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THE FALL OF THE HOUSE OF USHER: L’ULTIMO PRODOTTO DI FLANAGAN PER NETFLIX

QUATTRO CHIACCHIERE: In autunno su Netflix uscirà l’ultima serie creata da Mike Flanagan che ha da poco firmato con Amazon.

Netflix sembra che abbia perso un altro dei suoi pezzi pregiati, infatti l’autore di The Haunting of Hill House e Bly Manor, Midnight Mass e The Midnight club, Mike Flanagan ha un’ultima serie su Netflix per poi passare ad Amazon.

In autunno, molto probabilmente verso Halloween, Flanagan uscirà con il suo ultimo prodotto per la piattaforma, per poi passare alla “rivale” a creare film e serie. La serie che uscirà in autunno si tratta di The Fall Of The House Of Usher tratta da un libro di Edgar Allan Poe. La sinossi della serie e la seguente: “Un uomo viene invitato in visita dal suo amico d’infanzia Roderick Usher. Usher spiega gradualmente che sua sorella gemella Madeline è stata intrappolata nel caveau di famiglia non proprio morta. Quando riappare nel suo sudario macchiato di sangue, il visitatore si affretta ad andarsene mentre l’intera casa comincia a crollare e sprofonda in un lago“.

Non si hanno molte informazioni se non una trama in parte già delineata dal soggetto da cui è tratta, però sappiamo della presenza di un cast importante con nomi che hanno già collaborato con l’autore. Nel cast della serie figurano Bruce Greenwood (Gerald’s Game), Mark Hamill (Star Wars), Kate Siegel (Haunting of Hill House), Carla Gugino (Gerald’s Game), Mary McDonnell (Battlestar Galactica), Zach Gilford (The Purge: Anarchy), Paola Nuñez (Bad Boys For Life), Annabeth Gish (Midnight Mass), Malcolm Goodwin (Reacher), Rahul Kohli (iZombie), Samantha Sloyan (Midnight Mass), JayR Tinaco (Another Life, Space Force), Willa Fitzgerald (Reacher) e Robert Longstreet (Haunting of Hill House, Midnight Mass).

Mike Flanagan è un autore e un regista horror di grande livello e con Netflix ha trovato sicuramente un buono spazio creativo e la possibilità di farsi conoscere e crescere, era un po’ una garanzia come lo sono stati altri autori che grazie alle loro opere hanno tenuto in piedi il canale con prodotti sempre validi e di alto livello. Questa serie sicuramente ha già degli spunti interessanti e come ha detto lui potrebbe essere il modo ideale per concludere la sua collaborazione con Netflix, certo che più avrà successo e più sarà “triste” per Netflix aver perso un regista e autore di questo livello.

Mike Flanagan raramente sbaglia un prodotto, solitamente crea un forte contrasto negli spettatori che non sanno ancora decidere quale sia la miniserie migliore che ha creato per Netflix, perché ognuna ha dei pregi e dei difetti, ma mantiene sempre una certa profondità e un messaggio per lo spettatore. Non sono serie semplici, hanno sempre una giusta tensione ed e personaggi abbastanza elaborati da comprendere.

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MONSTER – IL CASO DEI FRATELLI MENENDEZ

QUATTRO CHIACCHIERE: MONSTER LA SERIE CHE CI HA RACCONATATO DI JEFFREY DAHMER, CI RACCONTERA’ IL CASO DEI FRATELLI MENENDEZ

Dahmer è forse una delle serie più di successo di Netflix e uno dei prodotti meglio riusciti della piattaforma, cura dei particolari, ottimi dialoghi e un livello di recitazione sempre di alto livello, hanno reso fin da subito la serie una delle più apprezzate. Seguita da molte polemiche per la crudeltà e freddezza di Rayn Murphy di raccontare alcuni eventi, la serie è stata rinnovata per altri stagioni, ovviamente in stile antologico, diventando così la serie Monster, che racconterà la storia di diversi serial killer o almeno così si pensava.

La notizia che Ryan Murphy si allontani così tanto dalla prima stagione non penso sia molto positiva, annullando completamente l’antologia della serie e forse anche il senso di essa, Monster non è nemmeno quindi da considerare una serie antologica, quanto un prodotto a sé stante in ogni su stagione.

Infatti sembrerebbe che nella seconda stagione al centro di tutto ci sarà il caso dei fratelli Menendez, che non hanno nulla a che vedere con il mondo dei serial killer ma che sono invece parte della classica cronaca nera dei delitti in famiglia, rendendo così la serie forse fin troppo simile ad American Crime Story.

La storia dei fratelli Menendez è un classico, purtroppo classico, omicidio in famiglia, dove i figli uccidono i propri genitori per appropriarsi dell’eredità. in una storia in cui dal lato psicologico c’è solo il fatto di come si arrivati a tanto e di come Lyle e Erik, i fratelli Menendez abbiano uccisi i propri genitori con una freddezza inaudita e che presero il processo con un sorriso surreale. Difficilmente però potrà essere paragonata a Dahmer perché è davvero un prodotto a sé stante, diverso sicuramente dal suo predecessore.

Evidentemente le pesanti critiche rivolte a Ryan Murphy hanno avuto il loro effetto e si è spostato su un caso più semplice, gestibile, senza dover mettere troppo in risalto la psicologia di un mostro. Molto probabilmente l’intento principale era quello di portare sullo schermo due mostri e di raccontare una storia molto diversa senza affossarsi in troppe similitudini raccontando ad esempio la storia di Glancy (il pagliaccio).

Questa sarà un po’ un banco di prova per questa serie, e Murphy lo sa bene, in ogni caso lo sarebbe stato, cercare di ripetersi cavalcando lo stile della prima stagione e immergersi in acque diverse ma comunque ben conosciute grazie alle produzioni precedenti. Una scelta che allontana forse un po’ il pubblico, ma che cerca nuovi spunti, nuove psicologie da analizzare e da vedere dal punto di vista del killer e della sua vittima e non del poliziotto

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CABINET OF CURIOSITIES: UNA “COSTOLA” DI GUILLERMO DEL TORO

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Cabinet of Curiosities è una serie antologica del 2022 ideata da Guillermo del Toro e distribuita da Netflix, la serie mostra in ogni episodio un racconto diverso, con protagonisti e registi differenti. Ogni episodio ha una forte marcatura horror e lo stile di Del Toro e percepibile un po’ ovunque.

L’intro e la sigla, l’ho trovato davvero molto bello e coinvolgente, Guillermo del Toro presenta la storia che andremo a vedere e annuncia il regista che ne curerà l’esecuzione. Un intro elegante, molto simile a quelle di Hitchcock.

Le storie raccontate sono diverse tra loro, ma molti simili nel loro stile fotografico e narrativo, con spesso una raffigurazione del male molto simile, disegnata molto probabilmente da Del Toro, dove il suo stile si vede proprio in queste rappresentazioni e nello stile generale della serie. Bellissimo il gioco “accademico” dei registi, per appassionato di regia questa serie è una piccola chicca, perché ogni episodio nasconde stili e caratteristiche differenti. Parte tutto dallo stile del “capo” e episodio dopo episodio, vedremo delle scelte di regia sempre uniche e davvero di ottimo livello. Una serie che tiene molto alto il livello visivo e in cui la recitazione è sempre di ottimo livello.

La trama dei diversi episodi sembra convincere un po’ meno, molto profonda a tratti, sembra un po’ lanciare dei messaggi su qualche peccato capitale, come avarizia e lussuria, però poi si perde spesso in finali che non convincono del tutto, spegnendo un po’ tutto il resto. Ovviamente ogni episodio ha i suoi pregi e i suoi difetti, artisticamente un bellissimo esperimento, nella pratica è un qualcosa che spiazza sicuramente il pubblico. Non fa paura, a tratti fa orrore, un orrore che non percepivo da molto e che la computer grafica aveva quasi annullato, in questa serie ho ritrovato un tipo di paura differente, non tanto da “jump Scared“, ma quanto da una sensazione di orrore, come a chi non sopporta di vedere il sangue.

Nel complesso dal lato puramente banale del piacere di vedere la serie, non posso promuoverla, nessuna delle storie mi ha coinvolto e mi hanno lasciato tutte molto perplesso, è facili distrarsi ed è difficili essere catturati davvero positivamente da un episodio. Però se guardo il lato tecnico, la fotografia, la regia e l’idea in se di Del Toro, non posso che promuoverla a pieni di voti, perché da quel lato è davvero una bellissima serie e un contenuto unico nel catalogo di Netflix.

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TEKKEN BLOODLINE: RECENSIONE DELL’ANIME NETFLIX

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Tekken Bloodline è una serie anime tratta dalla famosa saga di videogiochi della Bandai Namco. Una serie in stile anime, prodotta da giapponesi e distribuita da Netflix.

La trama ricalca in qualche modo e con un po’ di fantasia, la storia del terzo videogioco, con Ogre come nemico principale, il protagonista assoluto e Jin Kazama, che dopo la scomparsa della madre decide di vendicarsi e fa conoscenza con suo nonno Heihachi Mishima. Dopo una serie di duri allenamenti parte il grande torneo “King Iron Fist” per attirare l’attenzione del demone della lotta.

C’è grande rispetto per il videogioco e le sue dinamiche e personaggi, tutti molto ben disegnati e riprodotti, bella anche la scelta della trama, molto veloce che mette i combattimenti sempre al centro. Ci sono le mosse e le caratteristiche principali di ognuno di loro e se qualcosa non riguarda la lotta non gli viene dato peso. La serie è molto breve e ha una evoluzione immediata, non sappiamo molto dei personaggi, ma ci vengono mostrati in ricordo del videogioco. Il personaggio più approfondito è Jin Kazama che lotta un po’ con le sue origini, la parte buone e pacifica Kazama e la parte più malvagia, quella Mishima.

Molto immersivo e coinvolgente negli scontri, ricorda davvero molto le dinamiche del videogioco il cui punto di forza sono sempre stati i personaggi e le loro mosse. Una trama che strizza l’occhio un po’ anche hai primi due capitoli, con il gene del diavolo che passa da Kazuya a Jin. Una serie forse fin troppo breve, ma che facilità la visione e permette anche ai meno appassionati di godersi un anime di ottimo livello. Prova perfettamente riuscita è bello rivivere parte della propria infanzia grazie ad una serie così.

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RESIDENT EVIL: RECENSIONE DELLA SERIE TV NETFLIX

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Resident Evil (prime impressioni) è una serie Netflix del 2022 creata da Andrew Dabb, liberamente tratta dalla famosa saga di videogiochi della Capcom, da cui sono già stati realizzati diversi film. Una serie che fa fatica a trovare un genere, ma che prova a portare un po’ di horror e fantascienza, mettendo forse gli zombie un po’ da parte.

La trama principale era interessante e incuriosiva soprattutto le persone che non avevano mai giocato e approcciato con i videogiochi, il pubblico più facile da soddisfare. Purtroppo lo zoccolo duro di fan era già deluso prima che tutto iniziasse, troppo legato e affezionato ai videogiochi. L’idea di dividere la trama in due tra passato e futuro poteva funzionare e rendere la trama più interessante.

Le recensioni stanno massacrando questa serie, paragonandola spesso ed incessantemente ai videogiochi, un confronto che si fa spesso e giustamente per i live action ma che non porta mai a nulla. Le critiche più importanti sono quelle che riguardano appunto il genere troppo discordante dall’originale, una serie che di horror a ben poco e che a tratti sembra un Teen drama in pieno stile Netflix.

Manca uno spunto decisivo, con una trama che non decolla mai, i colpi di scena anche se belli sono un po’ ammorbiditi e non colpiscono fino in fondo lo spettatore, si vuole qualcosa ma non si sa cosa e la serie diventa un’attesa mai soddisfatta. I personaggi sono scritti troppo superficialmente e la differenza in loro tra passato e futuro e troppo evidente tanto da confondere e da rendere il tutto un po’ irreale anche nelle parti non da fantascienza.

Alcune idee carine vengono penalizzate da altre idee banali, che non ti aspetti in una serie cosi. Dopo otto episodi si finisce con la sensazione che deve iniziare qualcosa, come se questo fosse stato un semplice prologo. La serie non crea mai paura, tensione e suspense e sembra non avere un obiettivo bene preciso.

Nel complesso non è una brutta serie, ma è una serie da facile critiche, un misto tra una serie veramente fatta bene, anche a livello scenografico e narrativo a qualcosa di davvero pessimo, senza nessuno spunto. Forse troppo massacrata, Resident Evil riesce comunque a piazzarsi bene nel catalogo Netflix con qualcosa di leggermente diverso dal solito e che si fa vedere comunque con piacere, forse davvero troppo massacrata.

Peccato, Perché come sempre ci appare come una occasione sprecata, una occasione di fare davvero qualcosa di importante e diverso dalla solita serie Netflix, invece ci si perde sempre lì, con un po’ di teen drama e sempre davvero troppa leggerezza.

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YOU : RECENSIONE TERZA STAGIONE

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YOU è una serie televisiva targata Netflix, creata da Greg Berlanti e la prima stagione (recensione prima e seconda stagione ) è tratta dal romanzo di Caroline Kepnes. Una serie tv che ha fatto dell’amore “malato” una specie di format per poter mandare avanti la storia e farne tre stagione, con una conferma che ci sarà anche una quarta stagione.

Il difficile compito di YOU è quello di mantenere lo stesso livello di novità della prima stagione, mantenendo però lo stesso stile, creando nello spettatore la stessa curiosità. In questa stagione ritroviamo il solito protagonista Joe Goldberg, interpretato come sempre da Penn Badgley è alla prese con la sua nuova famiglia, la sua folle moglie Love Quinn e il loro figlio Henry (Forty). Appena trasferiti in un ricco quartiere di San Francisco, dovranno cercare di iniziare la loro nuova vita. Le cose degenerano con facilità tra gelosie e la “malattia” di Joe che non sembra mai passare.

Nella terza stagione vengono messo in risalto i gravi problemi psicologici dei due protagonisti, sempre più fuori controllo, un Joe Goldberg sempre molto riflessivo che però non si evolve, nonostante tutto rimane sempre lo stesso. Una Love ossessionata da una vita perfetta, con una facile propensione all’omicidio per gelosia e paura. Una stagione che riesce in qualche modo a portare avanti la storia e le sue dinamiche molto di più della seconda, ma che incespica un po’ nella sua prevedibilità.

Nel complesso gli amanti della serie possono essere soddisfatti, perchè viene esplorata una nuova dinamica di vita di Joe e Love, non perdendo mai i loro vizi, ma anche le loro passioni. Interessante anche il duello costante tra le due follie, una più controllata, scrupolosa e ossessiva come quella di Joe e l’altra più incontrollata, istintiva e senza controllo.

Una stagione che ci fa apparire il protagonista quasi come una persona buona che deve correggere gli errori della moglie, ma che poi ricade nella tentazione dell’amore folle, visto e rivisto in tutte le tre stagioni. Non c’è più l’elemento sorpresa, e questo fa perdere alla terza stagione un po’ della bellezza della serie, è tutto abbastanza prevedibile.

Ottima però nella sua storia, nelle dinamiche famigliari e nell’esposizione di un mondo che troppo spesso viene tenuto nascosto con problemi famigliari e tradimenti dati dalla noia della quotidianità, un YOU che non diventa singolo, ma che di sdoppia e guarda il punto di vista dei due protagonisti.

Nel complesso una buona stagione, sempre un po’ forzata e esagerata forse, ma che riesce a dare un seguito alla storia e portare avanti le follie di Joe Goldberg, a livello della seconda stagione, con un pizzico di profondità in più.

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COME VENDERE DROGA ONLINE (IN FRETTA) TERZA STAGIONE : UNA SERIE CHE COTINUA SU UN BUON LIVELLO

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Come vendere droga online o How to sell Drugs online è una serie tedesca di Netflix che ha da poco fatto uscire la terza stagione, mantiene lo stesso formato delle due prime stagioni, episodi non troppo lunghi, stile comedy, per un totale di 6. Si può tranquillamente vedere una stagione in uno o due giorni. Una serie che sta crescendo di popolarità e che sicuramente farà ancora parlare di se.

Inizio a pensare che le serie europee che parlano di teenagers siano ad un livello più alto di quelle americane, questa serie tedesca in parte ricalca la qualità di “Sex Education” ma la migliora, riuscendo a collocare la trama perfettamente ai giorni nostri, la generazione Z è assoluta protagonista, gli adulti sono solo un piccolo sfondo, e i social e la tecnologia sono parte integrante di tutto. Il livello era ottimo già nelle prime due stagione e nella terza rimane alto, rispetta le aspettative. I personaggi mantengono i loro stile e continuano nella crescita personale. Il bello di questa serie e che se pur breve riesce a far succedere un sacco di cose, aggiunge un sacco di elementi alla trama e trova il tempo per lo sviluppo dei personaggi, questo vuol dire che è scritta davvero molto bene.

Bellissimi alcuni piccoli sketch, in cui si interagisce con il pubblico in modo differente con delle specie di spot pubblicitari basati sul mondo dei social, davvero molto belli che aggiungono un tocco in più a tutta la serie. Bello anche come viene trattata la generazione Z, se ne parla un po’ di più del solito, si evita un po’ il discorso sesso, per puntare di più alla dinamica, soldi e futuro. Moritz Il protagonista ha manie di potere, ma allo stesso tempo pensa sempre all’amore, perchè in fondo è un bravo ragazzo. Poi c’è il suo migliore amico Lenny, che purtroppo sa che non avrà ancora molto da vivere, ma che dedica tutto il suo tempo ai suoi amici, poi ci sono Dan e Lisa che in questa stagione sembrano aver trovato una direzione, erano quelli più persi che avevano paura del futuro, qui al contrario sembrano molto più decisi e sicuri.

Anche questa stagione mantiene tutto ironico e leggero, non fa pesare nulla e sorvola un po’ su tutto quello che succede, fa ironia su tutto come la testa dei protagonisti che non capiscono al gravità di alcuni gesti che compiono, perchè i soldi purtroppo, come nella vita reale, mettono un velo che nasconde tutte, anche la morte e la sofferenza.

Ha il potenziale per andare avanti, anche se la quarta stagione sarà un po’ più difficile da gestire, ma potrà riservarci delle belle sorprese, spero che non perda mai il suo stile, e che anzi possa essere d’esempio ad altre serie televisive che vogliono descrivere un po’ questa generazione Z.