Gli spiriti dell’Isola (The Banshees of Inisherin) è un film 2022 scritto e diretto da un super Martin McDonagh che ci mette dentro tutto sé stesso e porta il teatro al cinema. Questo film ha avuto 9 candidature agli oscar e vinto 3 golden globe.
La trama è molto semplice, due amici che vivono in una piccola isola dell’Irlanda chiudono improvvisamente i loro rapporti di amicizia portando tutta l’isola a subirne le conseguenze.
Come capita spesso nei film di McDonagh, un piccolo evento scatena una sequenza di danni e si ingigantisce fino a quasi esplodere, come in questo caso dove Colm (Brendan Gleeson), un uomo un po’ solitario, riflessivo e con la passione per la musica decide all’improvviso di troncare i rapporti con il suo migliore amico Pàdraic (Colin Farrell). l’uomo rifiutato e definito noioso dal suo amico entra in una crisi esistenziale e cerca di ricucire un rapporto misteriosamente interrotto.
Gli spiriti dell’isola ha una meravigliosa fotografia, con questa piccola e povera isola irlandese nel 1929, fatta di pastori e con un piccolo Pub dove si riuniscono un po’ tutti. Questo film non parla solo di amicizia e di noia, ma ance dell’assurdità della guerra e da come piccoli gesti nascono grandi e inevitabili cambiamenti. Nonostante ci siano pochi personaggi e poche situazioni, questo film riesce a regalare molte emozioni, con una narrazione che aleggia tra la commedia e il drammatico.
La reazione spropositata di Colm durante la storia rappresenta la follia stessa di alcuni momenti, il contrasto e l’ipocrisia che ci circonda, una negazione di noi stessi, “perdiamo dei pezzi” di noi stessi pur di mostrare agli altri le nostre nuove convinzioni, cancelliamo il passato convinti che questo ci dia sempre una nuova vita, per poi renderci conto che il mondo è davvero piccolo a volte.
Il personaggio di Pàdraic invece è il simbolo della bontà e dell’ingenuità, infangato e condizionato dalla violenza e dalla follia del mondo, preso in giro e lasciato solo, perché troppo buono in un mondo di cattiveria.
Nel complesso, le caratteristiche di questo film possono essere racchiuse nel personaggio di Dominic (Barry Keoghan) un ragazzo giovane e ingenuo dell’isola, molto gentile con tutti, puro e semplice un po’ stupido, ma con dei valori e con una vita non affatto facile. Pochi personaggi scritti bene, dialoghi brevi, intensi e significativi e un sacco di metafore davvero interessanti, questo è gli spiriti dell’isola.
The Hunt è un film del 2020 diretto da Craig Zobel e scritto da Damon Lindelof (Lost) che n’è anche prodotto esecutivo insieme alla Blumhouse.
Questo film parla di ricchi e annoiati che in una così detta “Fattoria” portano delle persone per essere cacciate come animali. Prendono i fucili e sparano verso le ignare vittime che si ritrovano li inconsapevoli di ciò che sta accadendo. Il finale non manca di un colpo di scena abbastanza interessante, un plot point particolare che regala una nuova chiave alla trama del film.
Sinceramente, viste le premesse mi aspettavo qualcosa di meno ironico, ma il tratto distintivo della Blumhouse che solitamente mette insieme commedie e horror si vede ed è incisivo all’interno del film, con scene paradossali e un po’ troppo splatter e grottesche.
Questo però rende il film più leggero e ne toglie quasi ogni tipo d tensione, fin da subito intugliamo chi sarà la protagonista, ma difficile intuire quale sarà il finale. La trama è ben scritta, a tratti anche divertente con personaggi davvero molto particolari e molto folli.
C’è un vortice di follia fin dalle prime scene in cui ci ritroviamo su un aereo con dei ricchi viziati, c’è da subito violenza e una sorta di splatter forse eccessivo. La svolta finale rende il film meno banale di quello che sembra, ma l’ironia e la parte parodistica e grottesca rimane fino all’ultimo frame del film.
The Hunt è molto più banale e stupido di come si presenta, è il classico film molto trash che esagera ma che allo stesso tempo si fa vedere non annoia e una volta inquadrato e anche piacevole. Ovviamente non è un film che può superare la sufficienza, ma è un prodotto che sa quello che vuole, ordinato che una trama che nonostante qualche follia ha un senso e una logica e funziona bene.
Ho scelto questo film principalmente perché scritto da Lindelof, ma ho trovato davvero poco della sua traccia e del suo stile, se non nella dettagliata e quasi spirituale follia di alcuni personaggi.
Under the silver lake è un film del 2019 diretto e scritto da David Robert Mitchell. Uno di quei film da cinema indipendente che solo il regista può capire a fondo e che divide la critica in due, chi lo ama e chi lo odia profondamente.
Questa pellicola è fin da subito particolare e complicata con il protagonista Sam (Andrew Garfield) che rappresenta un po’ un millennial perso nel corso della sua vita, disoccupato che passa le giornate a spiare i vicini. Un ragazzo un po’ sulle sue che sembra essersi buttato via da tempo e che conosce per caso la sua vicina e di cui in una sola sera passata insieme se ne innamora. Lei sparisce all’improvviso e parte cosi una ricerca in una Los Angeles nascosta, strampalata e molto particolare.
Il film mantiene uno stile anni ottanta molto particolare a tratti affascinante con uno stile che ricorda un po’ anche Stanley Kubrick e con diverse citazioni alla cultura Pop, uno neo-noir che ci mostra un ragazzo perso che in qualche modo a paura delle donne, che frequenta feste davvero particolari e chi in qualche modo viene a contatto con l’élite della città. Una storia molto chiusa, ermetica e dalle mille interpretazioni, con una sottilissima linea tra realtà e fantasia.
Under the silver lake si allontana dal cinema classico e dallo spettatore annoiato e si rivolge di più ad un pubblico attento, curioso che ha voglia di esaminare la sua profondità. Facendo così però ci troviamo davanti ad un prodotto davvero complesso, a tratti folle e quindi nel complesso pessimo.
Il film arranca in ogni sua esecuzione e davvero molto confusionario e la giustificazione della sua profondità e del suo messaggio non basta, ha dei lati affascinanti e appare un po’ come un’opera d’arte bella ma talmente difficile da comprendere da ritenerla pessima e incompleta. La definizione migliore è, particolare, perché è certamente qualcosa di raro e che non si vede tutti i giorni ed è lo specchio artistico di chi l’ha creato, che è sempre un elemento positivo.
Questo è uno di quei film che è davvero troppo lontano dal pubblico moderno, e che quindi non sento di consigliare, è una strana e particolare opera artistica che è giusto che uno scopra totalmente casualmente e che si faccia un’idea personale senza essere contagiato da opinioni e consigli altrui.
7 sconosciuti a El Royale è un film del 2018 scritto e diretto da Drew Goddard, un thriller con alcuni misteri da risolvere che per la sua evoluzione e dinamica ricorda un po’ un’opera teatrale.
Ogni personaggio ha la sua storia, persona con vite e passati differente che si ritrovano per caso in un hotel a cavallo sul confine tra California e Nevada, suggestiva come idea, con stanze che si trovano in Nevada e altre in California e con la hall divisa in due. Ogni personaggio nasconde qualcosa e lo stesso hotel sembra nascondere qualcosa di misterioso. Un cast importante rende il film piacevole a livello recitativo con Jeff Bridges, Cynthia Erivo, Dakota Johnson, John Hamm, Caille Spaeny, Lewis Pullman e Chris Hemsworth.
Purtroppo la bella idea iniziale e la situazione particolare, svanisce un po’ lungo la storia del film, con una trama che non convince del tutto e con un finale forse fin troppo grossolano e un po’ esagerato. Ci sono degli spunti interessanti che vengono sfruttati poco per dar vita però ad un film semplice nella sua esecuzione con questi personaggi che praticamente interagiscono tra loro nella Hall dell’hotel e a poco a poco i misteri e il passato dei protagonisti viene rivelato.
Ricorda un po’ un’opera teatrale, con questa scenografia semplice e suggestiva con il confronto tra gli attori quasi sempre nella stessa stanza e con pochi altri punti di vista, anche la divisone in più atti invece che i semplici tre, rende questo film uno spettacolo anche adatto al teatro e se vogliamo anche un po’ in stile Quentin Tarantino. L’ambientazione anni 60/70 da un tocco in più, quasi da giallo Noir, c’è molta inspiegabile follia e alcune scelte dei personaggi vanno dedotte e non sono spiegate del tutto correttamente.
Ognuno ha un proprio obiettivo, ma nessuno prende la scelta giusta e la situazione nell’hotel degenera facilmente. Un film che sicuramente poteva dare di più e che non è stato abbastanza incisivo nei dialoghi e un po’ troppo dispersivo in alcune descrizioni dei personaggi non tutti all’altezza. Nel complesso rimane una pellicola piacevole da vedere, qualcosa di nuovo e abbastanza originale. Uno di quei film che ti fa scrivere “abbastanza” tante volte e che si indentifica perfettamente in quelle parole, come se si fermasse alla sufficienza con la certezza che si poteva dare di più.
Operation Fortune è un film del 2023 diretto da Guy Ritchie con protagonisti Jason Statham, Audrey Plaza, Hugh Grant e Josh Hartnett. Un film d’azione in pieno stile del suo regista, tra spionaggio, armi e missioni segrete.
Operation Fortune segue le vicende di alcuni agenti segreti Inglesi che devono fermare il commercio di una misteriosa arma segreta, non conoscono il contenuto, ma ben presto conoscono che si occupa dell’affare e per completare la missione, assumono una star di Hollywood per intrepretare sé stesso.
Come sempre Guy Ritchie scrive degli ottimi personaggi, con caratteri specifici che tengono un po’ in piedi tutta la storia, spesso i “cattivi” sono molto espansivi e particolari e Hugh Grant si trova a perfezione in questo ruolo, con una interpretazione davvero di ottimo livello. Statham è sempre lo stesso, ma non c’è personaggio migliore per questo genere di film. Un film che ricorda molto il passato del suo regista, con spezzoni e pellicole già viste, forse uno dei suoi difetti, è proprio la similitudine.
Questo film ha un ritmo elevato e una bella ironia, non annoia mai e la storia pur se piena di cliché dele genere, riesce ad avere un finale un po’ diverso dal solito, ovviamente i protagonisti sono molto abili e praticamente imbattibili e non hanno molti problemi a concludere la missione. Nonostante ci sia un po’ di violenza è molto mitigata dall’ironia presente nel film. Le location sono affascinanti e il finale ha un certo livello anche nei propri dialoghi con una scena molto scenografica e iconica.
Una regia, più pulita e meno artistica del solito e con delle musiche meno incisive rispetto alle sue precedenti pellicole, però anche in questo caso Ritchie non sbaglia il colpo e regala un prodotto davvero molto piacevole, moderno e adatto un po’ a tutti. Lasciandoci senza impegno, con ottimi personaggi e con anche qualche risata che non guasta mai.
Operation fortune è un film piacevolmente riuscito, io sono un po’ di parte perché apprezzo molto questo regista e autore, però è davvero un buon film. Ovvio niente di eccezionale o da oscar sia chiaro, ma nel panorama dei prodotti in streaming si difende davvero bene.
Prey è un film del 2022 diretto da Dan Trachtenberg, questa pellicola è il quinto capitolo della saga di Predatore prequel degli altri quattro film, saga partita nel 1987 in un film cult il cui protagonista era Arnold Schwarzenegger.
Questo film è il prequel di tutti gli altri, ambientato nel settecento, vede come protagonista Naru, una giovane ragazza Comanche interpretata da Amber Midthunder, che difende la propria famiglia e popolo dall’attacco di un misterioso alieno con una tecnologia molto avanzata. A differenza di altri Prequel, questo ha la necessità di essere visto dopo gli altri film per capirne meglio alcuni aspetti della trama e alcuni riferimenti.
Premesso che io sia un gran fan della saga, questo film mi è piaciuto molto, soprattutto per alcune scelte, soprattutto quella di riportarlo alle origini e di renderlo semplice in un duello tra il predator e l’uomo. Ci son ottime scelte nella trama che caratterizzano bene l’alieno che seleziona a poco a poco il predatore/cacciatore più forte di quel pianeta rendendosi in poco tempo che si tratta dell’uomo. Bella l’ambientazione, una fotografia a tratti molto significativa, a tratti forse un po’ troppo sacrificata per il potenziale che aveva. I duelli non sono mai banali, e ricalcano in parte quelli già visti in precidenti film. Ottima la scelta del tempo storico che ci mostra altre potenzialità di questo trama e rende il predator primordiale, neofita del pianeta e terra e con armi che come sempre, per caratteristiche sono simili a quelle della propria preda.
C’è un po’ del primo film, quella sensazione di duello tra l’uomo che per la prima volta è la preda e non il cacciatore, una preda che però è abituata a cacciare e che sa come difendersi, soprattutto un popolo nomade e esperto nella caccia come i comanchi, che dopo qualche scontro iniziano ad apprendere le caratteristiche del proprio cacciatore e futura preda. Predator ha uno schema preciso, che quando viene seguito, come un po’ è accaduto nel primo, nel terzo e in queso capitolo, funziona sempre e rende i film degli ottimi prodotti di fantascienza.
Prey rimette a posto le idee, ritorna allo stile originale e che fa funzionare questa saga e ci offre un’ottima pellicola, con una storia convincente e che funziona e con altri esperti dell’ormai iconico alieno, predator.
La Snyder Cut, così conosciuta, è un rifacimento del film del 2017 Justice League, film che ha avuto una produzione travagliata con l’avvicendamento tra Zack Snyder e Joss Whedon e con n risultato finale, diverso d quello programmato.
In questa versione si vede la piena visione del regista e delle sue idee, ma anche l’estrema confusione nell’universo dei DC Studios, con produzioni spesso travagliate e risultati finali differenti. Questo film pur essendo parte estesa dell’originale, è un film molto diverso, molto più lungo e visivamente caratteristico di Snyder anche nella fotografia. un tentativo di mostrare il potenziale dell’idea originale che secondo me funziona solo in parte. Veramente tanto lungo, fin troppo con un’introduzione dei personaggi quasi noiosa e fin troppo dettagliata. Il Batman interpretato da Ben Affleck non convince, non rivedo in lui nulla di Bruce Wayne, mentre anche se il resto dei personaggi funziona il nemico, nonostante il restyling stiloso, non rende ancora abbastanza e risulta quasi ridicolo e forzato, troppo sconosciuto per la maggior parte del pubblico.
Questo film si presenta più completo dell’originale, ma a parte questo non riesce comunque a dare la giusta spinta in più. In realtà è sempre stato un film troppo sottovalutato, io per molti aspetti ritengo questi prodotti DC più interessanti di quelli Marvel, troppo spesso infantili, però allo stesso tempo i Villain non convincono mai e anche la trama fa fatica ad essere davvero coinvolgente. Sicuramente Snyder migliora il prodotto originale e ci mostra che se si affida tutta ad unica visione, le cose vengono realizzate in modo migliore. Una grande confusione DC che si ripercuote un po’ sul pubblico ma che anche grazie alle nuove tecnologie ha offerto al pubblico la possibilità di vedere due versioni dello stesso film, rivalutandolo e migliorandolo.
Migliore la trama in generale, ovviamente più completa, migliori alcune scene di azioni e migliore anche la particolare fotografia, nel complesso per il suo genere è un buon film, con il solo difetto di non avere in mente un obiettivo preciso e che si perde nell’idea di voler creare un universo cinematografico partendo dal film Justice League.
QUATTRO CHIACCHIERE: EVERYTHING EVERYWHERE ALL THE ONCE si prende 7 statuette, grande ritorno di Brendan Fraser.
Oscar 2023 poche sorprese e il film Everything Everywhere all the once che domina la scena vincendo ben 7 statuette, uno spettacolo nella norma, nessuna notizia eclatante e il grande ritorno di Brendan Fraser che si porta a casa il suo primo Oscar come miglior attore protagonista.
Migliori film
Everything everywhere all at once
Gli spiriti dell’isola
Elvis
The Fabelmans
Tár
Top Gun: Maverick
Women talking
Triangle of sadness
Niente di nuovo sul fronte occidentale
Avatar: La via dell’acqua
Migliore regia
Daniel Kwan, Daniel Scheinert per Everything everywhere all at once
Martin McDonagh per Gli spiriti dell’isola
Steven Spielberg per The Fabelmans
Todd Field per Tár
Ruben Östlund per Triangle of Sadness
Miglior attore protagonista
Brendan Fraser per The whale
Austin Butler per Elvis
Colin Farrell per Gli spiriti dell’isola
Paul Mescal per Aftersun
Bill Nighy per Living
Miglior attrice protagonista
Michelle Yeoh per Everything everywhere all at once
Cate Blanchett per Tár
Ana de Armas per Blonde
Andrea Riseborough per To Leslie
Michelle Williams per The Fabelmans
Migliore attore non protagonista
Ke Huy Quan per Everything everywhere all at once
Brendan Gleeson per Gli spiriti dell’isola
Brian Tyree Henry per Causeway
Judd Hirsch per The Fabelmans
Barry Keoghan per Gli spiriti dell’isola
Migliore attrice non protagonista
Jamie Lee Curtis per Everything everywhere all at once
Angela Bassett per Black Panther: Wakand forever
Hong Chau per The whale
Kerry Condon per Gli spiriti dell’isola
Stephanie Hsu per Everything everywhere all at once
Miglior montaggio
Everything everywhere all at once
Gli spiriti dell’isola
Elvis
Tár
Top Gun: Maverick
Miglior film internazionale
Niente di nuovo sul fronte occidentale
Argentina, 1985
Close
Eo
The quiet girl
Miglior corto animato
The boy, the mole, the fox, and the horse
The flying sailor
Ice merchants
My year of dicks
An ostrich told me the world is fake and I think I believe It
Migliori costumi
Black Panther: Wakanda Forever
Babylon
Elvis
Everything everywhere all at once
Mrs. Harris goes to Paris
Miglior cortometraggio
An Irish goodbye
Ivalu
Le pupille
Night ride
The red suitcase
Miglior colonna sonora
Niente di nuovo sul fronte occidentale
Babylon
The banshees of Inisherin
Everything everywhere all at once
The Fabelmans
Miglior sonoro
Top Gun: Maverick
Niente di nuovo sul fronte occidentale
Avatar: La via dell’acqua
The Batman
Elvis
Miglior sceneggiatura non originale
Women talking
Niente di nuovo sul fronte occidentale
Glass onion: A knives out
Living
Top Gun: Maverick
Miglior sceneggiatura originale
Everything everywhere all at once
Gli spiriti dell’isola
The Fabelmans
Tár
Triangle of sadness
Miglior film d’animazione
Pinocchio di Guillermo del Toro
Marcel the shell with shoes on
Puss in boots: the last wish
The sea beast
Turning red
Miglior fotografia
Niente di nuovo sul fronte occidentale
Bardo
Elvis
Empire of light
Tár
Migliore canzone
Naatu Naatu da Rrr
Applause da Tell It Like a Woman
Hold my hand da Top Gun: Maverick
Lift Me Up da Black Panther: Wakanda Forever
This Is a Life da Everything Everywhere All at Once
Miglior scenografia
Niente di nuovo sul fronte occidentale
Avatar: The Way of Water
Babylon
Elvis
The Fabelmans
Miglior Makeup e Hairstyling (trucco e parrucco)
The Whale, Adrien Morot, Judy Chin e Anne Marie Bradley
Niente di nuovo sul fronte occidentale, Heike Merker e Linda Eisenhamerová
The Batman, Naomi Donne, Mike Marino eMike Fontaine
Black Panther: Wakanda Forever, Camille Friend e Joel Harlow
Elvis, Mark Coulier, Jason Baird e Aldo Signoretti
Migliori effetti visivi
Avatar: La via dell’acqua
Niente di nuovo sul fronte occidentale
The Batman
Black Panther: Wakanda Forever
Top Gun: Maverick
Miglior documentario
Navalny di Daniel Roher, Odessa Rae, Diane Becker, Melanie Miller e Shane Boris
All that breathes di Shaunak Sen, Aman Mann and Teddy Leifer
All the beauty and the bloodshed di Laura Poitras, Howard Gertler, John Lyons, Nan Goldin e Yoni Golijov
Fire of love di Sara Dosa, Shane Boris e Ina Fichman
A house made of splinters di Simon Lereng Wilmont e Monica Hellström
Miglior corto documentario
The elephant whisperers di Kartiki Gonsalves e Guneet Monga
Haulout di Evgenia Arbugaeva e Maxim Arbugaev
How Do You Measure a Year? di Jay Rosenblatt
The Martha Mitchell Effect di Anne Alvergue e Beth Levison
Stranger at the Gate di Joshua Seftel e Conall Jones
Ormai la lista è sempre più lunga ed è facile perdersi, a parte l’elogio dovuto a tutto il gruppo di lavoro di Everything Everywhere all the once, i complimenti vanno fatti anche ad una pellicola europea, tedesca per la precisione, che oltre al miglior film straniero ha vinto due premi di peso come miglior scenografia e miglior fotografia, il film tedesco è presente nel catalogo Netflix.
Quest’anno gli oscar sono un premio alla creatività e alle novità, attori che sono da anni nel panorama del cinema che per la prima volta vengono candidati e vincono addirittura un Oscar, come Brendan Fraser, Jamie Lee-Curtis o ad esempio Ke Huy Quan che era il bambino in Indiana Jones il tempio maledetto. Premi giusti senza troppe polemiche, nulla di clamoroso o scelte troppo politiche, vedere quello che comunque è uno Sci-fi vincere tutte queste statuette fa un certo effetto si, ma ormai tutti se lo aspettavano. Peccato per TOP GUN: Maverick che si è portato a casa solo un Oscar per il montaggio sonoro, nel complesso ritengo ancora che sia il miglior film e la massima espressione di un prodotto per le sale cinematografiche, quello poteva davvero essere un bel segnale per l’Accademy. Ovvio che il dominio del film dei “Daniels” dopo 6 Oscar, non poteva che prendersi anche miglior film.
Ottimo anche Brendan Fraser, strepitoso nella sua interpretazione, un attore che in qualche modo, chi è nato negli anni 80/90′ ci è affezionato e sinceramente è davvero bello che abbia ricevuto un premio del genere.
Un altro anno di cinema, un altro anno di Oscar, un nuovo anno di sorprese e di sogni.
Da me o da te è un film del 2023 diretto da Aline Brosh Mckenna che è al suo esordio alla regia ed è distribuito da Netflix. Questa commedia romantica ha come protagonisti Aston Kutcher e Reese Witherspoon.
Da me o da te è una commedia romantica che come tale ha molti cliché e similitudini con altre opere di questo genere, è leggermente differente per alcuni aspetti tra cui la dinamica principale tra i due protagonisti. Due adulti che si conoscono ormai da vent’anni e che dopo un rapporto, avuto da ragazzi, rimangono in buonissimi rapporti, super migliori amici, ma in città differenti e con vite opposte.
Lo schermo viene da subito e in modo emblematico diviso in due con i due protagonisti Debbie e Peter che parlano in videochiamata, lui Ricco in un appartamento di lusso a New York, lei più umile e con un figlio a carico, tra i due si nota subito una certa chimica e una forte amicizia. Quando Debbie dovrà andare a New York per un corso importante, Peter si offre di prendersi cura di suo figlio a Los Angeles per una settimana, e in quel momento che entrambi capiscono che forse tra di loro non c’è solo una bellissima amicizia.
Una commedia semplice ed efficace, un po’ diversa dal solito, bella nella sua leggerezza, ma un po’ banale e scontata nel suo finale, non c’è molta profondità ma non è necessaria, tutto funziona senza troppe complicazioni, come i pochi personaggi presenti nella pellicola e ben scritti. Un po’ di paradossi e un po’ troppa vita in discesa rendono il film un po’ distaccato dalla realtà, ma al tempo stesso piacevole e in cui è più facile sognare. Il concetto amore e amicizia è vissuto con serenità e anche se si conosce già il finale dal primo istante è comunque piacevole assistere all’evoluzione della storia.
Il tempo passa veloce guardando questo film, non è nulla di eccezionale e oltre a qualche sorriso non fa molto ridere, però ha la capacità di coinvolgere, con una buona recitazione e con una sceneggiatura che nonostante il genere e ben scritta, anche la regia ha qualcosa di interessante forse con una necessità di rompere la quarta parete non solo con le scritte ma anche con le battute.
Nel complesso un’ottima commedia romantica adatta un po’ a tutti, forse il suo difetto che è un po’ troppo leggera e tutto troppo in “discesa” per i protagonisti.
The Last Of Us arriva supera la metà del suo percorso e ci mostra un altro aspetto di questo brutto mondo, dominato da infetti e ribelli trasportati dalla disperazione, il quinto episodio è forse l’episodio più intenso ed emotivamente complicato. Il finale estremamente crudo e cinico in contrasto con la serenità di alcuni momenti, ci riporta e ci riapre gli occhi, su un mondo ormai crudele e estremamente violento.
Joel e Ellie fanno crescere il loro rapporto e il confronto con due ragazzini non fa altro che ricordare a Joel i bei momenti del passato. Si nota la netta divisione tra il mondo che era e il mondo in cui si trovano adesso, lui lo sa e riesce a mantenere sempre il giusto livello di attenzione e non abbassare mai la guardia. Un episodio pieno di scene molto intense e di morti che lasciano sicuramente il segno tanto da sorprende anche chi la storia la conosce già. A livello di regia forse il miglior episodio fino a qui, con scene davvero ben coordinate ed effetto, giusto livello di tensione e anche un po’ di paura. Il finale è crudele e estremamente intenso e significativo, riportandoci tutti in questo incubo che è il mondo di The Last Of Us.
La speranza viene cancellata scena dopo scena e a vincere purtroppo alla fine di tutto, sembra essere sempre e solo il fungo e la malattia, Joel sembra rassegnato ma non vuol perdere per alcun motivo al mondo quella che ormai e come se fosse sua figlia. Ellie conserva in sé la speranza che lei possa essere il cambiamento, che lei possa essere la cura per risolvere tutti i problemi del mondo. Il finale ci mostra in una scena mille sfumature del suo personaggio, una bambina che inizia a sentire su di sé, una responsabilità enorme.
The Last of Us non è una semplice passeggiata in un mondo post apocalittico, ma una storia cruda lontana dalle favole dal lieto fine, si sopravvive e ogni giorno può accadere qualcosa di terribile. Episodio scritto sempre molto bene, anche la recitazione sta salendo di livello e come detto prima la regia sembra essere la migliore vista fino a qui, una serie che si evolve, che prende confidenza e che non risparmia la sua crudeltà.