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THE LAST OF US – RECENSIONE QUINTO EPISODIO: ARRIVA LA PROFONDITA’ E IL DOLORE

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The Last Of Us arriva supera la metà del suo percorso e ci mostra un altro aspetto di questo brutto mondo, dominato da infetti e ribelli trasportati dalla disperazione, il quinto episodio è forse l’episodio più intenso ed emotivamente complicato. Il finale estremamente crudo e cinico in contrasto con la serenità di alcuni momenti, ci riporta e ci riapre gli occhi, su un mondo ormai crudele e estremamente violento.

Joel e Ellie fanno crescere il loro rapporto e il confronto con due ragazzini non fa altro che ricordare a Joel i bei momenti del passato. Si nota la netta divisione tra il mondo che era e il mondo in cui si trovano adesso, lui lo sa e riesce a mantenere sempre il giusto livello di attenzione e non abbassare mai la guardia. Un episodio pieno di scene molto intense e di morti che lasciano sicuramente il segno tanto da sorprende anche chi la storia la conosce già. A livello di regia forse il miglior episodio fino a qui, con scene davvero ben coordinate ed effetto, giusto livello di tensione e anche un po’ di paura. Il finale è crudele e estremamente intenso e significativo, riportandoci tutti in questo incubo che è il mondo di The Last Of Us.

La speranza viene cancellata scena dopo scena e a vincere purtroppo alla fine di tutto, sembra essere sempre e solo il fungo e la malattia, Joel sembra rassegnato ma non vuol perdere per alcun motivo al mondo quella che ormai e come se fosse sua figlia. Ellie conserva in sé la speranza che lei possa essere il cambiamento, che lei possa essere la cura per risolvere tutti i problemi del mondo. Il finale ci mostra in una scena mille sfumature del suo personaggio, una bambina che inizia a sentire su di sé, una responsabilità enorme.

The Last of Us non è una semplice passeggiata in un mondo post apocalittico, ma una storia cruda lontana dalle favole dal lieto fine, si sopravvive e ogni giorno può accadere qualcosa di terribile. Episodio scritto sempre molto bene, anche la recitazione sta salendo di livello e come detto prima la regia sembra essere la migliore vista fino a qui, una serie che si evolve, che prende confidenza e che non risparmia la sua crudeltà.

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Controcorrente Quattro Chiacchiere

AVATAR LA VIA DELL’ACQUA RIMETTE AL CENTRO DI TUTTO L’IMPORTANZA DELLE IMMAGINI?

QUATTRO CHIACCHIERE: Cos’è più importante nel cinema, l’aspetto visivo o i dialoghi? il nuovo capolavoro di James Cameron sembra darci una risposta.

Si sa il cinema è nato muto, quindi ovviamente le immagini hanno la loro importanza, anzi sono fondamentali, rispetto alle parole che il più delle volte risultano solo inutili e superflue. Il cinema è stato però anche fonte di monologhi meravigliosi, a volte estratti da libri, altri invece semplicemente scritti con maestria dai migliori sceneggiatori o da un autore particolarmente ispirato.

Il bello di questi due elementi non dipendono esattamente l’uno dall’altro, anzi quando uno prevale nettamente ci soddisfa senza troppo bisogno di qualcosa di più, il bello delle parole è che sono semplici, incisive, le immagini, pur se spettacolari, sono meno incisive, più difficili da ricordare con esattezza e necessitano di un immenso lavoro anche in post produzione.

Avatar riporta al centro di tutto l’aspetto visivo, come già fatto da Top Gun questa estate, lo fa in modo clamoroso e attrattivo, quasi a farci dimenticare che il cinema è fatto anche di parole. Un cinema che per avere successo deve essere immediato, dinamico e che non ha molto tempo per soffermarsi sulla profondità. Nonostante c’erano tematiche dense e possibilità di dialoghi importanti, James Cameron gli evita abilmente e punta tutto sulla qualità delle immagini e degli effetti visivi, creando forse il film più immersivo di sempre.

Le parole passano in secondo piano quando un film ha tanto da offrire a livello visivo, la mente è concentrata più sulle immagini che sulle parole. Nel caso di Avatar tutto questo è amplificato, tanto che in alcuni momenti di entrambi i film, non si ha nemmeno la percezione di cose è appena stato detto perché si è rapiti dalla bellezza delle immagini. Così le parole perdono potere e sarebbe quasi del tutto inutile scrivere monologhi di un certo livello.

Così i film diventano azione e non più dialogo, allontanandosi da quella capacità degli anni 90′ di fare film “teatrali”, dove bastavano due attori e un dialogo ben scritto per sostenere un intero film, con scene che vengono postate e replicate ancora oggi, mentre con la bellezza delle immagini che si perde nel tempo e non viene più ricordata. Il dialogo sa viaggiare nel tempo, essere il passato, il presente e il futuro, l’immagine invece rimane intrappolata nel presente con una bellezza che muta, cambia e migliora nel corso degli anni.

Lo stesso Avatar ha fatto passare 13 anni, per migliorarsi visivamente, per portare qualcosa di meglio, evidentemente più spettacolare. Mentre i dialoghi hanno sempre la stessa forza, bellezza e impatto se sono scritti bene. Va data profondità anche a livello umano e il regista insieme all’attore deve essere capace ad esprimerla. Intere serie e film basano la loro intera struttura sul dialogo, lasciando che le immagini siano solo il luogo dove tutto accade e dove si lasciano parole stupendamente incisive.

Questi film così visivi, ci riportano anche un po’ indietro al cinema muto, dove sono solo le immagini a parlare, una qualità video che a volte supera quasi la realtà. Interi mondi che vengono creati digitalmente con una maestria sempre più aggiornata e meravigliosa. Con effetti visivi da lasciarci a bocca aperta. A volte ci basta questo poter sognare con i nostri occhi, commuoverci anche senza aver per forza la necessità di avere un dialogo iconico e che rimarrà nella storia del cinema.

Pensando al cinema moderno la risposta rimane chiara e scontata, la cosa che conta di più in un film è sicuramente l’aspetto visivo, i nostri occhi sono abituati troppo bene ormai e la nostra mente non ha voglia di impegnarsi nella comprensione di dialoghi e parole troppo contorte.

Non solo Avatar ma anche altri film sono la dimostrazione concreta che le immagini sono la forza e il motore del cinema moderno, le uniche che possono regalare una differenza sostanziale tra la sala cinematografica e la nostra Tv di casa. L’importanza delle immagini è fondamentale, e poco importa se ormai le parole sono semplice sfumature in un film fatto di opere d’arte visive.

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SHANG CHI E LA LEGGENDA DEI DIECI ANELLI: UN PO’ DI CINA NELL’UNIVERSO MARVEL

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Shang Chi è un film del 2021 diretto Destin Daniel Cretton e fa parte dell’universo Marvel, quindi è tratto ovviamente da un fumetto. Come il fumetto originale il film si propone più come mossa commerciale che strizza l’occhio alla Cina, ma che cerca comunque di essere un film piacevole e mantenere il solito stile Marvel.

Shang Chi è un film divertente e piacevole, parte un po’ lento conto effetti visivi che non mi hanno convinto del tutto, poi man mano migliora e le scene d’azione danno qualità a tutto il film. Una trama abbastanza semplice, anche se a tratti rimane un po’ più difficile da capire, soprattutto le intenzione dei personaggi non si capiscono del tutto, sono un po’ deboli le motivazioni. La recitazione è un po’ acerba, Simu Liu è un po’ rigido e innaturale come un po’ tutto il cast. La Cina si vede è c’è praticamente in ogni scena, dagli attori, alle location alle leggende del posto con creature mistiche davvero carine e ben fatte legate alla mitologia cinese.

Il film non sembra del tutto far parte dell’universo Marvel, solo alcune comparse ci riportano a quel mondo, per il resto sembra un film a parte, che può iniziare e finire li senza alcun problema, affascinanti i combattimenti con similitudine con i classici di Jackie Chan che ho apprezzato molto. Belle le mosse e le tecniche di combattimento e molto bello lo scontro finale a livello visivo.

Il film fa fatica in alcune parti che risultano forse un po’ forzate, penalizzate dagli attori e del fatto che alcuni rapporti umani sono un po’ irrealistici e banali, ma cresce e cresce bene convincendo sempre di più, sia visivamente che a livello di trama.

Un film molto piacevole da vedere, però a differenza di altri Marvel è più difficile appassionarsi al protagonista, perchè ovviamente arriva da fumetti meno conosciuti, un difetto che ultimamente si vede in tutti i film di questo universo, con personaggi come Capitan Marvel oppure lo stesso Shang Chi che non hanno e non possono avere il fascino di Capitan America e Iron Man. Problema che si ripresenterà con “gli eterni” e che rischia di abbassare il giudizio generale verso il film.

Shang Chi non ha nulla da invidiare ad altri film Marvel, ha semplicemente un protagonista meno spettacolare e magari personaggi meno accattivanti di contorno, il problema forse non è il film in se, ma il soggetto che risulta un po’ debole.

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SWEET GIRL: IL LEGAME PADRE E FIGLIA A VOLTE E’ DAVVERO FORTE

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Sweet girl è un film del 2021 diretto da Brian Mendoza e distribuito da Netflix, con protagonisti Jason Momoa e Isabela Merced. I due sono padre e figlia in un film che parla di vendetta e amore per la famiglia, dove è sottolineata l’importanza del rapporto tra padre e figlia. La trama è completa non ha grossi vuoti e si capisce dall’inizio alla fine ciò che succede, i dialoghi hanno degli alti bassi e a volte pur cercando di colpire l’attenzione non ci riescono e risultano un po’ banali. L’inizio è molto inteso, la situazione è molto drammatica, con la mamma e moglie dei protagonisti che muore di cancro. Inizia così una ricerca disperata della verità, perchè sembra che il farmaco salvavita sia stato bloccato dalle lobby farmaceutiche e dalla politica. Raymond Cooper (Jason Momoa) non si ferma davanti a nulla e addirittura uccide pur di vendicare la moglie morta e far venire a galla la verità. L’ottimo plot twist verso il finale rende tutto più bella, e da decisamente un tocco in più a tutta la storia.

Un film che non ha grandi pretese, ma che nel complesso è fatto davvero bene, a fine film sei soddisfatto di ciò che hai visto e a memoria non ci sono grandi errori, la regia è buona anche se un po’ confusionaria nelle scene di azione. Gli attori non mi hanno convinto subito, ma poco a poco si può dire che entrambe le interpretazioni sono di buon livello. Nulla di spettacolare a livello visivo, ma il film riesce a stupire in modo abbastanza inaspettato con qualche piccolo colpo di scena, in generale però una trama che non convince del tutto per le proprie dinamiche che appaiono un po’ forzate e troppo distaccate dalla realtà.

Il rapporto padre e figlia è forte e si vede, il film si “appoggia” su questo argomento, mettendo un linea di confine quasi sottile, con una frase emblematica “Genitore e figlio, dove finisce uno e inizia l’altro?”. Con questa frase c’è un po’ tutta l’essenza del film, il fatto che arriva un punto della vita dove forse è il figlio a doversi prendere cura dei propri genitori, quando sei allo stesso tempo genitore e figlio, quando la famiglia è al centro di tutto. I ricordi si mischiano e inizi a chiederti se quelli saranno i tuoi ricordi o quello di tua figlia/o. Sono linee sottili che diamo per scontato eppure non sempre è così, delle volte i nostri figli sono delle copie di noi stessi, stesso carattere e atteggiamento, delle volte li sentiamo tremendamente lontani. Sweet girl cerca in qualche modo, in mezzo a moltissimo azione, di mostrare che a volte il rapporto tra padre e figlia è talmente forse da andare oltre a qualsiasi cosa, talmente uniti da sembrare la stessa persona.

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KISSING BOOTH 3: RECENSIONE DI UNA FIN “TROPPO” FORTUNATA, SAGA DI NETFLIX

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The kissing booth 3 è l’ultimo capitolo di una fin troppo fortunata saga di Netflix, che in 3 capitoli a provato e riprovato a fare dei film sulla generazione Z, su un intreccio amoroso che non ha mai convinto del tutto e con una regia e una scrittura che non hanno mai dato la giusta qualità ai tutti e tre i film. Netflix ha bisogno di questi film, ma anche il pubblico, infatti la saga ha avuto comunque successo ed è diventata il simbolo del romanticismo targato Netflix.

Elle, si ritrova come sempre in una situazione abbastanza complicata, deve scegliere il college in cui andare e decide di seguire il suo cuore ed andare a Boston con Noah, deludendo così (l’assillante) Lee, suo migliore amico e fratello del suo ragazzo. Elle è confusa e non si sa perchè delude tutto e tutti, perchè tutti sono egoisti e vogliono per forza qualcosa da lei, senza effettivamente dargli nulla. L’unico che cerca di aiutarla un po’ è Marco, suo “spasimante” nel secondo capitolo, che appare ogni tanto da qualche colonna, ma che degenera anche lui, nella versione “tu devi essere mia e fare qualcosa per me”.

Il film prova a descrivere la generazione degli anni 2000, ma in moltissimi concetti e forse anche nello stile e tremendamente fermo negli anni 90′. Pur avendo i pregi di essere un film leggero, poco impegnativo e abbastanza carino per i suoi personaggi, il terzo capitolo è certamente il peggiore dei tre, fatto solo per cavalcare l’onda del successo. Pessima regia, pessima recitazione, fotografia inesistente e un montaggio davvero insostenibile rendono il film davvero troppo amatoriale e poco credibile, è disordinato e nessuna scelta ha senso. Va guardato senza pensarci, cogliendo il poco di buono che c’è. Infatti scavando bene, qualcosa di buono nel finale c’è. Infatti i toni cambiano, c’è qualche momento in più di serietà e riflessione e vengono posti con un attimo più di attenzione i problemi della generazione Z, il vuoto tremendo che sentiamo quando finiamo le scuole e ci chiediamo cosa vogliamo fare realmente della propria vita. Dura solo un momento, però è bello che anche in un film semplice e banale come questo, ci sia un attimo, un piccolo attimo su cui vale la pena riflettere, allo stesso tempo ci fa capire che poteva avere un potenziale ma che si è perso in scelte davvero un po’ stupide e troppo scontate.

Se si passa sopra sulla marea di difetti del film, può risultare piacevole, è davvero leggero e servono anche film del genere, senza impegno che anche se sono fatti male non annoiano mai, ci fanno fare magari qualche risata e passare poco più di un oretta piacevole. Un film che non ha pretese e che quindi si può perdere pure nella sua banalità e semplicità.

Sinceramente non so se consigliarlo o meno, penso in fondo di si, non è proprio tempo sprecato, nel complesso si può catturare qualcosa di positivo in ognuno dei tre film, l’importante è mantenere le aspettative basse.

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PROJECT X : UN FILM CHE SPACCA

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Project X è un film del 2012, girato nello stile del falso documentario, è una commedia girata quasi completamente del punto di vista di una sola telecamera e diretto dal regista Nima Nourizadeh. Questo film ha la capacità di stupire fin dai suoi primi attimi con questa particolare inquadrature inusuale per un film da cinema, perchè la prospettiva è sempre quella di una videocamera, come se qualcuno stesse filmando poco a poco tutto. Questo ci incuriosisce e ci fa entrare di più nelle dinamiche del film, quasi da sembrare parte del gruppo.

Si presenta quasi come un film su youtube, sembra una storia vera, è un film con giovani, fatto per i giovani, i film che ci risveglia qualche ricordo e che ci fa esaltare per ciò che succede, tra risate e incredulità. La trama è semplice ma super efficace, è il compleanno di Thomas, i suoi due amici, un po’ “sfigati” come lui, decidono di organizzare una festa per il suo compleanno a casa sua, approfittando del fatto che i suoi genitori saranno in vacanza per il weekend. Costa uno dei suoi amici ha grande carisma e riesce a cerare un enorme passaparola che è talmente efficace che la festa diventa sempre più grande con sempre più persone, fino alla quasi devastazione della casa e parte del quartiere.

Project X è un sogno di ribellione dei giovani, la voglia di divertirsi di vivere le serate senza pensare al futuro, o al proprio passato, vivere il momento come se non ci fosse un domani, sono giovani, spensierati, ma allo stesso tempo sembrano avere problemi molto più grandi degli adulti, Thomas vuole che la sua festa sia indimenticabile e per molti versi lo sarà. Il film ci butta dentro la festa, ci vuole coinvolgere e lo fa splendidamente, tutti noi vorremmo essere stati li, perchè in certe occasioni quello che conta e esserci stato anche se ognuno vive il divertimento a proprio modo. Un film che non ha grosse pretese ma che sa stupire in modo positivo fin da subito e che è difficile da non apprezzare, perchè va a toccare i sogni di ogni giovane, quella voglia di ribellione e di festa che abbiamo tutti in un certo periodo della nostra vita.

Project X diventa quasi un cult del suo genere, diventando uno dei film meglio riusciti su feste ed eccessi giovanili, un film che piace a tutti e che penso sia da vedere assolutamente, non è diseducativo e semplicemente più reale di quanto si crede, perchè tutti anche se in più piccole dimensioni hanno vissuto momenti simili da raccontare agli amici. Questo film è una estrapolazione dei sogni di una notte della generazione Z che vuole sempre l’eccesso, il divertimento estremo, la popolarità, vuole staccare dal mondo, perchè il mondo è troppo grande per loro. Sta collassando tutto, va tutto a fuoco, la pandemia, il pianeta che muore, il futuro è estremamente buio e triste, i giovani hanno bisogno della loro festa alla Project X, e questo film ti da l’occasione di sognare e di immedesimarti nei protagonisti, insegnandoci la bellezza di vivere almeno un giorno nella vita come se fosse l’ultimo. Il bello di questo film è proprio al leggerezza, non c’è filtro, c’è realtà, impatto, anche droghe, alcol a fiumi, musica a palla e sesso, perchè delle volte la vita è anche questo, anzi noi non facciamo altro che inseguire momenti del genere.

Mi spiace che questo film non sia conosciuto come dovrebbe, è un ottimo film per giovani che hanno voglia di qualcosa di alternativo, qualcosa di estremamente vicino a loro, qualcosa in cui identificarsi veramente. Assolutamente da vedere.

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22 MILE: UN FILM FORSE UN PO’ TROPPO CAOTICO

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Mile 22 è un film del 2018 diretto da Peter Berg con protagonista Mark Wahlberg. Un film d’azione che vede la coppia Berg e Wahlberg di nuovo insieme, ma che a mio parere sembra avere funzionato meno del solito, con un trama un po’ confusionaria e un montaggio caotico e troppo frettoloso.

Due maestri dell’azione come Berg e Wahlberg, ormai sempre perfettamente collocati in questo genere, ma che qui in 22 Mile non mi hanno convinto, ne Berg alla regia nel il caro buon vecchio Mark come attore protagonista, non tanto per demeriti tanto quanto per il suo personaggio scritto davvero troppo male. Non sono riuscito mai a definirlo e a capirlo fino in fondo, scelte troppo forzate e il tentativo di creare un personaggio per una saga di azione secondo me è completamente fallito. Il suo carattere sembra non influire con la trama che rimane sempre molto confusionaria e senza molto senso, l’azione non basta e rende il film estremamente caotico e difficile da comprendere.

Anche le scene di azione mi hanno deluse, a tratti non si capiva cosa stesse accadendo e la regia da questo lato è stata proprio deludente, i combattimenti risultano davvero troppo confusionari e non ti fanno mai capire come stanno andando realmente le cose. Un film che vuole essere tutto ma alla fine non è nulla, ne spionaggio ne guerra e nemmeno poliziesco.

Non si capisce bene il collocamento dei personaggi, la linea temporale, i loro rapporti personali, nulla, scritto molto male in tutti i suoi aspetti, riesce solo a salvarsi per l’aspetto visivo e qualche sparatoria un po’ più esaltante, il ritmo comunque e buono, sempre di alto livello, veloce e scorrevole, non ci sono momenti lenti significativi, l’azione comunque è la protagonista.

Non mi è dispiaciuto il personaggio di John Malkovich, peccato sia stato poco approfondito, sembrava quello meglio caratterizzato e interessante, mentre gli altri non mi hanno conquistato per nulla, anzi, mi sembrano davvero contorti, poco approfonditi e a tratti davvero inutili ai fini della trama, anche lo stesso Wahlberg mi è sembrato un po’ perso non sapendo bene che fare di quella caratterizzazione, a parte una strana forma di iperaggressiva il suo personaggio non aveva nulla.

Nel complesso un film che mi ha deluso in molti suoi aspetti, deluso soprattutto perchè di solito i film diretti da Berg mi sono sempre piaciuti e parchè in coppia con Wahlberg funziona sempre, invece in questo film ho trovato troppi difetti ed è davvero troppo caotico, rovinando quel poco di buono che c’era, peccato.

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IL PRIMO RE: UN FILM ITALIANO, NUOVO E DI ALTO LIVELLO

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Il primo re è un film del 2019 diretto da Matteo Rovere, prodotto da Rai cinema e Groenlandia, si è già distinto fin dalla produzione iniziale, per un ampio budget per il cinema italiano di circa 8 milioni di euro.

Matteo Rovere non è solo il regista di questo film, ma anche il produttore e dopo un film ben fatto come ” veloce con il vento”, si ripete in questo film che è una vera e propria ventata di aria fresca per il cinema italiano.

Il primo re è un film storico di ottimo livello, con una trama abbastanza semplice, lineare e senza troppi colpi di scena, ma che ci espone in modo semplice la storia dei due gemelli fondatori di Roma, Romolo e Remo.

La storia vede come protagonista più che altro Remo, interpretato da un super Alessandro Borghi, che in questo ruolo mi è piaciuto davvero un sacco, attore davvero di grande talento, con grande impatto emotivo nei momenti più concitati.

Il film è un po’ lento, composto da pochi dialoghi e parole, naturalmente va visto con i sottotitoli perchè è interamente girato nella lingua di quegli anni, il protoitalico, che gli da un tocco unico e originale, trasportandoci direttamente in quel periodo storico.

La fotografia, insieme alla regia è il punto forte del film, davvero spettacolare a tratti, molto stile Hollywood, e in certi ambienti e attimi ho rivisto la bellezza della luce naturale dello stile di Lubezki. L’unico difetto è che l’ho trovata un po’ troppo buia in certe scene, come se “famola scura che cosi nascondiamo i difetti”.

Ottimi i costumi e il trucco, i dettagli sono ben curati e anche le scene di violenza sono davvero ben fatte con effetti speciali davvero di ottimo livello, non mi è piaciuta molto la scenografia, a tratti valorizzata dalla regia e dalla fotografia, ma nel complesso si ha sempre come l’impressione che sia stato girato nel bosco dietro casa.

Nel complesso è davvero un film di ottimo livello, qualcosa di nuovo per il panorama italiano, bello in molti dei suoi aspetti e una piccola perla di fotografia e regia che spero possa essere un ottimo punto di partenza.

Il primo re è un film dal respiro internazionale, girato in una lingua originale e unica lo rende perfetto per qualsiasi nazione, forse sarebbe meglio guardarlo due volte per gustarsi ancor di più alcune inquadrature.

Un film storico di livello assoluto, dai sapori storici e di violenza i stile “Vikings”, con una fotografia che strizza l’occhio a “The Revenant”, consiglio assolutamente di vederlo.

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NARCOS : UNA DELLE MIGLIORI SERIE DI NETFLIX

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Narcos è una serie Netflix creata da Chris Brancato è tratta da una storia vera e parla della vita di uno dei più famosi narcotrafficanti di sempre, Pablo Escobar.

Forse Narcos, dopo House of Cards, è la serie Netflix che ha dato importanza a questa piattaforma e rimane uno dei prodotti migliori che potete trovare nel catalogo.

La serie ha davvero un sacco di aspetti positivi, dalla scenografia, in una Colombia rara da vedere e in una fotografia perfettamente calata nell’ambiente latino degli anni 90′.

Anche la scelta degli attori è molto precisa e in parte si rifà a persone che realmente hanno vissuto quella storia, il duello tra DEA e Pablo Escobar. Due attori sicuramente importanti per la serie sono Boyd Holbrook e Pedro Pascal, anche se tutta l’attenzione è rivolta alla grande interpretazione di Wagner Moura che veste i panni di Pablo Escobar.

Sicuramente la recitazione e la cura dei dettagli sono la forza di questa serie, che come molti film racconta questa storia, ma lo fa in modo più preciso, delineato avendo la possibilità di distribuire la trama su due stagioni e una terza stagione per parlare del cartello di Cali.

La lingua originale in spagnolo in gran parte dei dialoghi dei Narcos, le da un tocco in più la rende più realistica e più iconica, affascinante anche l’ascesa al potere di Pablo, la sua idea e la sua maestria negli affari sono ben rappresentati.

Narcos ci mostra il lato oscuro del mondo, il giro d’affari che c’è dietro alla droga, lo fa in modo giusto, raccontando i fatti e mettendoci un po’ di enfasi cinematografica, non è mai noioso e anche chi sa già la storia ne rimane sorpreso e coinvolto.

Una produzione importante per Netflix che ha dovuto collaborare con case di produzione Colombiane e trovare un attore adatto, con la scelta perfetta di Moura, che lavora perfettamente sulla caratteristiche di Pablo.

Penso che Narcos possa essere una serie un po’ per tutti, è comunque una serie tratta da una storia vera, che in parte molti conosciamo, è ben fatta, curata e ben recitata, quindi direi che vale assolutamente la pena di essere vista.