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THE MANDALORIAN: RECENSIONE PRIMA STAGIONE

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The Mandalorian è una serie di Disney plus tratta dall’universo narrativo di Star Wars ed è la prima serie non digitale tratta dalla saga Cinematografica e collocata temporalmente dopo i fatti della prima trilogia creata da George Lucas.

La serie è creata da Jon Favreau (Famoso assistente di Tony Stark e tutore di Peter parker nell’MCU). La serie ha dei grandi nomi alla regia (Taika Waititi) anche in alcuni episodi il che la rende fin da subito una serie di un certo spessore e non semplicemente un contenuto tratto da Star wars.

The Mandalorian ha uno stile un po’ anni 80′ in al alcune sue scelte stilistiche e ricalca un po’ le dinamiche narrative dei vecchi film western, ritorna ad uno stile più “manuale” e meno digitale anche se è pioniera dell’utilizzo dello Stagecraft o volume.

La trama, grazie a questa collocazione quasi western funziona davvero molto bene, è il protagonista Mandaloriano (essenzialmente un cacciatore di taglie) acquista di valore e di caratteristiche nel ruolo di protettore e curatore di Baby Yoda (Grogu). Anche se è per lo più una mossa di marketing, il personaggio misterioso e molto dolce di un piccolo Yoda funziona alla perfezione ed è centrale nell’evolversi della storia.

Questa serie offre un punto di vista diverso sul mondo di Star Wars, un punto di vista più umile, di contorno e meno da protagonista dei film, con un universo che si sta ancora assestando dopo la caduta dell’impero. I personaggi sono scritti molto bene e anche ben caratterizzati, c’è una bella storia orizzontale, ma in ogni episodio c’è una storia verticale ben definita.

The Mandalorian è perfetto per i fan della saga perché li riporta indietro nel tempo e alle caratteristiche dei primi film, ma è anche una buona serie per chi non ha mai avuto nulla a che fare con i film e che potrebbe cerare curiosità verso questo universo narrativo in continua espansione.

Questa serie ha diversi elementi positivi, una trama convincente, un buon livello di recitazione, visivamente molto bella e un bellissimo legame con Star Wars, tanto da far rammaricare il pubblico di come poteva essere fatta l’ultima trilogia. Una bella serie con l’unico difetto che deve sempre sopportare il peso dei film di star wars.

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ONLY MURDERS IN THE BUILDING: RECENSIONE SECONDA STAGIONE

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Only Murders in the Building è una serie americana del 2022 arrivata alla sua seconda stagione, la serie e stata creata anche da Steve Martin che è anche il protagonista con Selena Gomez e Martin Short.

La prima cosa che si nota e che i tre attori sono più amalgamati e convincenti della prima stagione, un paio di personaggi spariscono senza preavviso però la trama funziona ugualmente con solo il personaggio di Selena Gomez che ha un’evoluzione non del tutto canonica e forzata. Questa stagione ha un legame più profondo con lo spettatore che inizia a prendere confidenza con i personaggi.

L’Arconia è teatro di un nuovo omicidio e anche questa volta i tre autori del podcast sono sotto attacco, con minacce e delle tracce fasulle per provare ad incastrarli. La soluzione finale è complicata e si viene spesso ingannati dalla miriade di possibilità, tutti sembrano un possibile assassino. Il finale è risolutivo e sembra dare un respiro diverso per la terza stagione che potrà staccarsi un po’ dal solito edificio. In questa seconda stagione il format non solo viene confermato ma anche rimarcato, con n approfondimento del passato dell’edifico, il suo “scheletro” e il suo possibile futuro.

Le sottotrame sono interessanti e completano alla perfezione la trama principale, con questa stagione che ha davvero puntato molto sul rapporto tra padri e figli ce non sempre e facile e con coppie ormai divise da mille motivi. Quindi c’è sempre una piacevole leggerezza, in cui ogni tanto ci si immerge in momenti più profondi ricalcando un po’ quelle che sono le caratteristiche del personaggio interpretato da Martin Short.

Only Murders In The Building rimane una serie leggera e piacevole, adatta un p’ a tutti e che non prende troppo tempo per essere vista, un prodotto piacevole e comunque sempre abbastanza innovativo del catalogo Disney Plus.

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ONLY MURDERS IN THE BUILDING: RECENSIONE PRIMA STAGIONE – UNA SERIE UN PO’ PARTICOLARE

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Only Murders in the building è una serie statunitense creata da Steve Martin e John Hoffman e con tre protagonisti molto distinti tra loro, Steve Martin stesso, Selena Gomez e Martin Short.

La trama è particolare e sinceramente innovativa sotto certi punti di vista, la serie si presenta un po’ come un Crime comedy, con tre protagonisti molto ben caratterizzati che vivono nello stesso enorme palazzo nel centro di New York, due ormai ex star del cinema e della tv, uno un attore e latro un regista e autore e una ragazza un po’ più misteriosa, che sta mettendo a posto l’appartamento della zia. I tre grandi appassionati di un podcast true crime, decidono di aprirne uno loro dopo che nell’edificio è capitato un omicidio.

Praticamente si svolge tutto all’interno di un palazzo che è talmente grande da sembrare un piccolo paese con i suoi abitanti e con le sue vicissitudini, un’esperienza diversa dal solito, con un giallo che appare leggero, un po’ all’antica in stile Agatha Christie. Bella anche l’idea del podcast che rende la serie molto originale oltre che a passo con i tempi.

L’alchimia tra gli attori è ottima e la serie è scritta bene, eppure va vista tutta fino in fondo questa prima stagione per essere apprezzata del tutto, l’ambientazione leggera rendono sì la serie più divertente, ma allontana un po’ lo spettatore dal caso rendendo i colpi di scena meno efficaci. Perdendosi un po’ a tratti e non mettendo la giusta suspense, la serie funziona ma non del tutto.

Ha suo favore ha sicuramente l’originalità e la qualità della recitazione, la prima stagione rimane piacevole in tutte le sue puntate, in alcuni momenti anche molto divertenti, la trama è facile da seguire anche se il caso risulta un po’ complesso, tutto viene spiegato molto bene, c’è un finale apertissimo pronto per la seconda stagione.

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NEL NOME DEL CIELO: RECENSIONE MINISERIE, LOTTA TRA FEDE E GIUSTIZIA

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In nome del cielo è una miniserie creata da Dustin Lance Black e basata sul romanzo Under the banner of Heaven: a story of violent faith di Jon Krakauer.

La serie con protagonista Andrew Garfield vede un giovane detective mormone che deve indagare su un violento caso di omicidio, di una donna e di sua figlia, all’interno della comunità religiosa. Fin da subito dovrà confrontarsi con la propria fede che sembra proprio essere al centro di questo caso.

La serie riesce a trattare in modo molto inciso un forte confronto tra fede, fanatismo religioso e giustizia con il protagonista detective che si ritrova in mezzo ad una situazione che fa dubitare il suo credo e vacillare la sua fede. Il lato oscuro della religione, del fanatismo e della sete di potere e di controllo che essa può portare. La serie non si ferma sulla superficie ma ci mostra a fondo la comunità Mormone nelle vicinanze di Salt Lake city, un’indagine che rivela l’aspetto negativo e da setta che può portare la troppa fede.

La presenza di un co-protagonista detective più esperto e di origini Indiane d’America, rende il contrasto ancora più duro e forte con una religione che non accetta estranei e li tratta con un tatto differente, ovviamente è tutto estremizzato, ma è tratto da una storia vera che testimonia quanto la fede si possa trasformare in violenza se usata come strumento di potere e di controllo.

Sicuramente è ben recitata, Andrew Garfield rimane ancora un attore fin troppo sottovalutato anche se sempre di grandissimo talento, difficilmente i dialoghi sono banali, anzi sono una profonda riflessione su una religione e sulla fede, uno sguardo profondo, verso la caratteristica dell’uomo della necessità di avere una bussola e di come essa possa perdere facilmente la direzione.

Un serie che ha fatto discutere perché rappresentazione cruda e fin troppo cinica di una comunità religiosa abbastanza importante in America, però una serie fatta bene, con i giusti toni e con i dialoghi che sono centro importante dell’evolversi della storia con una fotografia che migliora episodio dopo episodio.

Quando una serie o un film trasmettono curiosità, voglia di ricerca, voglia di leggere e di saperne di più, voglia di raccontarle, vuol dire che hanno fatto davvero un buon lavoro. In nome del cielo è così, è incisiva, crea curiosità e ti fa andare oltre alla semplice visione della serie stessa.

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THE BEAR: UNA SERIE SEMPLICE MA GENIALE

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The Bear è una serie FX del 2022 creata da Christopher Storer e resa disponibile su Hulu e in Italia su Disney +. Una serie semplice ma che molti versi è forse la miglior serie del 2022.

La trama segue le vicende di Carmen “Carny” Berzatto (Jeremy Allen White), uno chef di alta cucina è dal grande talento, che passa dal lavorare in un ristorante super stellato, alla paninoteca Italiana di famiglia, lasciatogli in eredità dal fratello suicida. Una serie drama, breve fatta da otto episodi, semplice, ma molto profondo e intensa, che parla di cibo, di lavoro, della vita stressante del lavoro in cucina e anche delle amicizie e dei dissapori che possono nascere in situazioni simili.

La serie oltre a stupire per un livello di recitazione sempre eccellente, stupisce per un utilizzo sensazionale della semplicità, praticamente si svolge tutta nella cucina, il ristorante non viene praticamente mai mostrato, eppure nessun momento è mai banale. Una serie curata, ben scritta e girata che trasmette davvero un sacco di sensazioni ed emozioni, in cui la tensione lavorativa e palpabile, ma anche la passione e il talento dei protagonisti della storia.

The Bear fa poche cose ma le fa in modo eccellente e ben centrato, sfruttando un po’ lo stile e il blasone di programmi televisivi ormai decennali come cucine da incubo o Master chef, si respira realtà e le emozioni sono vere e forti, tanto da percepire a volte una sensazione di claustrofobia dentro quella piccola, folle e affollata cucina. Riesce a farti venire fame, a stupirti anche a livello culinario, la cura nei dettagli è fenomenale e si vede quanto tutto il cast fosse pienamente coinvolto in questa storia.

Questa serie è un po’ la dimostrazione che con poco si può fare davvero tanto, con una buon’idea e un buon lavoro, anche una semplice serie che parla di ristorazione e cucina, può essere variegata, profonda e davvero piena di splendide sfumature. Sicuramente è la sorpresa del 2022 e per molti versi penso davvero possa essere uno dei prodotti di più alta qualità che ho visto ultimamente. Se ne parla ancora troppo poco, non è nel giro mainstream, eppure è davvero un prodotto che merita davvero un sacco. C’è purezza verità, e la crudeltà della vita ci viene sbattuta in faccia senza troppi complimenti. The Bear è passione travolgente, che parte dal suo creatore e arriva fino agli attori e poi allo spettatore che si trova davanti ad un prodotto di davvero altissima qualità.

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THE LAST OF US – RECENSIONE EPISODIO 8: TUTTA LA RABBIA DI ELLIE

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The Last of Us sta per giungere al termine e in questo ottavo episodio i toni thriller si fanno più intensi, mettendo in scena, l’episodio più cinico e violento visto fino ad ora. Magistralmente diretto creando una giusta tensione, con Ellie assoluta protagonista in un dualismo con un ottimo Villain.

Rispetto all’episodio precedente che ci ha fatto fare un tuffo nel brutto passato di Ellie, in questo episodio ritorniamo nel presente, nella gelida America, con Bella Ramsey che dà prova delle sue doti attoriali ed è l’assoluta protagonista. Un dualismo convincente quello tra Ellie e David, un uomo che mischia la fede con mania di potere e di controllo. Non ci sono infetti ma solo un confronto crudo e tosto con uno dei mostri più temibili del pianeta, l’essere umano.

Ellie prende le redini della situazione, e trova un modo per curare Joel che sta ancora molto male, ci mostra tutta la sua forza e determinazione, ma anche le sue paure e fragilità. Incontra degli altri esseri umani, le cui intenzioni sono per lo più misteriose e in bilico tra sopravvivenza e sete di vendetta. Il confronto e crudo e cinico, chiunque lotta per sopravvivere e nel finale vediamo uno sfogo di rabbia e violenza molto intenso, rappresentativo e indicativo di quanto può essere cruda e tosta questa serie.

Si parla per la prima volta di fede in un dialogo molto rilassato tra Ellie e quello che sarà il suo nemico in questo episodio, David, in cui si parla di Dio e di fede e di quanto questa possa in alcune situazioni salvare le persone, la speranza è sempre una parte fondamentale di the last of us. Una lotta continua tra la rassegnazione e la speranza, con attimi di pura e semplice sopravvivenza, se non vuoi essere ucciso devi uccidere.

La scrittura è sempre precisa, i dialoghi sono densi e significativi, sempre un ottimo lavoro di Druckmann e Mazin. L’unico difetto forse, è che arrivati a questo punto, si hanno degli ottimi episodi, alcuni davvero dei piccoli capolavori, ma una storia orizzontale che non convince del tutto e il cui obiettivo di perde un po’ episodio dopo episodio. Sembra non esserci un inizio e una fine specifica e non ci si rende conto in che parte della storia ci troviamo, con solo l’evoluzione dei personaggi a ricordarcelo. Certi eventi non hanno grosse conseguenze sui personaggi che sembrano scordare tutto troppo in fretta.

A parte questo piccolo difetto, dato un po’ dal tema da cui è tratto, la serie sta viaggiando molto bene, con episodi sempre di altissima qualità e sempre molto significativi, anche la recitazione è sempre di alto livello e man mano che va avanti e si appresta ad arrivare al finale della prima stagione, The last of us sembra proprio essere un piccolo capolavoro.

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OUTER BANKS 3 – RECENSIONE STAGIONE 3: UNA SERIE ADATTA A NETFLIX

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La stagione 3 di Outer Banks fa proseguire la storia e continua con una nuova caccia al tesoro, conquistando a poco a poco sempre più fan. La serie creata da Josh e Jonas Pate e Shannon Burke non perde la sua identità, ma anzi la rafforza e diventa perfetta per la piattaforma Netflix, che ha sempre bisogno di prodotti del genere.

Come nelle prime due stagioni rimane la sua leggerezza, la sensazione che i protagonisti non sono mai in pericolo, e rispetto le prime due stagioni, la parte avventura e forse ancora più rimarcata. I ragazzi protagonisti sono inizialmente sperduti su un’isola nel mar dei caraibi, che rinominano “pouguelandia“. John B, Sarah, Kiara, JJ, Pope e la nuova arrivata Cleo, vengono salvati dopo circa un mese e portati a Barbados dove fanno al conoscenza con il Villain di questa stagione, Sigh, un ricco indiano che vuole disperatamente trovare El Dorado e ha bisogno del diario di Denmark.

Nuovi amori e difficoltà non fanno che unire nel finale ancora di più il gruppo che sarà pronto per una nuova caccia al tesoro nella stagione successiva. I personaggi crescono e si evolvono nelle loro caratteristiche e ognuno di loro riesce finalmente ad esprimere tutti i suoi sentimenti. Una serie che fa dell’amicizia un punto centrale e fondamentale e che riesce anche a tenere una parte di avventura e caccia al tesoro comunque interessante. La serie cresce, rimane sempre un po’ banale sotto certi aspetti o ovviamente molto semplice e innocente, molto per ragazzi.

Rispetto alle prime stagioni, ovviamente la storia e meno verosimile, e rende il tutto un po’ troppo fantasioso, l’azzardo di El Dorado è sempre un passo un po’ troppo lungo che spesso ha fatto fallire anche i film. Però è stato ben gestito fino in fondo, con la capacità di rimettere comunque al centro della trama le Outer Banks e il confronto tra Kooks e Pogues. Una serie che mantiene il suo stile e che è e rimane nel perfetto stile Netflix, una serie che fa urlare i teenagers di gioia e li fa emozionare.

Outer Banks è una serie che ce l’ha fatta, piacevole da vedere e che si è creata il suo pubblico, una serie un po’ per tutto con un bello spirito di avventura e amicizia.

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THE LAST OF US – RECENSIONE EPISODIO 7: IL PASSATO FA MALE

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The Last of Us nel suo settimo episodio fa un tuffo nel passato, mostrandoci alcuni aspetti della vita di Ellie e nello specifico il momento in cui è stata morsa. Fino a quel momento non sapevamo quasi nulla del suo passato e quali dure prove la vita le avesse posto davanti, con questo episodio il suo personaggio viene caratterizzato ancora meglio facendoci capire diversi aspetti della sua vita.

Per molti versi un episodio che ricorda un po’ il terzo, per la sua delicatezza e profondità, un rapporto che va al di là dell’amicizia e che ci mostra un attimo di normalità in un mondo ormai irriconoscibile. Un centro commerciale abbandonato in cui Ellie e Riley passano una delle serate più belle della loro vita, tra giostre e giochi con un luogo tutto per loro, possono essere finalmente delle bambine normali e non delle reclute della FEDRA. Un mondo spaccato in tre tra infetti, ribelli e FEDRA con due ragazzine che provano qualcosa di più che una semplice amicizia.

L’episodio rimane molto fedele al videogioco, alcuni paragoni sono identici e la trasposizione è più che perfetta. Alcuni passi mancanti del videogioco vengono amplificati e completati rendendo la serie sempre di ottimo livello. C’è molta intensità nelle parole e nei sentimenti, con la consapevolezza che le cose non possono andare bene e che quella felicità sarà momentanea. C’è un po’ tutto The last of Us qui, con i sentimenti e i rapporti umani che sono al centro della trama che viene solo ogni tanto “infettata” dal mondo in cui è collocata. Gli infetti sono il contorno, la sveglia che riporta i sopravvissuti alla dura realtà.

La serie usa questi episodi in modo preciso ed essendo sempre ben scritti, definisce con cura i personaggi e gli completa, il passato di una persona dice molto di lei, è adesso conosciamo ancora un po’ meglio la protagonista Ellie. Un passato che fa male, che la rende forte, ma allo stesso tempo sola e con la paura tremenda di poter perdere Joel. Un viaggio nel passato doloroso di Ellie per mostrarci la sua forza e determinazione nel presente, nonostante abbia una responsabilità molto importante sulle spalle.

The Last fo Us non è una storia banale di zombie e umani che combattono per sopravvivere, ma è profondità, amicizia e amore, uno studio accurato dei rapporti umani, dell’uomo e delle suo caratteristiche nei momenti difficili e una storia che va sempre oltre a ciò che ci mostra e che fa sempre riflettere, un episodio sette che riconferma tutto questo e che si aggiunge ad una serie che sembra non sbagliare un colpo.

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THE LAST OF US – RECENSIONE QUINTO EPISODIO: ARRIVA LA PROFONDITA’ E IL DOLORE

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The Last Of Us arriva supera la metà del suo percorso e ci mostra un altro aspetto di questo brutto mondo, dominato da infetti e ribelli trasportati dalla disperazione, il quinto episodio è forse l’episodio più intenso ed emotivamente complicato. Il finale estremamente crudo e cinico in contrasto con la serenità di alcuni momenti, ci riporta e ci riapre gli occhi, su un mondo ormai crudele e estremamente violento.

Joel e Ellie fanno crescere il loro rapporto e il confronto con due ragazzini non fa altro che ricordare a Joel i bei momenti del passato. Si nota la netta divisione tra il mondo che era e il mondo in cui si trovano adesso, lui lo sa e riesce a mantenere sempre il giusto livello di attenzione e non abbassare mai la guardia. Un episodio pieno di scene molto intense e di morti che lasciano sicuramente il segno tanto da sorprende anche chi la storia la conosce già. A livello di regia forse il miglior episodio fino a qui, con scene davvero ben coordinate ed effetto, giusto livello di tensione e anche un po’ di paura. Il finale è crudele e estremamente intenso e significativo, riportandoci tutti in questo incubo che è il mondo di The Last Of Us.

La speranza viene cancellata scena dopo scena e a vincere purtroppo alla fine di tutto, sembra essere sempre e solo il fungo e la malattia, Joel sembra rassegnato ma non vuol perdere per alcun motivo al mondo quella che ormai e come se fosse sua figlia. Ellie conserva in sé la speranza che lei possa essere il cambiamento, che lei possa essere la cura per risolvere tutti i problemi del mondo. Il finale ci mostra in una scena mille sfumature del suo personaggio, una bambina che inizia a sentire su di sé, una responsabilità enorme.

The Last of Us non è una semplice passeggiata in un mondo post apocalittico, ma una storia cruda lontana dalle favole dal lieto fine, si sopravvive e ogni giorno può accadere qualcosa di terribile. Episodio scritto sempre molto bene, anche la recitazione sta salendo di livello e come detto prima la regia sembra essere la migliore vista fino a qui, una serie che si evolve, che prende confidenza e che non risparmia la sua crudeltà.

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YOU: RECENSIONE PRIMA PARTE – QUARTA STAGIONE

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Dopo la prima bella e soprattutto innovativa, sotto certi aspetti, prima stagione, difficilmente si pensava che un prodotto come YOU potesse avere un seguito, si c’era un finale piuttosto aperto, ma difficile era credere di rivedere le stesse cose. Le prime tre stagioni sono state un po’ ripetitive sotto certi aspetti con il protagonista che per colpa del suo amore malato e ossessivo si ritrovava sempre nella stessa situazione.

Uno stalker a tutti gli effetti incuriosito dalla vita delle donne di cui si innamora facilmente e che si ritrova troppo spesso a dover uccidere qualcuno. In quattro stagioni di soluzioni ne hanno trovate e il livello è rimasto sempre alto, non c’è più il fascino della prima stagione, però c’è sempre un forte senso di curiosità. Questa stagione era un po’ la prova del nove, qualcosa doveva cambiare.

Dopo la prima parte, formata da 5 episodi, si può dire che la prova è stata superata, YOU si rinnova, cambia stile mantenendo però le caratteristiche del protagonista, a tratti sembra un po’ lo schema della serie “Uno di noi sta mentendo“, con il protagonista che non ha più la situazione sotto controllo e che non è più lui il carnefice ma in parte la vittima.

Cambia il look, il nome e la città per Joe, in questo modo si dà nuovo respiro ad un serie che si sta un po’ arenando nella ripetizione delle stesse situazioni, non manca lo stile della serie, ma sembra a tratti quasi un suo spin-off, di genere giallo/Thriller con Joe che diventa quasi un detective improvvisato tra i ricchi viziati di Londra. C’è sempre la stessa follia, le stesse ambiguità, c’è sesso e violenza come nelle stagioni precedenti, ma a prevalere, almeno per questi primi cinque episodi, è il mistero e l’indagine, con il protagonista sotto ricatto.

Una serie che è riuscita a rinnovarsi, che si forse si stacca fin troppo dal proprio passato, ma che ne giustifica il cambiamento sfruttando la propria trama, con Joe Goldberg che deve necessariamente cambiare vita e identità.