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PACIFIC RIM: LA SAGA DEI “ROBOTTONI”

RECENSIONI COMBINATE: Pacific Rim e Pacific Rim – La rivolta, due film della stessa saga, uno sequel dell’altro ma con differenze sostanziali.

Pacific Rim è un classico esempio di come le saghe cinematografiche funzionano meno, se c’è un cambio strutturale alla guida del progetto, il cambio di regista e di sceneggiatore non aiuta la saga ad avere la giusta continuità.

Il primo capitolo è del 2013 Co-scritto e diretto e prodotto da Gulliermo del Toro. Il film si ispira ai manga e anime giapponesi con due elementi di quel mondo, come i Kaiju giganteschi mostri che distruggono le città e i Mecha, robot mastodontici e potenti, nel film si chiamano Jager.

Questo primo capitolo ha davvero un sacco di cose positive e ci sono degli elementi a renderlo davvero un buon film, nonostante l’argomento di base sia un po’ infantile, Del Toro conferisce al film è il giusto tono e la giusta dose di adrenalina. La trama è molto piacevole e ha parecchie sfumature interessanti e gestite molto bene. Ci sono personaggi ben scritti che danno il giusto impatto alla storia, tutto sembra estremamente epico e il mondo è già al collasso. Infatti veniamo immersi in un mondo in cui i Kaiju hanno già distrutto grandi città e già da anni l’umanità combatte questi mostri con robot giganti.

L’obiettivo del film è risvegliare nel pubblico i ricordi di infanzia, con questi scontri tra elementi mastodontici che ci ricorda i vari anime a tema Mecha, visti da bambini, con una vaga somiglianza anche con i “Power ranger” e il loro “Megazord”.

Pacific rim è girato bene e anche esteticamente i personaggi sono davvero ben curati, con robot estremamente strutturati nei particolari e mostri giganti particolarmente spettacolari. Tutto ha un senso ed è tutto collocato perfettamente nella trama.

Il primo film è epico, c’è una colonna sonora davvero entusiasmante e che ti fa salire l’adrenalina, ci sono discorsi importanti fatti da Stacker Pentecost (Idris Elba) e momenti delle battaglie congeniati e pensati davvero bene, nel complesso davvero un bel film, anche per chi non è appassionato del genere.

Pacific Rim – La rivolta è un film del 2018, diretto da Steven S. DeKnight. Cambiano i produttori esecutivi, il regista, gli sceneggiatori, cambia tutto il gruppo di lavoro e si vede. Il film sembra una forzatura in tutte le sue parti, vuole cavalcare il successo del primo ma lo snatura e il film cambia di stile somigliando quasi ad un film sui trasformers.

La trama non è poi così male e anche a livello di regia è fatto bene, queste caratteristiche le ha mantenute, ma ha perso il fascino del primo capitolo, la sua fotografia e gli scontri non sono affascinanti come ci si aspetta, anche i personaggi protagonisti convincono un po’ meno. Il figlio di Pentecost è apparso dal nulla, la recitazione di John Boyega non è male, ma il suo personaggio è scritto male, troppi cliché.

Poi lo spettatore vuole l’epicità del primo film che qua va un po’ a perdersi in qualcosa di si visivamente più spettacolare del primo, ma meno iconica e coinvolgente.

Nel primo capitolo c’era Gulliermo del Toro alla guida, Ramin Djawadi come compositore, tra gli attori c’era Idris Elba, era tutto ad un livello più alto, e sarebbe bello che nelle saghe si provi a mantenere lo stesso livello, con lo stesso gruppo di lavoro. Nel complesso la saga di Pacific rim vale la pena vederla, sperando arriva un altro capitolo. Risveglia sensazioni di esaltazione della nostra infanzia e lo fa in modo davvero spettacolare, con robot giganti che combattono contro mostri giganti, perchè alla fine Pacific rim è questo.

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GODZILLA I E II: UN MOSTRO SEMPRE PIU’ GRANDE

RECENSIONI COMBINATE: Il primo e il secondo capitolo della nuova saga di Godzilla, che continua ad espandere il Monsterverse.

Godzilla è un film del 2014 diretto da Gareth Edwards, reboot tratto dalla famosa serie cinematografica su Godzilla, grande mostro che distrugge le città, nascosto nelle profondità dell’oceano e assetato di radiazioni. AL trama di questo film è leggermente modificata da quella del solito, perchè deve dare la possibilità di aprire il Monsterverse e quindi dare un identità diversa a Godzilla. Il “mostro” è sempre stato presente sulla terra, ancora prima dei dinosauri, è l’animale Alpha del pianeta terra e quando si sente in pericolo va a caccia dei suoi possibili nemici, altri “mostri” i M.U.T.O. che si nutrono di radiazioni e diventano sempre più grandi.

La trama di per se è abbastanza grottesca e nel complesso può far anche sorridere perchè sembra un po’ una storia scritta da bambini che non vedono l’ora di vedere mostri giganti che combattono, ma questo in fondo è Godzilla, e in questo film è davvero ben fatto, disegnato benissimo e la storia si adatta perfettamente al “personaggio”. Il film nel suo contesto è forse uno dei più belli, film di questo genere non possono che guadagnare punti con le tecnologie attuali che ti permettono di creare effetti visivi davvero spettacolari. In ogni film Godzilla è sempre più grande, e incute sempre più paura, bellissimo com’è stato presentato qui, con una scena molto ben fatta, quando nella notte viene solo illuminato di rosso dai bengala. Difficile gestire la parte emotiva di un film del genere, infatti i protagonisti sono un po’ piatti e insensibili, sembrano fuori dal contesto, i numeri di morti sono incalcolabili ma a nessuno importa molto, qualche errore da questo lato c’è. Parlano di città evacuata, di persona al sicuro e poi ci sono persone che lavorano tranquille in ufficio quando fuori è da ore che ci sono mostri giganti che spaccano tutto, in più Godzilla crea tsunami solo quando capita, poi basta, può uscire dall’acqua tranquillamente. Anche le linee temporali sono un po’ confusionarie, film un po’ disordinato, non montato benissimo.

A livello di scontri e di contesto invece, il film è davvero ben fatto, è tutto molto spettacolare, con un super Godzilla, quasi difensore del pianeta terra, un mostro gigantesco che vuole far capire chi comanda, con mosse e skills davvero niente male, ottima l’uccisione finale, scenicamente molto di impatto. Il film si presta bene ad essere parte di un universo cinematografico ed è forse il miglior film su Godzilla che abbiano mai fatto. Ha molti difetti, ma allo stesso tempo è talmente ben fatto visivamente che per quello che vuole trasmettere va benissimo.

Deluso un po’ dagli attori in generale che non mi sono mai sembrati del tutto sul pezzo, bravissimo Brian Craston, anche se rimane poco nel film è il personaggio che ha più senso, mentre sono rimasto un po’ deluso da Aaron Taylor-Johnson, lui abbastanza bene, ma il suo personaggio l’ho trovato un po’ troppo sfortunato e fortunato allo stesso tempo, troppo fuori contesto e piatto. Anche Elizabeth Olsen interpreta la classica infermiera dei film catastrofici, ma il suo lavoro è marginale e anche il suo personaggio risulta abbastanza inutile. Ken Watanabe è messo solo li per dire Godzilla in modo spettacolare, ma nulla di più sembra quasi tonto e pur essendo uno scienziato che studia da anni le creature, viene a sapere le cose dal primo che passa, che ne sa più di lui su Godzilla e i M.U.T.O.

Un film che poteva essere curato un po’ meglio, soprattutto in quei dettagli che il pubblico nota facilmente e che sono un po’ grossolani nel percorso narrativo, un film che si dimentica della propria sceneggiatura non è mai un buon film, ricordare la scena precedente e cosa si è detto è importante ed è forse questo il difetto più grande del film.

Godzilla II King of monsters è un film del 2019 diretto da Michael Dougherty ed è il sequel del primo film sopra citato, un film che continua il Monsterverse e che ci porterà poi allo scontro con King Kong nel prossimo capitolo uscito quest’anno. Questo film rispetto al primo risulta un po’ troppo forzato, la trama fa fatica a decollare ed è tutto troppo distaccato dalla realtà.

L’ambientazione del film è spesso confusa, in giro per il mondo, dove le città sono già state svuotate e dove ormai sono dei semplici “Ring” per i pugili giganti che in questo caso sono Godzilla e altri mostri giganti, chiamati titani. In questo capitolo della saga si scopre che il mondo è piano di mostri e che c’è un terrorista ecologico che vuole liberarli per ristabilire l’ordine della natura. Il Villain risulta così terribilmente debole e come se non bastasse viene poi affiancato da una professoressa con la visione del mondo alquanto distorta.

Non mi sono piaciuti per nulla i personaggi, tanto che il migliore forse, è un personaggio che nel primo film contava poco o nulla, cioè il Dottor Serizawa interpretato da Ken Watanabe, che in questo film trova più spazio e finalmente riesce a fare qualcosa di utile senza il consiglio di nessuno. Gli altri personaggi sembrano buttati li a caso, un contorno inutile che non fa altro che far sorridere perchè davvero banale e forzato.

Anche la trama perde valore rispetto al primo capitolo, è tutto più confuso e davvero molto povero, non ci sono colpi di scena e non si fa altro che inseguire mostri che si scontrano in giro per il mondo senza un vero perchè, come cani randagi, con Godzilla che vuole uccidere tutti i mostri i diventa un cucciolo per bambini.

Gli scontri sono abbastanza epici e spettacolari anche se non come nel primo, è tutto troppo esagerato e fa perdere troppo il contatto con la realtà. Godzilla era famoso come distruttore di città giapponesi, qui non ci sono le persone che scappano, ci sono solo i protagonisti che seguono gli scontri da aerei o da terra e cercano di aiutare il loro animale preferito a vincere. L’obiettivo principale della trama è evidente che sono gli scontri, tutto deve essere spettacolare, esagerato e i mostri devono essere sempre più grandi e potenti, ma tutto questo penalizza il resto del film.

Nel complesso è un film che si fa vedere, soprattutto perchè è collocato in un universo specifico, e non si hanno grandi aspettative, anzi forse, le aspettative che si hanno vengono rispettato con scontri epici e mostri giganti che sparano raggi atomici dalla bocca.

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KISSING BOOTH 3: RECENSIONE DI UNA FIN “TROPPO” FORTUNATA, SAGA DI NETFLIX

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The kissing booth 3 è l’ultimo capitolo di una fin troppo fortunata saga di Netflix, che in 3 capitoli a provato e riprovato a fare dei film sulla generazione Z, su un intreccio amoroso che non ha mai convinto del tutto e con una regia e una scrittura che non hanno mai dato la giusta qualità ai tutti e tre i film. Netflix ha bisogno di questi film, ma anche il pubblico, infatti la saga ha avuto comunque successo ed è diventata il simbolo del romanticismo targato Netflix.

Elle, si ritrova come sempre in una situazione abbastanza complicata, deve scegliere il college in cui andare e decide di seguire il suo cuore ed andare a Boston con Noah, deludendo così (l’assillante) Lee, suo migliore amico e fratello del suo ragazzo. Elle è confusa e non si sa perchè delude tutto e tutti, perchè tutti sono egoisti e vogliono per forza qualcosa da lei, senza effettivamente dargli nulla. L’unico che cerca di aiutarla un po’ è Marco, suo “spasimante” nel secondo capitolo, che appare ogni tanto da qualche colonna, ma che degenera anche lui, nella versione “tu devi essere mia e fare qualcosa per me”.

Il film prova a descrivere la generazione degli anni 2000, ma in moltissimi concetti e forse anche nello stile e tremendamente fermo negli anni 90′. Pur avendo i pregi di essere un film leggero, poco impegnativo e abbastanza carino per i suoi personaggi, il terzo capitolo è certamente il peggiore dei tre, fatto solo per cavalcare l’onda del successo. Pessima regia, pessima recitazione, fotografia inesistente e un montaggio davvero insostenibile rendono il film davvero troppo amatoriale e poco credibile, è disordinato e nessuna scelta ha senso. Va guardato senza pensarci, cogliendo il poco di buono che c’è. Infatti scavando bene, qualcosa di buono nel finale c’è. Infatti i toni cambiano, c’è qualche momento in più di serietà e riflessione e vengono posti con un attimo più di attenzione i problemi della generazione Z, il vuoto tremendo che sentiamo quando finiamo le scuole e ci chiediamo cosa vogliamo fare realmente della propria vita. Dura solo un momento, però è bello che anche in un film semplice e banale come questo, ci sia un attimo, un piccolo attimo su cui vale la pena riflettere, allo stesso tempo ci fa capire che poteva avere un potenziale ma che si è perso in scelte davvero un po’ stupide e troppo scontate.

Se si passa sopra sulla marea di difetti del film, può risultare piacevole, è davvero leggero e servono anche film del genere, senza impegno che anche se sono fatti male non annoiano mai, ci fanno fare magari qualche risata e passare poco più di un oretta piacevole. Un film che non ha pretese e che quindi si può perdere pure nella sua banalità e semplicità.

Sinceramente non so se consigliarlo o meno, penso in fondo di si, non è proprio tempo sprecato, nel complesso si può catturare qualcosa di positivo in ognuno dei tre film, l’importante è mantenere le aspettative basse.

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CELEBRITY HUNTED: QUANDO LA NOVITA’ NON BASTA

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Anche quest’anno mi sono imbattuto in questo format di Amazon prime video, un misto tra reality e serie tv, una novità che difficilmente però riesce a farti capire il fine e il senso di ciò che stai guardando.

Ci sono dei VIP che devono scappare da dei “Cacciatori”, in giro per l’Italia per quattordici giorni senza farsi prendere, tipo acchiapparella, i Cacciatori hanno a loro disposizioni le tecnologie e in mezzi della polizia e dell’intelligence, tracciamento dei conti bancari, cellulari ecc.

Il format è sicuramente una novità, ma il suo sviluppo, sia nella prima che nella seconda stagione lascia più di qualche dubbio, perchè effettivamente tutto ciò che si va a vedere sembra non avere senso. Non si capisce quanto sia reale e quanto sceneggiato, non si capisce la dinamica reale del personaggi e non si capisce il fine di tutto ciò, sembra una esercitazione per un film d’azione. A livello di regia ci sono degli elementi davvero ottimi, anche la scenografia merita un elogio, tutto è ben congeniato per cercare di dare adrenalina, e devo dire che un po’ di suspense riesce a crearla, ma di per se nulla di più, qualche piccola risata ogni tanto e basta. Sia la prima che la seconda stagione sono troppo condizionate dal “nonsense” di ciò che accade all’interno della serie, che a tratti non è neanche ben recitata, un po’ impacciati i VIP che nemmeno loro sanno cosa stanno facendo.

Merita visivamente, per la gestione delle scene un po’ più movimentate e per alcuni attimi ben elaborati anche a livello di situazioni di fuga, la prima stagione soprattutto. La seconda è ancora più debole, i protagonisti meno convinti e senza voglia e le altre persone coinvolte sembrano un po’ perse e confuse.

Nel complesso Celebrity hunted è una cosa nuova, a tratti innovativa ma che non va oltre a questo, una serie piatta e senza senso, non so se consigliarla perchè sembra più una scuola di regia che altro. Sinceramente non lo so, forse rimane curiosa se si è interessati ai VIP presenti nel programma, che sono comunque sempre molto famosi, rispetto a altri reality anche se questa si presenta di più come serie.

Difficile da definire, da delineare e da recensire, Celebrity hunted è questo, una buon idea che non basta.

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SETH MACFARLANE E I SUOI TRE FILM

RECENSIONI COMBINATE: Ted e Ted 2 e un film di mezzo, meno conosciuto ma sempre targato dal creatore dei Griffin, Un milione di modi per morire nel west.

Seth Macfarlane è un creatore a tutto tondo, un artista che ha un preciso “timbro” nelle sue opere, che sono facili da riconoscere per il suo stile e le sue caratteristiche, il marchio e lo stile che conosciamo prevalentemente per i Griffin lo riconosciamo in altri suoi lavori, questi tre film ne sono un esempio. Tutto è partito da Ted, il suo primo film che ha scritto, diretto e doppiato, un film che ha catturato subito l’attenzione di tutti per il suo stile sopra le righe.

Ted è un esempio di una comicità molto forte, volgare e che non bada a nessun tipo di censura, ciò la rende autentica, violenta e molto vera, quasi realistica in un mondo che comunque ci appare molto spesso volgare e violento anche nelle parole. Ted è l’orso che tutti vorremmo con noi, quello che ci rende bambini e adolescenti e che non ci fa mai crescere, ma non sempre è tutto positivo. Ted è apposta un esempio esagerato di trasgressione, di parodia, in un universo realistico, ma allo stesso tempo grottesco, in cui un orsacchiotto prende vita e si trasforma nel tempo in un essere che ama la droga e le feste, proprio come il suo padrone.

Il bello di questo film è la libertà che trasmette, può fare e dire tutto, può esprimere i concetti come meglio crede e semina la trama di easter egg e di potente Black Humor, delle volte non ridiamo per le battute in se, ma anche perchè non ci crediamo che le stiamo davvero sentendo in un film al cinema, nettamente sopra le righe. I Griffin di sentono nelle musiche, nelle battute e nello stile di comicità, un film ottimo anche per questi aspetti. Ovviamente è un genere e una comicità a se, difficile fare paragoni, ma può piacere perchè è spregiudicato e assurdo.

Ted 2 ne replica lo stile, ma l’ho trovato un po’ più normalizzato, con una trama che cerca comunque di trasmetterci qualcosa nel finale e in qualche sua scena, l’importanza dell’inclusione e della libertà di avere tutti gli stessi diritti sono presenti in diverse scene, ma non pesano, sono sempre trattati in modo leggero. Anche se la trama è prevedibile è un film che convince, che fa ridere e che ci lascia a volte increduli per la libertà che ha nell’esporre certi argomenti e battute. Non mi è piaciuto molto il fatto che l’erba, è al centro di tutto, fumano in continuazione e sembra che non ci sia altro, si ripete e ripete più volte in diverse scene, alcune molto divertenti, altre un po’ ripetitive. Nel complesso ho trovato anche Amanda Seyfried meglio collocata e più naturale che Mila Kunis nel primo film, in cui l’avevo trovata un po’ troppo forzata e innaturale, troppo contrastante con il personaggio di Mark Walhberg, un eterno bambino con vizi e abitudini molto particolari.

Non penso sia un film per tutti, entrambi i capitoli hanno comunque una comicità basata sulla volgarità, non c’è nessuna scena particolarmente ricercata a livello di regia e la recitazione si adatta al genere senza strafare, sono due film leggeri, fatti per sorridere e ridere, molto adatti agli appassionati dei Griffin o di American Dad. Lo stile inconfondibile di Seth può piacere o meno, ma sicuramente ha un sacco di elementi che lo rende uno stile davvero molto divertente e sopra le righe, tanto da farmi domandare se fosse possibile ancora adesso una comicità così al cinema…forse solo lui può e questo ci piace, ci piace questa libertà, una comicità che sta sparendo soppressa dalla a volte follia del “Politically Correct”.

Un milione di modi per morire nel west è a mio parere un film più articolato rispetto a Ted, sia nel cast ma anche in certi aspetti della sua trama che ricalca molto bene lo stile della parodia, mantenendo però una comicità unica e sempre molto spregiudicata e fatta con riferimenti casuali e meno a film specifici come nelle classiche parodie. Seth rappresenta un vecchio west molto goliardico, in cui la morte e sempre dietro l’angolo e quasi mai inaspettata. Anche qui come nei film su Ted la comicità è parecchio volgare e certe battute sono davvero sopra le righe, ma nel complesso ci sono scene più di azione e usa anche molto la comicità espressiva e visiva e non solo quella della parole.

Seth Macfarlane è il protagonista del film, un po’ impacciato nella propria recitazione ma questo non fa altro che aiutare il suo personaggio che sembra completamente un estraneo in quel vecchio west, comunque ben rappresentato da un ottima coreografia e anche una stupefacente fotografia, poco ricercata ma che ti ruba l’attenzione in qualche scena. Mi piace la trama, la trovo molto leggera, intuitiva e con un lieto fine adeguato e adatto al genere, bello vedere Charlize Theron capace di recitare in qualsiasi ruolo, anche Liam Neeson da un tocco in più a tutto il film.

Il film è schietto e diretto come il vecchio west e ti trapassa come un proiettile con le proprie battute, per molti è tutto banale, troppo stupido, io invece ritengo che il suo punto di forza sia proprio quello di far ridere con l’assurdo, con battute e freddure che magari ti fanno ridere in ritardo perchè ti arrivano dopo, proprio come in una scena del film. Perchè in fondo è semplicemente questo lo scopo del film, farci ridere o anche solo sorridere per un paio di ore, non serve un motivo ben preciso, il film ci rende allegri, a tratti anche qui increduli nel sentire certe battute, a volte troppo spesso censurate nella vita quotidiana.

Tutti è tre i film sono facili da amare quanto da odiare, difficile che ti lasciano indifferente, però da amante delle parodie non posso che apprezzare questo tipo di produzioni, io ammiro la comicità dei Griffin e qui dentro la ritrovo tutta in tutti i suoi aspetti sia positivi che negativi. Consiglio di guardare tutti e tre questi film, soprattutto per fare il paragone con ciò che ci viene proposto ora, tutto censurato, vincolato e non più autentico. Seth Macfarlane e spudorato, vero, è autentico e ci fa ridere per questo.

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TO ALL THE BOYS: LA TRILOGIA ROMANTICA DI NETFLIX

Recensioni Combinate: Tre film che seguono la vita amorosa e adolescenziale di Lara Jean.

Il mondo del cinema è bello perchè è pieno di infinite sfumature, ci sono infiniti modi di vederlo e di considerarlo e ancor di più di giudicarlo.

Il mondo del cinema è una trasposizione di visioni e sentimenti, sbattuti bene e male sullo schermo e pronti per essere visti da chiunque voglia vederli. Mondi, storie e personaggi di ogni tipo e tempo, con generi differenti che vanno dall’horror più spietato al commedia romantica leggera.

Per questa recensione dovrò parlarvi di un genere che tocca una delle sfumature più semplici e delicate del cinema, quella sfumatura difficile da giudicare, perchè è un genere puro, quasi difficile da criticare a fondo.

To the all boys, sono tre film, uno il sequel dell’altro, di genere “sentimentale per ragazzi”, si perchè esiste anche questo al cinema, prodotti pensati per piccole nicchie e per un pubblico specifico, eppure anche questi film potrebbero essere qualcosa di più.

TUTTE LE VOLTE CHE HO SCRITTO TI AMO

P.S. TI AMO ANCORA

TUA PER SEMPRE

Sono i titoli dei tre film di questa trilogia adolescenziale romantica che segue le vicende della vita di una giovane ragazza americana, Lara Jean, timida e bella, dalle caratteristiche delicate e forse eccessivamente pure e buone.

Il primo film è sicuramente quello con le caratteristiche migliori, ha una trama che convince e incuriosisce, è una commedia romantica si, ma l’idea di base è ottima e il film è assolutamente godibile.

Anche se prevedibile, la trama ha comunque una sua dinamica interessante, con Lara Jean al centro di tutto, con i suoi problemi d’amore e le classiche stupide figure che si fanno al liceo.

è tutto molto leggero, quasi ovattato in una sfera di perfezione, dove i reali problemi della vita vengono solo sfiorati ma sempre con delicatezza, è un elogio alla bellezza quasi fantasiosa della vita, fatta al 90% di farfalle nello stomaco.

Bellissimo il rapporto che si crea tra i due protagonisti nel corso dei tre film, Lara Jean e Peter la coppia perfetta, lui sembra davvero uscito da un laboratorio, forse eccessivamente perfetto e senza difetti, con il macchinone, la bellezza, il carattere gentile e premuroso, forse davvero eccessivo.

Interpretati rispettivamente da Lana Condor e Noah Centineo che sono stati bravi in questo ruolo, attori perfetti per interpretare dei teenagers, ma faccio ancora fatica a collocarli fuori da questo genere.

I due sequel perdono un po’ di caratteristiche del primo, perdono il pregio della novità diventata un fumetto romantico dell’adolescenza senza però colpire troppo i sentimenti, sempre tutto troppo sospeso in una bellissima nuvola di amore, davvero troppo perfetto e quasi irreale.

L’obiettivo è sicuramente quello, farci sognare, staccare un po’ dalla realtà, permettere ad un giovane liceale di vedere il film e di sognare una vita simile, fatta di sentimenti veri, di amore semplice e vero.

Per nulla volgare, aggressivo o violento, sono tre film che fanno dei sentimenti puri e romantici il loro punto centrale, con un rapporto tra la famiglia della protagonista, molto bello, anch’esso essenza del romanticismo più puro e semplice.

Nel complesso non posso dire molto di questi film, perchè non penso abbiano dei grossi difetti, ricalcano il libro da cui sono tratti e lo fanno in ottimo modo, con tre film che comunque potrebbero piacere a chiunque, soprattutto il primo.

Questa è un po’ la parte romantica di Netflix, quell’angolo fatto apposta per i teenagers che sono stufi di vedere sempre in teen drama dove gli adolescenti affrontano problemi più grandi di loro, ogni tanto bisogna staccare la spina e vedere qualcosa di leggero e puro.

Anche questi film sono sfumature dell’incredibile mondo del cinema, film essenzialmente semplici, ma necessari, per rendere un mondo già ampio ancora più per tutti.

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DADDY’S HOME 1 & 2: QUANTO E’ DURA LA VITA DELLE FAMIGLIE ALLARGATE?

RECENSIONI COMBINATE: Due commedie molto divertenti, una è il sequel dell’altra, parla della “convivenza” tra due papà.

Daddy’s home e il suo seguito Daddy’s home 2 sono entrambi diretti da Sean Anders, regista già esperto di commedie di questo tipo.

I film si basano su una trama abbastanza stereotipata, ma che la rende molto piacevole e divertente, sia nel primo film che nel seguito.

Nel primo film impariamo a conoscere Brad Whitaker (Will Ferrel) uomo un po’ impacciato, amichevole e poco attraente che vive da poco con la sua nuova compagna, che ha avuto due figli da un altro uomo.

Ovviamente il padre dei bambini è un super uomo, che sa fare tutto e sembra quasi un Dio, un uomo che vuole riprendersi la sua famiglia e che vuole “eliminare” il povero Brad, Mark Walhberg è l’interprete di Dusty Mayron.

Il primo film rispetta i classici canoni della commedia americana, con battute abbastanza scontate e situazioni paradossali ma che attingono a piene mani da situazioni possibilmente reali estremizzandole.

Per funzionare ha bisogno di una buona alchimia tra gli attori, e il regista deve saper fare ridere anche solo con le immagini e non solo con le battute della sceneggiatura, un espressione messa nel punto giusto può far molto ridere.

Mark Walhberg con Will Ferrel funziona alla grande, sono una coppia da commedia molto duttile e che crea un divertente contrasto, sia nell’altezza fisica che nei ruoli in cui siamo abituati a vederli, con Ferrel maestro del genere e invece Walhberg che ogni tanto si presta a fare anche commedie, grazie alla sua faccia che va bene un po’ su tutto.

Mark Walhberg sta sempre bene dove lo metti, non è un attore eccezionale, ma è un buon supporto per i film, rende tutti i film di buon livello, godibili e riesce a calarsi in qualsiasi ruolo con ottimi risultati.

In questa commedia spicca il difficile rapporto che si può creare nelle famiglie allargate, ma lo fa in modo delicato e divertente, ci fa anche un po’ riflettere tra una risata e l’altra.

Qualche situazione è forse un po’ forzata e non fa ridere come dovrebbe, una comicità troppo ricercata a volte stanca e purtroppo capita spesso in questo tipo di commedie.

L’ho trovata comunque molto realistica in alcune dinamiche, gli attori mi sembrano molto coesi e sembrano quasi divertirsi sul set, rendendo tutto più naturale e più facile da vedere.

Anche la trama è ben scritta, ha un suo sviluppo e il personaggio di Mark Walhberg, Dusty, cresce all”interno del film, diventando anche un padre migliore, quasi completandosi con il suo opposto Brad.

Quasi piacevolmente romantico nell’esposizione del rapporto tra i genitori e propri figli, c’è un grande senso di famiglia, di felicità e unione, un piccolo esempio di bellezza di un gruppo allargato.

Daddy’s home 2 forse per molti versi è migliore del primo film, almeno io l’ho trovato più completo e divertente, a tratti mi ha fatto davvero ridere molto, anche se va detto che la comicità è una delle cose più soggettive che ci sia.

In questo film, la famiglia di papà si allarga ancor di più, infatti per natale, Brad e Dusty ricevono la visita dei propri papà, con Jonah (John Lithgow) il padre di Brad e Kurt (Mel Gibson) il padre di Dusty.

Ovviamente anche in questo film, i due padri sono l’opposto uno dell’altro con Jonah che assomiglia molto a Brad e con cui ha un rapporto meraviglioso quasi come un fratello, e invece Dusty che malapena parla con suo padre, che è un cinico playboy che ha fatto di tutto nella vita.

Vanno tutti a passare il natale in una mega casa di montagna in mezzo alla neve, questo crea ancora più senso di unione e di famiglia allargata, con Dusty che ha una nuova moglie e una figlia non sua, e con Brad che ha avuto un figlio con la ex di Dusty, un mega famiglia allargata.

Questo film l’ho trovato estremamente divertente, ci sono un sacco di scene create davvero molto bene, i personaggi sono ancora più naturali e forse un po’ abituati dal primo ci sembrano più famigliari.

Bello anche lo sviluppo della trama e anche qualche piccolo dettaglio su cui riflettere, come i bambini e non solo perennemente attaccati al cellulare, nonostante siano in un posto stupendo.

Ovviamente il film è incentrato sui papà, penalizzando un po’, il ruolo delle mamme, che comunque sono una spalla importante nella trama, bello il duello padre figlio e le dinamiche che ne nascono.

Ottimo il finale, molto divertente, classico, ma che ti fa sia sorridere che quasi commuovere.

Nel complesso due ottime commedie con cui farsi qualche risata, con una piccola speranza che possano fare anche un altro film di questa piccola “saga dei papà”.

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OLD BOY: LA VERSIONE ORIGINALE COREANA A COFRONTO CON QUELLA US DI SPIKE LEE

RECENSIONI COMBINATE: Stesso soggetto, stessa trama, quali sono le differenze tra il remake e l’originale?

SPOILER ALLERT

Per questa recensione e articolo sarò costretto a fare dei grossi spoiler e siccome il film ha un ottimo plot twist, vi consiglio di non leggere questo articolo se non avete mai visto nessuno dei due film.

Come giusto che sia, inizio a parlare della versione originale proveniente da un cinema che non smette mai di stupirci, quello sud coreano.

Old Boy è un film del 2003 diretto da Park Chan-Wook tratto dall’omonimo manga, il film parte di una trilogia, detta della “vendetta”.

Io ho visto prima questa versione del film, che è presente anche nel catalogo di Amazon prime, ed ero rimasto particolarmente colpito dalla trama, il plot twist finale è davvero sconcertante e potente e nel complesso il film scorre bene.

Nel mio caso però ero molto condizionato dal fatto che sapevo che il film avrebbe avuto un clamoroso colpo di scena, e quindi ho vissuto il film come un attesa a quel momento, nonostante quello nulla mi aveva fatto pensare ad un colpo di scena del genere, quasi disturbante.

Il film è scritto davvero bene, e ben recitato e la regia non sbaglia un colpo e riesce a dare il giusto tono a tutta la storia, soprattutto il finale è estremamente carico di emozioni, forti e contrastanti.

C’è agonia,, disperazione, attesa e anche molta azione, il protagonista, barcolla nella sua tortura per tutto il film, trasmettendoti tutto il suo dolore e il suo smarrimento, molto bravo Choi Mik-Sik nel ruolo del protagonista che riesce a trasmettere le giuste emozioni.

Una fotografia a tratti un po’ troppo buia e una scenografia che ci lascia un po’ spiazzati rispetto alle classiche americane, forse a tratti una trama troppo lenta e silenziosa, che non ci permette del tutto di essere pienamente coinvolti e di capire a fondo il film.

Se le si guarda con la concezione che ci sarà un plot twist nel finale il film lo si accetta di più e non si rischia di annoiarci perchè sappiamo che l’attesa sarà ripagata, senza quell’indizio il fil risulta forse noioso e troppo fuori dagli standard a cui le persone sono abituate (Stile Hollywood).

Il remake americano è stato affidato a Spike Lee ed è uscito nelle sale, dieci anni dopo all’originale nel 2013, con protagonista Josh Brolin e Elizabeth Olsen, non accolto benissimo dalla critica perchè paragonato all’originale non era dello stesso valore.

A primo impatto questo film non è affatto male, ha una bella trama, c’è molta azione, violenza, degli ottimi protagonisti e il tocco di Spike Lee si vede, il film è molto commerciale e anch’esso si basa molto sul plot twist.

Non è per nulla noioso, scorre veloce nelle sue dinamiche ed è intrepretato da ottimi attori, facce conosciute e scenografie più comuni ai nostri occhi e ai nostri gusti.

Nel complesso è un bel film, ma sicuramente non se paragonato all’originale, perchè la trama perde parti fondamentali e il finale di Spike Lee è molto più debole rispetto a quello coreano.

Sinceramente mi aspettavo di più, si è puntato molto sull’azione, sui colpi di scena durante il film più che sul plot twist finale, sminuendo un po’ la suspense, esagerato in certe situazioni, meno realistico per quanto possibile.

La natura pittoresca di Hollywood annulla un po’ tutte le sensazioni di agonia e di disperazione che il film originale riesce a trasmettere, in questo c’è più adrenalina e testosterone e devo dire che sono rimasto un po’ deluso da Spike Lee che poteva far sicuramente di meglio, anche perchè lui era un regista adatto per questo genere.

La donna con l’ombrello giallo (Ted Mosby è lei la mamma? cit.) Samuel L. Jackson che sembra una caricatura mal eseguita di un magnate della moda o di un trapper anni duemila, Mr. Robot che muore, sono tutte cose che non erano necessarie e che allontano il film dalle sue reali intenzioni.

Confronto tra i due film

Nel film coreano il protagonista aveva un legame molto più solido con la moglie, un legame speciale con la famiglia, questo legame viene spezzato e già questo ci crea agonia e dolore, in più della figlia non sappiamo praticamente nulla.

La prigionia dura 15 anni e un altro spunto di disagio e di claustrofobia è quando il protagonista scopre di essere intrappolato in un grattacielo, ci sentiamo disperati per lui. I tentativi di suicidio, la disperazione di aver perso le persone che amava, tutto perfettamente trasmesso dalla regia e dall’attore.

Nel film americano, il protagonista è già divorziato dalla moglie, ci da una sensazione più distaccata, si ama sua figlia ma non ci trasmette tutta quell’unione, nel momento in cui viene rapito ci sono meno emozioni.

Meno paura, tensione, agonia e claustrofobia, in più ci danno più indizi sulla fine della figlia, quasi a volerci indirizzare verso la destinazione, poi cerca di fuggire e lo narcotizzano, come se lo avessero fatto perchè stava per fuggire e non perchè era tutto calcolato.

La differenza di età tra le figlie ci crea un diverso impatto emotivo, un piano più maligno nella versione coreana, perchè la figlia del protagonista e appena maggiorenne, mentre nella versione americana ha circa 23 anni, facendoci perdere un po’ la perversione del piano dell’antagonista.

Un’altra importante differenza sono le cause che hanno portato a questa situazione di prigionia e di vendetta, nella versione coreana il protagonista, ai tempi della scuola, poco più che bambino, era uno che sparlava, giudicava e creava dei grossi pettegolezzi all’interno della scuola.

Un giorno vede un incesto tra fratello e sorella e la scuola lo viene a sapere giudicando la povera ragazzina una poco di buono che si è fatta mettere incinta dal fratello.

La ragazzina ha una gravidanza psicologica e crolla sempre di più in una forma di depressione fino a suicidarsi gettandosi da una diga, il fratello di lei ha sete di vendetta ed escogita questo strano e perverso piano di vendetta.

La versione americana è più potente, più di impatto ma esplora meno le condizioni psicologiche dei protagonisti, infatti la versione del protagonista da giovane è già più matura, in periodo da superiori, appena prima del college.

Lui è il classico bullo che ha successo con le ragazze ed è l’idolo degli studenti, un giorno scopre una ragazza che sta facendo l’amore con un signore adulto, molto più grande di lei e mette in giro dicerie sulla ragazza.

Nel film scopriamo che quell’uomo adulto era il padre della ragazza e che era abituato a rapporti incestuosi con tutta la famiglia, uscita la notizia l’uomo impazzisce e uccide tutta la famiglia, tranne sue figlio che sopravvive per miracolo, quel ragazzo sopravvissuto è l’antagonista che vuole vendetta verso chi ha parlato.

La versione americana è si più potente in questo caso, ma ci fa perdere un po’ la follia dell’antagonista, la sua voglia di vendetta spropositata e sembra quasi giustificare l’atteggiamento del protagonista che non sapeva che quello fosse il padre di quella ragazza.

Il finale presenta delle grosse differenze, secondo me differenze che penalizzano moto il film di Spike Lee.

Nella versione coreana nel momento in cui il protagonista scopre di aver avuto un rapporto sessuale con sua figlia è molto più disperato, tanto da voler diventare il “cane schiavo” del suo nemico e torturatore, si taglia pure una parte della lingua per punirsi e per convincere l’antagonista e non dire nulla di ciò che è successo a sua figlia.

La figlia oltretutto è vergine ed ha appena 18 anni quando loro hanno il rapporto, ciò lo rende un incesto ancora più scioccante e d’impatto emotivo.

Nella versione americana c’è meno disperazione, più teatralità di tutta la storia e il protagonista non fa nulla per rimediare se non scongiurare il suo nemico di non dire nulla a sua figlia, molto meno di impatto.

In più la figlia è un po’ più adulta e avrà avuto sicuramente le sue esperienze, di questo non ne abbiamo certezza e fa perdere un po’ quella sensazione di disturbo, in entrambi i casi è davvero disturbante comunque come finale, nessuno si aspettava un incesto come vendetta.

Nel film coreano il protagonista si fa ipnotizzare per poter amare e vivere con la figlia, altra cosa che ci lascia perplessi e anche un po’ schifati moralmente parlando, il film americano è più docile e il protagonista si fa rinchiudere da dove tutto è iniziato e lascia una lettera alla figlia con dei diamanti per rifarsi una vita dimenticandosi di lui.

In questo senso il film coreano ci lascia con il dubbio, ci lascia agonia e disperazione, non capiamo se l’ipnosi ha avuto veramente effetto, lasciandoci con il dubbio che il protagonista voglia proseguire l’incesto con la propria figlia.

Tremendamente disturbante e terribile.

Nel complesso penso che la versione coreano sia meglio sviluppata in molte delle sue dinamiche narrativa, ci sono molte più emozioni ed è tutto ben curato, anche nei piccoli dettagli psicologici da trasmettere a chi vede il film.

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Recensioni Combinate

SHUTTER ISLAND & A CURE FOR WELLNESS & SUCKER PUNCH: TRE STILI DIVERSI PER RAPPRESENTARE LUOGHI APPARENTEMENTE SIMILI

RECENSIONE COMBINATE: Un manicomio, una casa di cura e un orfanotrofio, piccole galere da cui è difficile uscire.

Per questa “recensione combinata” ho deciso di mettere insieme questi tre film che sono molto diversi tra di loro me che hanno qualche punto in comune soprattutto nell’ambientazione, se visti insieme possono essere un passaggio di una vita turbolenta. Dall’orfanotrofio di Sucker punch, al manicomio di Shutter Island, fino ad arrivare alla strana casa di cura di A cure of wellness.

Sono film simili nelle loro location, lucubri, ansiose e piene di mistero, quasi capaci di metterti a disagio già dalla prima sequenza del film, con i loro aspetti misteriosi e con personaggi che sembrano nascondere un sacco di segreti.

Un viaggio nell’intrigata mente umana, a volte così misteriosa e particolare, racchiusa in luoghi dalle alte mura, da cui è davvero difficile poter uscire. Delle piccoli prigioni in cui sia la mente e il corpo del protagonista vengono intrappolate.

Shutter Island: è sicuramente secondo me il fil più bello dei tre, parte con un grande vantaggio, quello di essere diretto da Martin Scorzese e di avere come protagonista un ormai maturo, Leonardo di Caprio.

In questo film ambientato tutto in un manicomio, la prima cosa che balza all’occhio e la sensazione di oppressione, di disagio, viaggiamo con i due protagonisti, che cercano di capire dove sia sparita una delle clienti del manicomio.

Bravissimi entrambi i protagonisti, questo è il film che ci ha davvero fatto rendere conto del talento recitativo di Leonardo di Caprio, anche se erano già anni che viaggiava sulla cresta dell’onda, questo è proprio il film della sua svolta verso tutte interpretazioni da Oscar. Anche Mark Ruffalo se la cava davvero bene come spalla, sta davvero bene nei panni del detective come in “Zodiac”.

La regia di Scorzese si fa nuova, più cupa del solito anche grazie ad una splendida fotografia di Robert Richarson, che riesce a trasmettere i colori grigi della situazione di tensione che alleggia per tutto il film, trasmettendoti un misto di paura e apprensione per quello che potrebbe succedere.

Il manicomio trasmette automaticamente tutte queste situazioni, è sembra che tutto l’ambiente nasconda dei misteri e che nessuno stia dicendo la verità ai due detective, che si trovano involontariamente immersi in questo ambiente, senza poter tornare a casa per il mal tempo.

Il film aleggia tra realtà e follia, tra vero e falso, e ci espone in modo semplice, quanto può essere contorta e misteriosa la mente umana, quanto a volte può essere oscura e indomabile.

Il film si conclude con una frase emblematica che racchiude un po’ tutto il significato della trama, una delle frasi che più mi ha colpito a livello di sceneggiature, perfetta e ben collocata.

“Questo posto mi fa pensare…che cosa sarebbe peggio, vivere da mostro o morire da uomo per bene?”

Un film che consiglio assolutamente di vedere, per tutti i suoi aspetti, davvero ben fatto.

A Cure Of Wellness: è un film diretto da Gore Verbinski e con Dane Dehaan in una delle sue migliori interpretazioni.

Questo film è praticamente tutto ambientato in una particolare casa di cura sperduta tra le montagne della svizzera, il protagonista Lockhart, è un giovane broker di successo di New York, la sua compagnia deve avviare un grande progetto, ma per farlo le serve la firma del suo amministratore delegato, che però si trova in Svizzera in questa casa di cura e non vuole più tornare.

Lockhart (Dave Dehaan) è incaricato di andare in quella casa di cura e convincere l’AD Pembroke a tornare a casa per portare avanti la sua compagnia e per firmare il progetto.

L’ambientazione è un contrasto di colori e situazioni, sembra un luogo paradisiaco e bellissimo, e allo stesso tempo un luogo cupo e pieno di mistero, non si capisce bene cosa succeda li e sembra che ben presto il protagonista si ritrovi intrappolato li.

Anche in questo caso il film riesce a trasmettere perfettamente un senso di claustrofobia e mistero, un giusto mix di diverse emozioni che ci opprimo e che ci vogliono far sapere la verità per sentirci liberi.

Il film si esprime molto bene nei dialoghi e nelle scene, non si capisce mai cosa sia vero e falso e ti lascia un sacco di domande a cui non è affatto facile trovare risposta.

Il luogo diventa man mano indefinito, tra casa di cura, centro benessere e a tratti un manicomio, più che un luogo della rinascita appare come un luogo della propria fine, un luogo dove passare gli ultimi giorni della propria vita.

Anche qui la follia dell’essere umano è ben esposta, quasi verosimile a tratti e riconoscibile, tra incubi e visioni strane, e tra un senso di malessere che non ci far stare bene e ci fa sentire insodisfatti.

Il film si presenta forse un po’ troppo lungo e a tratti la trama risulta un po’ inutile con scene che potrebbero essere tagliate senza compromettere il risultato finale. Bellissima la colonna sonora curata da Benjamin Wallfish, la scenografia è davvero il punto forte del film, molto suggestiva e realistica.

Sicuramente nel complesso è un ottimo film, con delle sfumature interessanti nell’idea iniziale, un po’ strano e contorto a tratti, ma che riesce perfettamente a trasmettere determinate sensazioni, consiglio di guardarlo perchè comunque è un contenuto originale davvero carino.

Sucker Punch: Questo film è una trasposizione perfetta dello stile particolare e ovattato del suo regista Zack Snyder. Scritto e diretto da lui, Sucker Punch è un film molto particolare nelle sua forme e nei suoi colori, anche la trama si presenta abbastanza fantasiosa a volte forse esagerata.

Il film si presenta in un modo folle, tra colori e una trama che appare come quella di un videogioco, con scene di guerra azione, e scene più pacate e complicate.

Sucker Punch si suddivide su tre livelli, quello più semplice e cupo, quello dell’orfanotrofio che appare come un manicomio, poi c’è un secondo livello, che appare come una casa chiusa dove i clienti vogliono vedere le ragazze ballare per poi scegliere la migliore e poi il terzo livello quello più folle e distaccato dalla realtà, fatto di azione e missioni.

La protagonista vuole uscire da quella prigione e per farlo di trovare degli oggetti specifici che le serviranno per uscire, per far questo viene aiutata da altre ragazze.

La divisone su tre livelli e bella quanto particolare, forse è davvero il punto forte del film, che però si perde troppo nella parte apparentemente ludica, con scene d’azione pessime e con una CGI non ancora all’altezza.

Molto meglio le scene basilari, quelle del primo livello che ci trasmettono la vera situazione di quelle povere ragazzine, il cui film nasconde le atroci sofferenze che devono subire.

Ho apprezzato molto anche il fatto che la protagonista riesca a crearsi un posto nella sua mente in cui rifugiarsi e che quando balla riesce ad uscire dal mondo e volare in un posto in cui è la protagonista assoluta, è forte e non si fa mettere i piedi in testa da nessuno.

Purtroppo il film è pieno di difetti, dalla trama alla messa in scena dell’azione, sempre troppo esagerata e inverosimile, quasi stancante a tratti, perchè sembra rovinare le parti belle del film.

Il lato positivo è che rimane un prodotto unico nel suo genere ed è sicuramente qualcosa di nuovo in cui si vede tutta la follia e il talento di Zack Snyder, che purtroppo delle volte sembra volersi affondare da solo, facendo sempre le cose di fretta.

Anche la recitazione non è il massimo, anche se c’è un ottimo Oscar Isaac che interpreta il ruolo del capo di questo luogo misterioso tra manicomio, casa chiusa e orfanotrofio.

Sucker Punch, rispetto agli altri due film, ci allontana dall’angoscia che a tratti ci trasmette, grazie alle scene di azione così distaccate dalla realtà. Rimane un film particolare, forse un po’ troppo folle e la cui qualità è difficile da identificare.

Penso sia un prodotto di nicchia, io o apprezzato per i tre livelli di sceneggiatura e scenografia e soprattutto per le musiche e il montaggio sonoro che arricchiscono in modo assoluto tutta la trama del film.

Si dice che questo film abbia una incredibile sincronicità con l’album dei Pink Floyd che potrebbe fargli da colonna sonora mantenendo perfettamente lo stile e l’evolversi della trama arrivando perfettamente anche alla fine, una colonna alternativa insomma.

Se volete vedere qualcosa di folle e alternativo, guardatevi questo film.