The Last Of Us con il suo sesto episodio, ci mostra un nuovo aspetto della vita dopo la pandemia. Un villaggio totalmente autonomo e popolato in cui sembra che il tempo si sia fermato a prima che il fungo infettasse tutto il mondo. I posti isolati sembrano riuscire a sopravvivere con piccole città che vanno avanti con la propria vita. E qui che Joel incontra suo fratello e si confronta con il proprio passato, rendendosi sempre più conto di quanto sia importante per lui Ellie.
Questo è forse l’episodio con la fotografia più entusiasmante, molto naturale, con paesaggi innevati e desolati da togliere il fiato, un episodio chiave per alcuni aspetti ma che stride quasi un po’ per la sua tranquillità, che poi sfocia in un cliffhanger nel finale. La regia rende molto, forse la migliore di tutti gli episodi, c’è una cura dei dettagli sempre maggiore e l’occhio di può perdere in diverse parti dello schermo. Una serie che rimane costante di alto livello e che riesce a regalare anche una certa profondità. Qui la storia di fa meno videoludica e più cinematografica, con un rapporto Joel e Ellie che si stratifica in diverse dinamiche sempre più affettuose.
Si può vedere quanto ormai Joel non abbia altro che Ellie e che la felicità altrui non fa che ferirlo e ricordargli ciò che ha perso, stessa cosa per Ellie che si ritrova a sentirsi persa e sola senza il suo “vecchio custode”. Un episodio che analizza altri aspetti della vita e non solo il confronto con gli infetti. Si accenna al futuro, al ruolo di Ellie come cura e alla possibilità di un mondo nuovo, a livello di speranza, fino a qualche istante prima della fine, è forse l’episodio più positivo, più lontano dalla solita negatività e malinconia che contraddistingue una serie del genere.
The last of us è una serie che rimane sui propri binari, che continua a rimanere fedele al videogioco da cui è tratta e che in ogni episodio si nota una bella scrittura e una bella storia che va avanti. Una piccola perla HBO, forse l’esecuzione e trasposizione migliore di un videogioco. Una serie che rimette in ordine le priorità e la cura del dettaglio e che forse potrebbe essere anche dopo questo sesto episodio, da esempio a future serie di questo genere.
I Came By è un film del 2022 distribuito su Netflix, un Thriller diretto e scritto da Barak Anvari.
La trama di per sé parte da uno spunto abbastanza semplice, ma nel corso della storia si complica e a tratti diventa poco comprensibile, soprattutto nell’atteggiamento di alcuni personaggi. I colpi di scena sono spenti e non funzionano, non danno il giusto effetto. Gli eventi del film non danno le giuste emozioni, nonostante di fondo la storia è interessante e abbastanza originale.
Un ragazzo come gesto di ribellione e protesta entra di nascosto nelle case dei ricchi per fare dei graffiti sul muro, niente furti o altro, ma solo un segnale di protesta contro i poteri forti e il sistema. Una notte entra in una casa di un ricco e importante giudice, ma scopre davvero qualcosa di strano all’interno della sua casa, da quel momento gli eventi prendono una piega negativa.
C’è un buon livello di tensione, ma il film non è scritto benissimo e patisce un po’ questa situazione, i personaggi sono caratterizzati male, a singhiozzo, appena sembra di averli compresi fanno scelte contrastanti e bizzarre. Alcuni punti rimangono aperti e non si capisce appieno lo scopo del film, che sostanzialmente fallisce nel suo intento. Ha degli elementi da apprezzare e nel complesso risulta comunque un film apprezzabile, nulla di troppo pretenzioso che ti tiene abbastanza interessato a ciò che succede. Si perde nel dettaglio, nei dialoghi e nella marea di film di questo livello presenti nel catalogo Netflix, il classico film che rimane sulla sufficienza, ma che non scende nemmeno nella spazzatura.
Un thriller che non sa del tutto cosa vuole fare, che vuole dare di più ma che alla fine risulta semplice e da prendere per quello che è, si poteva fare sicuramente meglio, ma nel complesso è un film godibile, senza troppe aspettative.
HellHole è un film polacco del 2022, un horror ambientato in un monastero dai mille misteri e sparizioni.
Un detective si finge un prete pellegrino per entrare nel monastero e indagare sulla sparizione di diverse ragazze, fin da subito si rende conto che in quel monastero di frati, nulla è come sempre e ci sono molti inganni e misteri. Il cibo stesso che viene servito a pranzo è disgustoso, una zuppa putrida che tutti faticano a mangiare, le ragazze subiscono un esorcismo, ma anche in quel caso non tutto sembra tornare.
Un horror abbastanza classico che non punta sullo spavento, quanto più sull’orrore e il disgusto su ciò che accade. Il film funziona bene soprattutto nella prima parte, si perde un po’ troppo nel finale perdendo un po’ tutti i punti di forza visti in precedenza. Un bel mistero da risolvere, gli inganni e il disgusto, tutto funziona alla perfezione e sia la fotografia che i dialoghi funzionano e anche bene. Nel finale si vuole fare un passo un po’ troppo lungo, si vedono i difetti e la storia vacilla, con una fine davvero scarna e forse fin troppo esagerata.
Non fa molta paura ma certamente l’ambientazione ha il suo perché, lo stile e apprezzabile, anche se si nota il low budget e la produzione non di altissimo livello. Grazie al doppiaggio la recitazione non sembra affatto male, le parti in latino danno anche il giusto tocco in più.
Nel complesso si può dire che sia un film che funziona dentro nei suoi limiti, e che appena esce da questi sbaglia e cade un po’ nel ridicolo, però apprezzabile il lavoro che c’è dietro, la trama ordinata e ben scritta e una sensazione di orrore sempre bene presente collocandosi perfettamente nel genere.
The Nun è un film del 2018 diretto da Corin Hardy ed è il quinto capitolo della saga di The Conjuring e nello specifico Spin-Off del secondo capitolo con protagonisti i Warren, questo film approfondisce il demone Valak che ha le ormai famose sembianze di una suora demoniaca.
Il villain principale (Valak), se così si vuole chiamare cosi, funziona alla grande a livello visivo, fa una certa paura nei suoi primi attimi, ma man mano che ci si abitua ad esso, la paura svanisce e a parte qualche spavento, il film non regale la giusta tensione che ci si può aspettare.
La trama principale è ben scritta da James Wan che è anche produttore esecutivo del film, ma a differenza di altri film, il paranormale sfiora la fantascienza e il fantasy, soprattutto nel finale in modo troppo esagerato. Un misterioso suicidio in un convento in Romania fa partire un’indagine dal vaticano, che a poco a poco mostrerà cosa davvero si nasconde il quel posto così oscuro. Il film è ambientato nel dopo guerra e ci mostra le origini di Valak e di come andrà poi a contatto con i Warren, allo stesso tempo ci spiega in parte, il perché abbia queste sembianze da suora.
Sicuramente la storia è intrigante e l’ambientazione convento di suore di clausura, e questo contrasto ravvicinato tra religione male puro fa un certo effetto, non convince del tutto la natura del demone, la sua uscita e i suoi poteri, troppo invadenti e surreali. Non c’è una vera e propria paura e dopo un po’ che si guarda il film ci si abitua un po’ a tutto senza essere sorpresi di nulla. L’inizio sicuramente è più bello e interessante del finale che si perde un po’ in effetti horror esagerati che non c’entrano molto con il mondo di The Conjuring.
Manca la regia di James Wan, perché la trama offre degli spunti validi, i personaggi principali creano curiosità e sono comunque interessanti, manca un po’ quello spunto in più di realismo e qualche scena iconica che potrebbe migliorare il film. Nel complesso rimane comunque un horror di ottimo livello che ben si colloca in questo universo cinematografico.
QUATTRO CHIACCHIERE: Forse il primo e vero universo horror, con spin-off e prequel, con i Warren come spunto narrativo.
The Conjuring Universe ha rivoluzionato un po’ il mondo dell’horror e lasciato una traccia importante nel genere, rendendolo più accessibile a tutti e creando una grossa curiosità nelle sue storie, grazie alla storia vera dei Warren.
Tutto è partito con il primo film del 2013, un film dalla storia classica di esorcismo, ma che attirò molto la curiosità del pubblico essendo tratto in parte da una storia vera, qui si viene a conoscenza di Ed Warren e sua moglie Lorraine due famosi demonologi che hanno passato la loro vita alla ricerca di forza oscure e di possessioni. Nella loro casa è presente una stanza piena di oggetti posseduti che hanno trovato durante le loro esperienze paranormali. La forza di questo franchise è stata quella di puntare su di loro e non sulle storie che raccontano. Il primo film racconta dei Perron una famiglia che ha subito eventi inspiegabili appena si sono trasferiti in una casa del Rhode Island.
L’evocazione è il classico esorcismo, ma con una cura dei dettagli e della regia davvero degna di nota, con unJames Wan che conquista tutti con il suo stile, l’Horror fa un passo in più e finalmente dopo anni dal film più iconico di sempre nel suo genere “L’esorcista”, un film horror non viene più considerato film di seconda categoria. The Conjuring non è solo paura, tensione e grossi balzi sul divano, ma anche un film con una trama che mette grande curiosità e che ti innesta la necessità di sapere altro sui Warren.
Tutto si evolve velocemente, viene prodotto uno spin-off sulla bambola posseduta vista nel primo film, Annabelle, che però non riscuote delle recensioni positive, ma il franchise non si ferma e mette in produzione altri progetti. Il vero film di questo universo è sicuramente The Conjuring 2 – Il caso Enfield, una storia che molti già conoscevano e che non vedevano l’ora di vedere sul grande schermo in un film. Questo è un film che viaggia da solo anche senza la presenza dell’horror, un thriller a tutti gli effetti, con una grossa traccia di vero paranormale solo nel finale. Come nella storia vera rimane il dubbio tra realtà e finzione, sembra quasi sia la bambina a fare tutto. Nonostante sia un film Horror il dubbio si insinua nel pubblico anche se è consapevole di ciò che lo aspetta. Anche qui i Warren sono i grandi protagonisti, portano amore e mistero nella trama. C’è un bellissimo mix di canzoni, si passa dai The Clash con un bellissimo spaccato della Londra anni 70′ ad un momento di pace e amore con la canzone di Elvis Presley cantata dai protagonisti.
Veniamo a conoscenza del demone Valak, una suora demoniaca di cui ci viene mostrata la storia nel “The Nun“.
Il sistema funziona, si parte con un film che si avvicina alle storie dei Warren, per poi farne un prequel per spiegare l’origine di quel male e di quell’oggetto indemoniato. Un sistema che permette di creare un universo cinematico horror senza precedenti. I due veri film di livello sono i primi due The Conjuring, forti di essere tratti da storie vere, di cui è possibile leggere le storie online. Anche gli altri seguono lo stile ben preciso, ma si perdono facilmente in cliché classici del genere con lo sforzo di dover far paura a tutti i costi.
Uno stile ben preciso, segnato nel profondo da James Wan e dagli sceneggiatori dei primi due film. La capacità di portare il cinema nell’horror e non viceversa, con piani sequenza davvero molto interessanti e con la fotografia che supera l’obiettivo unico e solo di spaventare lo spettatore. Con questa saga, l’utente non si ferma al film, ma può fare ricerche, confrontare il cinema con le storie vere e alimentare la sua paura verso il paranormale. La storia dei Warren ha il suo fascino e ha un fascino estremamente cinematografico. Sono storie che valgono la pena di essere narrate, che spesso hanno un lieto fine e che si prestano molto ad una sceneggiatura, ovviamente con molte aggiunte di fantasia.
L’obiettivo, come nell’esorcista, non è solo quello di creare paura con la scena in se, ma con tutto il contesto, insistendo con il fatto che siano degli eventi realmente accaduti, le foto reali nel finale non sono altro che una preparazione al film successivo e ci predispongono ad avere più ansia e paura prima ancora di vedere un film della saga. The Conjuring Universe si basa su tutto ciò che ha prodotto, guardi The Nun con la curiosità di sapere chi è il demone Valak e con l’illusione che ciò che stai guardando potrebbe essere successo veramente. Nessuno potrà mai battere il fascino intrinseco che ha un film tratto da una storia vera e non potendolo fare per tutti i film, il franchise sfrutta i Warren proprio per trasmettere questa sensazione e fascino.
The Conjuring poi, porta nel mondo dell’horror la figura cinematografica e narrativa del Villain, non si combatte più con spiriti ed entità astratte, ma con qualcosa di più concreto che ha una forma e delle caratteristiche precise. Si sono visti già in altri film del genere, ma in questi c’è un’evoluzione, una cura dei dettagli e degli spin-off creati per rafforzare le caratteristiche. Annabelle ha un aspetto fin da subito terrificante, inquietante e al tempo stesso che crea curiosità, tanto da avere tre spin-off comunque di alto livello. The Nun ci mostra Valak, anch’essa da subito iconica, questa suora demoniaca che ci mette soggezione fin dal primo istante in cui la vediamo e da subito sentiamo il bisogno di saperne di più sulle sue origini.
The Conjuring Universe ha una grande capacità di creare curiosità ed è stato perfettamente ideato per questo, prima della paura viene la sete di sapere di conoscere e di informarsi e poi quando siamo già belle pronti e condizionati arriva lo spavento alimentato da ciò che sappiamo, da ciò che ancora non sappiamo e dall’esperienze dei film precedenti. Come tutti gli universi narrativi funziona man mano che si vedono i film nell’ordine in cui sono usciti.
L’obiettivo finale non è solo quello di darti il film in se da vedere ma di darti qualcosa di più, una storia vera, la curiosità sui Warren e sul mondo di cui trattano, un Villain e una regia e fotografia sempre di ottimo livello in modo da essere appagato anche a livello visivo, portando il mondo dell’horror ad un livello superiore.
Cabinet of Curiosities è una serie antologica del 2022 ideata da Guillermo del Toro e distribuita da Netflix, la serie mostra in ogni episodio un racconto diverso, con protagonisti e registi differenti. Ogni episodio ha una forte marcatura horror e lo stile di Del Toro e percepibile un po’ ovunque.
L’intro e la sigla, l’ho trovato davvero molto bello e coinvolgente, Guillermo del Toro presenta la storia che andremo a vedere e annuncia il regista che ne curerà l’esecuzione. Un intro elegante, molto simile a quelle di Hitchcock.
Le storie raccontate sono diverse tra loro, ma molti simili nel loro stile fotografico e narrativo, con spesso una raffigurazione del male molto simile, disegnata molto probabilmente da Del Toro, dove il suo stile si vede proprio in queste rappresentazioni e nello stile generale della serie. Bellissimo il gioco “accademico” dei registi, per appassionato di regia questa serie è una piccola chicca, perché ogni episodio nasconde stili e caratteristiche differenti. Parte tutto dallo stile del “capo” e episodio dopo episodio, vedremo delle scelte di regia sempre uniche e davvero di ottimo livello. Una serie che tiene molto alto il livello visivo e in cui la recitazione è sempre di ottimo livello.
La trama dei diversi episodi sembra convincere un po’ meno, molto profonda a tratti, sembra un po’ lanciare dei messaggi su qualche peccato capitale, come avarizia e lussuria, però poi si perde spesso in finali che non convincono del tutto, spegnendo un po’ tutto il resto. Ovviamente ogni episodio ha i suoi pregi e i suoi difetti, artisticamente un bellissimo esperimento, nella pratica è un qualcosa che spiazza sicuramente il pubblico. Non fa paura, a tratti fa orrore, un orrore che non percepivo da molto e che la computer grafica aveva quasi annullato, in questa serie ho ritrovato un tipo di paura differente, non tanto da “jump Scared“, ma quanto da una sensazione di orrore, come a chi non sopporta di vedere il sangue.
Nel complesso dal lato puramente banale del piacere di vedere la serie, non posso promuoverla, nessuna delle storie mi ha coinvolto e mi hanno lasciato tutte molto perplesso, è facili distrarsi ed è difficili essere catturati davvero positivamente da un episodio. Però se guardo il lato tecnico, la fotografia, la regia e l’idea in se di Del Toro, non posso che promuoverla a pieni di voti, perché da quel lato è davvero una bellissima serie e un contenuto unico nel catalogo di Netflix.
La ragazza più fortunata del mondo è un film del 2022 diretto da Mike Barker e scritto da Jessica Knol che è anche l’autrice del libro da cui è tratto il film. Non avendo mai letto il libro o appreso informazioni a riguardo, leggendo la trama del film ci appare un po’ come un thriller, ma in realtà è un drama di denuncia molto profondo e intenso.
Mila Kunis interpreta una donna tenace e bella che ha fatto carriera e sta per diventare una giornalista di successo e sposarsi con un uomo bello, ricco e altolocato. La sua serenità verrà messa a dura prova quando un programma true crime, vuole la sua testimonianza per gli eventi del suo passato.
Molto bella e intensa l’escalation degli eventi, nel corso del film ci vengono dati solo pochi indizi su cosa sia successo nel passato della protagonista, che ci viene mostrato in piccole scene, con i suoi ricordi di quegli anni al liceo. Si intuisce che è successo qualcosa di grave e che un ex compagno la accusa di essere la colpevole di ciò che è accaduto. Un film che riesce a mantenere dei toni abbastanza leggeri e che strizza un po’ ai thriller più classici, ma che più va avanti si trasforma in un intenso drama di denuncia sociale, con al centro una forte resilienza femminile.
Gli argomenti portati sullo schermo sono molto seri e tosti, si parla di stupro di gruppo, di bullismo, e di una sparatoria nel liceo. Ci viene mostrato anche l’intensità e la gravità di alcuni momenti, cosa che troppo spesso in molte serie e film viene evitata. Questo film nel finale va dritto al punto, nonostante la situazione è facile empatizzare con la protagonista, con il suo dolore e soprattutto con la sua forza, la voglia di riscatto e il senso di liberazione finale.
Una vita estremamente difficile segnata dagli eventi, le paure e le insicurezze che si portano dietro e si trascinano dietro pesantemente fino ad eventi importanti come al proprio matrimonio. La maschera che indossiamo diventa parte di noi stessi, perdiamo gli obiettivi e non ricordiamo più chi siamo realmente, con il dolore ben nascosto e soppresso più del dovuto.
Un film molto intenso nei suoi argomenti, che fa riflette e su cui è giusto soffermarsi a valutare ciò che succede, come è perché, c’è dentro tanta sofferenza, ma anche una rinascita, un riscatto finale, con una scena davvero intensa, reale e densa di significato. C’è tempo di tenere il dolore con sé e tempo di condividerlo, per aiutarsi a vicenda, per dare coraggio alle persone che non ne hanno e per salvare altre persone che potrebbero essere in pericolo.
Un bel film, ben scritto, che i giusti toni e tempi, inaspettatamente bello.
La Mummia è un film del 2017 diretto Alex Kurtzman e con protagonista Tom Cruise, il film non è propriamente un sequel un reboot del film del 1999, anche se le similitudini e le citazioni non mancano di esserci. La mummia fa parte di un progetto della Universal chiamata Dark Universal in cui si facevano film sui “mostri oscuri” più famosi del cinema e della letteratura, tutti in qualche modo facendo parte dello stesso universo, il primo flop è stato Dracula Untold, il secondo è stato proprio questo film che ha fatto sospendere subito queste produzioni.
La Mummia sbaglia fin da subito, con un film che perde le caratteristiche avventurose del primo, per fare spazio a situazioni di azione e con un protagonista di per sé troppo iconico, ma scritto veramente male, alla fine del film non si capisce nulla di Nick Morton (Tom Cruise), come di tutti gli altri personaggi. La storia di per sé non si allontana poi così tanto dai film sulla Mummia che già conosciamo, ma si perde davvero molto nel finale, diventando ridicola e senza impegno. L’universo dark creato da Universal non convince, punta tutto sugli attori principali e perde un sacco di caratteristiche nei dialoghi, nei personaggi e nella fotografia, dissolvendo nel nulla il lato Dark che si era presupposta di dare.
Tentativi di imitazione Marvel un po’ sparsi per il film, con un umorismo che non fa mai ridere, ti aspetti un film incentrato molto sul “Mostro” in questione, magari che ne so, anche un po’ introspettivo, una novità che possa sorprendere il pubblico, invece decidono di fare la solita cosa, con molta azione girata bene, umorismo e situazioni senza un gran senso logico. C’è pure Il Dottor Jekyll che diventa Mr. Hyde (Russell Crowe) buttato nella mischia della trama, e spolpato di qualsiasi caratteristica interessante del personaggio di Robert Lewis Stevenson.
Il personaggio della Mummia interpretato da Sofia Boutella ha delle caratteristiche interessanti, che purtroppo vengono un po’ soppresse e sminuite da una trama davvero molto frettolosa e troppo improntata all’azione e per nulla alla profondità del personaggio. Un vero peccato perché, per creare un vero universo Dark, era fondamentale l’approfondimento dei personaggi, dei cattivi, cosa che è stata fatta in modo sbagliato anche in Dracula Untold.
Un’idea che parte nel modo sbagliato, che viene sviluppata ancora peggio e che ci offre un film guardabile, normale, anche a tratti piacevole, ma che non ti conquista in nessun modo e che sicuramente ti lascia con l’amaro in bocca e la consapevolezza che si poteva fare sicuramente meglio.
Scappa – Get Out è un film del 2017, scritto, diretto e co-prodotto da Jordan Peele, al suo esordio alla macchina da presa, questo film ebbe un gran successo nella critica e vinse anche un premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale. La prima cosa che si nota di questo film è appunto la sua trama, molto avvincente, nuova e particolare, con anche dei significati profondi.
Get Out è un thriller che parla di razzismo e schiavitù ma lo fa in modo innovativo, spostando la storia ai giorni nostri, in una famiglia borghese di ceto medio, liberale, non del tutto razzista, ma che porta avanti una tradizione che in qualche modo sfrutta i neri. Una famiglia molto misteriosa che fin da subito si capisce che nasconde qualcosa.
La capacità di Peele è stata quella di creare una tensione costante già delle prime scene del film, non c’è un momento di tranquillità, sembra sempre esserci qualcosa che non va, qualche sospetto, o comportamenti decisamente strani da parte di tutti i protagonisti. Si ha proprio la sensazione che Chris interpretato da Daniel Kaluuya sia circondato da questi uomini bianchi che sembrano odiarlo e amarlo allo stesso tempo, una sorta di disagio che arriva bene anche al pubblico. La domestica e il giardiniere anch’essi di colore, con un atteggiamento davvero molto particolare, quasi come fossero dei robot, non del tutto presenti in quel mondo e con la testa tra le nuvole. Forse sono loro i personaggi che creano più paura in questo film.
Ogni scena ha un suo perché, è ben strutturata e porta sempre qualcosa, che sia un nuovo indizio su ciò che sta accadendo o che serva a far crescere la tensione nello spettatore, un film davvero ben scritto e ben pensato. Una nuova forma di schiavitù e il raggiungimento di una sorta di vita eterna sono questi i punti focali del film che vengono rivelati a poco a poco e con i tempi giusti, tenendo sempre elevatissimo il livello di curiosità.
Jordan Peele ha fatto subito centro alla sua prima da regista, con un film che rivela già il suo stile, con questi sguardi spiritati, questa tensione sempre presente e con elementi horror nella caratterizzazione dei personaggi, sempre molto particolari e violenti. Questo film è anche la dimostrazione che si può fare davvero bene anche con un budget limitato. Un film che consiglio davvero a tutti di guardare.
RECENSIONI COMBINATE: I tre film di Jumanji dal primo storico con Robin Williams ai nuovi film con “The Rock”, in attesa del terzo film della trilogia.
Nel 1995 arriva nel cinema il film “Jumanji”, una novità assoluta, qualcosa di assolutamente nuovo e con non assomigliava a nulla. Diretto da Joe Johnston e interpretato da un grandissimo Robin Williams. Il film è tratto da un albo illustrato per bambini scritto da Chris Van Allsburg nel 1981.
Il primo film di “Jumanji” è davvero un bel film, è scritto bene, è recitato molto bene dai suoi protagonisti e può essere definito a mio parere, come una specie di horror per bambini. Infatti questo film riusciva a regalarti un misto di sensazioni tra risate e paura. Pensare alla vita di Alan Parrish chiuso nel gioco per 26 anni crea comunque un senso di angoscia. Nel complesso il film giocava molto sul giusto equilibrio tra ironia e spavento.
Il suono dei tamburi diventa subito iconico, e ci trasmette anch’esso una sensazione di paura perché ricorda molto il battito del cuore accelerato. Bello anche visivamente con scene davvero ben congeniate, anche la scatola del gioco in sé è molto affascinante con queste pedine che si muovono da sole. Il bello di questo film è che porta il gioco di Jumanji “fuori dalla scatola” e lo porta nella vita reale, quindi possiamo solo immaginare come possa essere lì dentro in base a qualche accenno folle nei racconti di Parrish. Un fascino difficile da replicare, con un intenso rapporto tra padre e figlio, infatti il cacciatore è interpretato volutamente dall’attore che interpreta il padre di Alan.
Giustamente in quegli anni non si usava molto fare i sequel, anche se questo film ci ha sempre lasciato la tentazione di sapere com’era il mondo all’interno del gioco di Jumanji, una parte di noi voleva essere risucchiata dentro come il giovane Alan Parrish.
Jumanji era un film di forte contrasti, un film dai toni un po’ cupi e con scene divertenti e più leggere solo in alcuni casi, un film con una sceneggiatura davvero ben scritta e che convinceva fin da subito. Uno di quei film con i finali aperti che non saprai mai se vedrai un seguito oppure no. Chissà come sarebbe stato un altro film con Robin Williams? Magari non avrebbe la forza del mistero e della novità che ha avuto il primo film.
Nel 2017 esce un nuovo Jumanji, che solo in piccola parte è il sequel del primo film del 1995. Diretto da Jake Kasdan ha come protagonisti Dwayne Johnson, Jack Black, Kevin Hart e Karen Gillan. Fin da subito si capisce un cambiamento dei toni, questo film è tutto comicità e ironia. Lo stesso cast è adatto alle commedie e il titolo Jumanji in sé, serve solo per attirare pubblico e c’entra poco o nulla con il primo film. Questo apre un nuovo ciclo, una nuova tipologia di film di Jumanji, forse più moderna e più adatta al pubblico dei giorni nostri.
Questo Jumanji – Welcome to the jungle è molto diverso dal primo, ma nel complesso è una bellissima commedia, fa molto ridere ed è ben scritto e recitato. Punta tutto sulla leggerezza, su battute semplice e sulla comicità dei propri personaggi. Entra letteralmente nel gioco, e un gioco che si evolve per attirare l’attenzione è davvero una scelta geniale. Bellissima l’idea degli avatar, opposti alle caratteristiche dei ragazzini protagonisti nella vita reale.
Un film che nel complesso si presenta come una commedia commerciale, fatta per piacere al pubblico senza troppe pretese e cavalcando l’onda del successo del primo. Tutti ci immaginavamo un mondo di Jumanji completamente diverso, sicuramente più oscuro e crudo e non ci viene detto nulla sul passato di questo mondo o sulla vita di Alan Parrish li, se non una scritta su un pezzo di legno e una citazione.
Questo film perde il fascino della paura e del mistero, ma aggiunge un sacco di azione ed effetti speciali, evidenziando le differenze di concezione di film tra gli anni novanta e i giorni nostri. Il protagonista folle ma dal fisico normale come Robin Williams, viene sostituito dall’uomo muscoloso ma rassicurante come “The Rock”. Una scelta che fa storcere il naso ai molti fan del primo film, ma che nel complesso funziona ed evita di incespicare in cose troppo complesse e serie.
Jumanji – the next level è il secondo capitolo della nuova trilogia e terzo film su Jumanji. Film del 2019, ritrova lo stesso regista Jake Kasdan e lo stesso cast del film precedente. Si aggiungono al cast due attori importanti come Danny DeVito e Danny Glover.
Anche questo film punta tutto sulla comicità, usando le caratteristiche del film precedente, ma aggiungendo qualche piccola novità che aiuta il film ad essere forse ancora più divertente. Sempre molto leggero, questo capitolo aggiunge sempre più caratteristiche al mondo di Jumanji, rendendolo sempre di più un videogioco, forse anche troppo. La trama non è banale, ma risulta forse un po’ noiosa e a tratti troppo infantile, a livello visivo ancora più bello del precedente.
Gli attori recitano bene, c’è un’ottima chimica tra di loro, e sono davvero bravi a cambiare in base alle persone che hanno nel loro avatar. Tutti molto divertenti in un film che punta tutto sulla comicità e che è strutturato per fare ridere. Le scelte sulla sceneggiatura vengono fatte proprio in base alle situazioni più divertenti possibili.
In questo film viene rimarcata l’importanza dell’amicizia, del condividere le cose e le esperienze. Le cose fatte in compagnia sono sempre le migliori ed è giusto fare pace dopo un litigio. Si può sintetizzare questo film con la classica frase, l’Unione fa la forza.
Nel complesso la saga sta perdendo un po’ tutto il suo potere, la dinamica del videogioco è sì divertente ma non convince del tutto, e si percepisce forte la nostalgia del primo capitolo con quel tocco di serietà e complessità che attirano. Il trucco, le scene reali e la poca o grezza GCI del primo film lo rendono più unico e sicuramente più affascinante.
Questi due nuovi capitoli sono solo dei grossi film commerciali fatti per piacere e divertire, lo fanno molto bene ma poco c’entrano con la visione iniziale di questo mondo. Dividendoli dal primo sono film che però si reggono da soli, hanno una loro dimensione ben precisa e hanno gestito perfettamente i primi due film.
Con il terzo capitolo della trilogia, proprio come nel film 1995 si torna alle origini e sembrerebbe che il gioco uscirà di nuovo nel “mondo reale” con tutti i suoi animali e personaggi strampalati. Questo sarà molto curioso e sicuramente con i protagonisti che finalmente incontreranno di persona i propri avatar. Arrivare ad un quarto film e creare curiosità è un’ottima cosa, vuol dire che è stato fatto un buon lavoro, indipendentemente dalla somiglianza con il primo film originale.