivere un ottimo dialogo, un monologo perfetto ma non sa come collocarlo o semplicemente non ha strutturato abbastanza bene prima il personaggio che le sue parole stonerebbero invece di essere perfette.
Il monologo più bello di Will Hunting, arriva quando Sean e seduto con Will su una panchina in un parco di Boston e gli un discorso sull’amore.
“Se ti chiedessi sull’arte probabilmente mi citeresti tutti i libri di arte mai scritti… Michelangelo. Sai tante cose su di lui: le sue opere, le aspirazioni politiche, lui e il papa, le sue tendenze sessuali, tutto quanto vero? Ma scommetto che non sai dirmi che odore c’è nella Cappella Sistina. Non sei mai stato lì con la testa rivolta verso quel bellissimo soffitto… mai visto. Se ti chiedessi sulle donne, probabilmente mi faresti un compendio sulle tue preferenze, potrai perfino aver scopato qualche volta… ma non sai dirmi che cosa si prova a risvegliarsi accanto a una donna e sentirsi veramente felici. Sei uno tosto. E se ti chiedessi sulla guerra probabilmente mi getteresti Shakespeare in faccia eh? “Ancora una volta sulla breccia cari amici!”… ma non ne hai mai sfiorata una. Non hai mai tenuto in grembo la testa del tuo migliore amico vedendolo esalare l’ultimo respiro mentre con lo sguardo chiede aiuto. Se ti chiedessi sull’amore probabilmente mi diresti un sonetto.Ma guardando una donna non sei mai stato del tutto vulnerabile… non ne conosci una che ti risollevi con gli occhi, sentendo che Dio ha mandato un angelo sulla terra solo per te, per salvarti dagli abissi dell’inferno. Non sai cosa si prova ad essere il suo angelo, avere tanto amore per lei, vicino a lei per sempre, in ogni circostanza, incluso il cancro. Non sai cosa si prova a dormire su una sedia d’ospedale per due mesi tenendole la mano, perché i dottori vedano nei tuoi occhi che il termine “orario delle visite” non si applica a te. Non sai cos’è la vera perdita, perché questa si verifica solo quando ami una cosa più di quanto ami te stesso: dubito che tu abbia mai osato amare qualcuno a tal punto. Io ti guardo, e non vedo un uomo intelligente, sicuro di sé, vedo un bulletto che si caga sotto dalla paura. Ma, sei un genio Will, chi lo nega questo. Nessuno può comprendere ciò che hai nel profondo. Ma tu hai la pretesa di sapere tutto di me perché hai visto un mio dipinto e hai fatto a pezzi la mia vita del cazzo. Sei orfano giusto? Credi che io riesca a inquadrare quanto sia stata difficile la tua vita, cosa provi, chi sei, perché ho letto Oliver Twist? Basta questo ad incasellarti? Personalmente, me ne strafrego di tutto questo, perché sai una cosa, non c’è niente che possa imparare da te che non legga in qualche libro del cazzo. A meno che tu non voglia parlare di te. Di chi sei. Allora la cosa mi affascina. Ci sto. Ma tu non vuoi farlo, vero campione? Sei terrorizzato da quello che diresti. A te la mossa, capo.”
Questo monologo è davvero bellissimo, tra l’altro adattato perfettamente dai nostri doppiatori italiani che riescono sempre a trovare le parole giuste per regalarci queste perle di sceneggiatura.
Il monologo è perfetto anche perchè qualche scena prima abbiamo già avuto prova del carattere del personaggio interpretato da Robin Williams, la sceneggiatura ci ha già dato prova del suo dolore e del rapporto che molto probabilmente aveva con la moglie, abbiamo capito che era un uomo che era stato tradito dalla vita, ma che non si era pentito di affidarsi all’amore.
Robin Williams è un valore aggiunto perchè riesce a dare la giusta espressione a queste parole, la giusta cadenza e frequenza per entrarti nel cuore, ci smuovono e ci fanno riflettere.
Questo monologo è collocato bene sia a livello temporale nella storia che a livello fisico nella tranquillità di un parco su una panchina, un luogo di pace in cui è più facile essere profondi e arriva nel punto in cui Sean deve per forza e in qualche modo smuovere quella stupida corazza che si è costruito Will.
In questo modo le parole acquistano più valore, più significato e ci sembrano ancora più perfette, c’è un anticipo, un prologo, poi c’è luogo giusto e il momento adatto all’interno della storia per essere pronunciate.
Segnano una svolta all’interno della storia e per i personaggi, tutti e due capiscono che parlare potrebbe fare bene a entrambi, capiscono che in fondo entrambi hanno bisogno di sfogarsi e ci da indizi sui protagonisti.
Capiamo la profondità dello psicologo Sean e vediamo e impariamo che Will non è solo un ribelle chiuso in se stesso, anzi è un ragazzo che sa anche fermarsi e ascoltare e perchè no apprendere qualcosa.
Questo è un paio di altri dialoghi sono talmente importanti che delineano non solo il carattere di Will ma ne tracciano pesantemente anche il futuro, tanto che le sue scelte di vita saranno guidate dalle parole di Sean. Chissà se qualcuno nella vita oltre a Will è stato anche lui condizionato da queste parole, chissà se ha imparato qualcosa.
Il resto dei dialoghi sono evoluzione di un rapporto che si crea tra Will e Sean, come se fossero quasi padre e figlio, un uomo esperto che insegna al giovane quando bello può essere l’amore.
Ci sono dei dialoghi stupendi in cui Sean parla di sua moglie e dei momenti belli e divertenti con lei, uno addirittura improvvisato da Robin Williams che è allo stesso tempo divertente quanto malinconico, recitazione meravigliosa.
Quando ci sono dialoghi del genere anche per l’attore è più facile entrare nel personaggio, recitare ed esprimere il meglio delle sue possibilità, una buona sceneggiatura aiuta proprio tutti, perchè tutto si incastra perfettamente, tutto sembra perfetto.
Le giuste parole messe al posto giusto rendono i film delle opere d’arte migliori di una poesia, perchè sono pezzi di vita, e fanno parte di tutti noi, in molti di essi ci possiamo riconoscere tranquillamente.
Questo film non è altro che un insegnamento a come vanno scritti i film incentrato sul confronto, sulla crescita personale e sulle parole, una lunga e bellissima poesia visiva.