The Forgiven è un film del 2021 diretto e scritto da John Michael Mcdonagh. Il film è presente su Now Tv, canale streaming di Sky, tra gli attori protagonisti ci sono Ralph Fiennes, Jessica Chastain e Matt Smith.
The Forgiven parla di due ricchi turisti inglesi che stanno andando ad una festa di un amico, in mezzo al deserto del Marocco, durante il viaggio di andata investono accidentalmente un ragazzo del luogo e lo uccidono. Presi dalla paura fanno in modo di nascondere l’identità del ragazzo, ma presto arriverà il padre che vuole una redenzione da parte del turista inglese. La situazione sembra risolversi facilmente, ma poi il padre del ragazzo morto, chiede che chi ha ucciso suo figlio, venga con lui nel suo villaggio per assistere alla sepoltura.
Nonostante il film duri le classiche due ore, c’è una forte e radicata crescita e cambiamento nei personaggi, immersi in una situazione opposta ma significativa. Una terra splendida come il Marocco in una storia di perdono, vendetta e redenzione. Mentre David Henninger (Ralph Fiennes) parte con il padre della vittima per qualche giorno, sua moglie Jo (Jessica Chastain) ritrova sé stessa e tradisce suo marito con un turista americano presente alla festa. David inizia un viaggio che lo cambia nel profondo e alimenta in sé un forte senso di colpa.
Il film gioca molto sul dubbio e il contrasto, dubbio su che fine farà David e il contrasto tra questi piccoli villaggi di cacciatori di fossili e i ricchi turisti viziati che invadono il Marocco, in queste enormi ville in mezzo a deserto. Un’ottima fotografia immersiva rende questa pellicola un piccolo viaggio nel deserto, come una piccola immersione in una piccolissima parte della cultura in Marocco, in posti lontani dal mondo, in cui i sogni sono soppressi dal sole e dal caldo.
La recitazione è buona, anche la scrittura lo è, anche se ha tratti vacilla un po’ con scelte non molto utili ai fini della trama e con un’evoluzione non meglio giustificato del personaggio di Jo, che appare come la vera “cattiva” di tutta la storia e con cui è difficile empatizzare per le scelte che commette.
Un ottimo film che riesce a nascondere bene i propri difetti e con un finale molto deciso, che si fa riflettere ma che conclude alla perfezione, l’evoluzione dei personaggi. Un po’ noioso a tratti, forse un po’ lontano dallo stile moderno, frenetico e senza profondità, ma che invece si allinea di più a un cinema più complesso con una retorica e un significato.
QUATTRO CHIACCHIERE: Dopo le riprese di Dune 2, Denis Villeneuve porterà al cinema il film tratto dal famoso libro di Athur C. Clarke “Incontro con Rama”.
Dopo il successo di Dune, Denis Villeneuve è uno dei registi più in voga del momento, uno dei più apprezzati, con la sua visione sempre molto spettacolare nei propri film. Un regista che ormai inizia ad avere una certa confidenza con il mondo della fantascienza, dopo film come Blade Runner 2049 e Arrival.
Con Dune (approfondimento Dune) ha fatto il salto di qualità portando un vero propria kolossal fantascientifico e forse uno dei pezzi più pregiati della letteratura di quel genere, nel mondo del cinema, ampliando e migliorando il buon lavoro già fatto da Lynch anni prima. A Villeneuve piacciono le sfide, piace la fantascienza e gli piace mettere il suo tocco e il suo stile in tutto ciò che dirige.
“Incontro con Rama” è un altro pilastro della letteratura del genere fantascientifico, scritta da Athur C. Clarke, autore tra le altre de “La sentinella” conosciuto al cinema come “2001 odissea nello spazio”. Questa storia a differenza di altri film del regista canadese, si svolge praticamente tutta nello spazio, ma nel complesso una storia che a livello ritmico potrebbe ricordare i suoi precedenti film.
Incontro con Rama, ambientato nel 2130, racconta la storia di una missione spaziale incaricata di intercettare una misteriosa astronave aliena che sta sfrecciando nel sistema solare, questo potrebbe essere il primo contatto con una razza aliena intelligente.
Ma per saperne di più ecco la sinossi della Mondadori che riguarda il libro…
11 settembre, data fatidica: in quel giorno (ma nel 2077) un grosso meteorite si abbatte sulla Pianura padana, devastandola. Per evitare che disastri del genere possano ripetersi, viene approvato d’urgenza il progetto Guardia Spaziale, con il compito di catalogare e studiare l’orbita degli asteroidi nel sistema solare. Poi, nel 2130, i radar della Guardia Spaziale individuano un oggetto che sulle prime viene scambiato per un grosso asteroide, ma che è in realtà un oggetto volante sconosciuto. Il comandante Norton riceve l’ordine di esaminare da vicino, con la sua astronave Endeavour, il silenzioso colosso, e se possibile sbarcarvi. È la storia di questa memorabile visita che Arthur C. Clarke ci racconta col suo inimitabile piglio avventuroso e scientifico, ironico e drammatico, magistralmente realistico e carico di affascinanti aperture sull’Universo.
Qualche anno fa ci provò David Fincher a portare avanti questo progetto ma alla fine non se ne fece nulla. Ora però con Denis Villeneuve sembra davvero tutto molto ben avviato, anche se non si hanno ancora notizie sul possibile cast o altro.
Sicuramente un film di un certo spessore, un film che metterà di nuovo alla prova questo regista, un film molto profondo perché vede l’uomo doversi confrontare con una possibile forma di vita aliena, sicuramente più avanzata e di cui non si conoscono le intenzioni. Per certi versi ricorda molto Arrival, l’alone di mistero verso questa astronave, l’approccio dell’essere umano con qualcosa che non conosce.
Visivamente sarà senza dubbio qualcosa di spettacolare, un film che avrà dei toni molto pesanti, e lenti, introspezione dell’essere umano e del suo ruolo nell’universo. Un possibile film che si adatta perfettamente alle caratteristiche narrative di questo regista, e che ci farà vedere come se la cava in una situazione di scenografia, chiusa e stretta e ampissima, perché si passerà dalle astronavi allo spazio.
Dune è un film del 2021 diretto da Denis Villeneuve, questo colossal è la prima parte dell’adattamento cinematrogarfico del romanzo ononimo di Frank Herbert di cui abbiamo già visto un famoso film diretto da David Lynch nel 1984 e due miniserie negli anni duemila.
Dune di Villeneuve ricalca in modo a tratti meticoloso le vicende del libro e si ispira naturalmente al film di Lynch, ma ne amplifica la visione, l’aspetto estetico e anche i personaggi rendendoli più completi, con una storia più ordinata e lineare.
Il film è dichiaratamente solo una prima parte e infatti nel complesso è come vedere un primo tempo del film, con un primo atto che ci spiega e ci introduce in questo mondo futuristico, fatto di conquiste spaziali e pianeti, un mondo abbastanza complesso e davvero interessante. Il fulcro di tutto il film è il maestoso soggetto di Herbert, un film che è un icona del suo genere.
Dune a tutte le caratteristiche del colossal e il regista mette tutta la sua impronta, creando un pellicola di altissimo livello, un film che ci trasporta su Arrakis, questo pianeta caldo e desertico, sfruttato e saccheggiato da diversi popoli dell’universo per “la spezia” un elemento prezioso presente nella sabbia e nell’atmosfera che ha la capacità di allungare la vita e di donare dei poteri particolari. Preziosa anche per i viaggi interstellari, anzi fondamentale.
La capacità del film è quella di immergerti totalmente nell’ambiente, tutto è molto spettacolare, a tratti epico, inquadrature, suoni e immagini tutte curate alla perfezione, con una colonna sonora sontuosa curata da Hans Zimmer. La trama è l’apertura di un nuovo mondo, con qualche spiegazione di base per inserirci come pubblico nell’universo fantascientifico creato da Frank Herbert, in questo Villeneuve è un maestro e lo fa con la sua capacità di coinvolgerti fino in fondo.
La gestione corale degli attori è perfetta, nessuno è fuori posto, tutti danno il loro meglio, da Timotèe Chalamet nel ruolo del protagonista, alla giovane Zendaya che interpreta Chani una Fremen che gli indigeni del pianeta desertico.
Villeneuve mette tutto se stesso in questo film, la sua visione e tutte le sue caratteristiche, un film intenso, delle volte forse anche troppo, molto lento in certe situazioni, un film che forse si appesantisce un po’ troppo con scene davvero troppo pesanti per il pubblico del giorno d’oggi abituato a cose più immediate.
Spettacolari le battaglie, la cura dei personaggi che magari appaiono anche per poco nel film, i costumi e tutta l’ambientazione, un vero proprio colossal vecchio stile quasi, ma con tutta la nuova tecnologia e le capacità cinematografiche moderne.
Una trasposizione quasi perfetta del libro, un impresa che non era scontata e facile ma che il regista esegue alla perfezione, una prima parte introduttiva, che pone le basi per qualcosa davvero di epico e gigantesco. Dune è fantascienza pura, con però anche degli interessanti giochi di potere, personaggi profondi e anche qualche similitudine con il mondo reale.
Assolutamente un film da vedere, visivamente eccezionale, colonna sonora perfetta, ben recitato, con l’unico difetto che a volte è davvero troppo lento e inteso dove non serve.
The suicide squad – missione suicida è un film del 2021, diretto da James Gun, un film che cerca di cancellare il proprio passato e che prova a voltare pagina, prendendo con se uno dei registi e autori più iconici dell’universo Marvel, già regista de “guardiani della galassia”.
La DC affida alle capacità artistiche di Gun praticamente tutto, una carta bianca su cui esprimere le proprie idee e la propria arte, avendo solo dei vincoli dati dai personaggi e dalle loro caratteristiche. Questo film rappresenta in tutto e per tutto il suo regista, a tratti folle come i suoi personaggi, con un ritmo incalzante scandito dal ritmo delle canzoni, con un grande musical dov’è lazione ad essere protagonista. Ci sono molte similitudini ai suoi film precedenti, sia per l’ironia che passa da essere quasi infantile a molto tagliente e più di nicchia. Le musiche sono spettacolari e si legano perfettamente con ciò che vediamo. Il film è davvero folle a tratti con personaggi dell’universo DC che Gun è andato pescare con cura per la loro assurdità e particolarità, davvero divertenti solo per le loro movenze e caratteristiche con poteri davvero ridicoli e paradossali. Il film è una presa in giro di se stesso, tutto molto giocoso, assurdo e aggiungerei colorato.
L’elemento mare anni 70/80 è sempre ben presente scenograficamente e da davvero un bellissimo tocco artistico al film, tutto anche se assurdo e credibile, con uno squalo/uomo nella squadra, con un tizio che spara puah e che ogni tanto deve vomitarli, con una ragazza che comanda i topi e con una stella marina gigante come nemico finale. Tutto estremamente assurdo e pittoresco allo stesso tempo, con scene d’azione molto chiare, belle e nitide, non troppo complicate ma visivamente sempre molto vivaci con colori nitidi e accesi. Il film prova a far ridere e ci riesce, niente di clamoroso ma mette di buon umore, con addirittura una citazione a Maccio Capatonda nell’adattamento per il doppiaggio, inaspettata e spettacolare, molto divertente.
I personaggi non erano facili da gestire eppure li ho trovati tutti molto credibili, ben fatti e perfettamente collocati nel film, un po’ deluso da Harley Quinn, l’ho trovata un po’ più “debole” del primo, anche se Margot Robbie è sempre eccezionale in quel ruolo. Idris Elba nel ruolo di Bloodsport non mi ha sempre convinto, ma è l’unico elemento stabile del film ed è super necessario, il contorno è pura follia, con John Cena nei panni di Peacemaker che nonostante la pessima recitazione fa davvero un sacco ridere. Quello che i personaggi non possono dare, viene compensato da un ritmo incalzante, dalle canzoni suonate a palla e dalla gestione dell’azione da parte di Gun, con una violenza inaspettata ma tremendamente adatta al genere di film.
Mi piacciono i film che sono la vera espressione del loro regista e autore e devo dire che Gun ha trovato la sua dimensione in questo film, si è vero nel complesso non è nulla di speciale, ci sono film di questo genere migliori, non è ai livelli di “Guardiani della galassia”, ma per certi elementi è sicuramente un ottimo film, uno spettacolo a 360 gradi con un sacco di elementi e scelte artistiche su cui vale la pena soffermarsi. Uno dei difetti, forse, è la troppa confusione. La storia si capisce è abbastanza lineare e semplice, ci sono alcuni salti temporali ma sono chiariti perfettamente. Però ci sono molti personaggi, molte caratteristiche e molte cose che i personaggi fanno e devono fare, il tutto rende un po’ un gigantesco minestrone e non si capisce a tratti quale sia il vero obiettivo, cadendo un po’ nel disordine. Anche in questo film evidente come James Gun si soffermi spesso sul rapporto tra padri e figli, con il giusto tocco, il momento più intenso del film.
Un film che consiglio di vedere per la sua capacità di distinguersi dal primo capitolo e che proietta la DC a scelte differenti anche per il futuro, non ha tutti piace, ma se vi piace James Gun qui c’è dentro tutto di lui, divertente con un buon ritmo e molta follia, tutto questo e The Suicide squad.
QUATTRO CHIACCHIERE: Alla ricerca della felicità, Collateral Beauty, Sette Anime e anche Life in a year come produttore esecutivo, un attore che non ti aspetti in certi ruoli, ma che sa scegliere, storie bellissime guidate dai sentimenti
scena tratta dal film Sette Anime
Nel mondo del cinema funziona spesso così, è l’attore a portare sotto i riflettori un film ed è sempre grazie alla sua popolarità che progetti low budget ma con una splendida sceneggiatura, riescono ad essere prodotti e ad entrare nella storia del cinema. Anni fa è successo questo al nostro Gabriele Muccino, che voleva produrre un film tratto da una storia vera ma non ne aveva i mezzi, non trovava una casa di produzione disposta ad offrigli un buon budget, anche perchè era un regista sconosciuto. Quella sceneggiatura passò di mano a quello che già in quegli anni era amico di Muccino, un attore molto popolare e che già aveva lavorato come produttore esecutivo, un attore riconosciuto, popolare e che sicuramente sapeva attirare attenzione su di se, quell’attore era ovviamente Will Smith che leggendo la sceneggiature voleva a tutti i costi che fosse lo stesso Muccino a dirigere quel film.
“La ricerca della felicità” ebbe un successo clamoroso, grazie a Muccino, Will Smith si cuce a pennello questo film facendo una di quelle che tutt’ora è una delle sue migliori interpretazioni, un film che mette al centro di tutto i sentimenti, la vita e la voglia di felicità. Un ruolo inaspettato per Will Smith che era diventato famoso per film più da azione, dove lui era il classico belloccio, eterno ragazzino che non vuole staccarsi troppo dai suoi esordi come “Principe di bel air”. Will ci stupisce fin da subito in un film che anche grazie al regista, ci commuove, ci tiene attaccati allo schermo e ci fa riflettere un sacco, un film fatto di sentimenti veri, intensi e che prende molto seriamente le situazioni della vita. Una storia che in se nasconde un sacco d’amore, l’amore paterno che si crea tra padre e figlio, la volontà di farcela di arrivare, di fare soldi si, ma per un unico fine, regalare al proprio figlio un futuro migliore. Con questa produzione Smith conquista tutti, non si sa se è un caso o se davvero il principe di “Bel Air” sa trattare temi di un certo peso, intrinsechi di sentimenti che sono protagonisti nella nostra vita.
La collaborazione tra il regista Italiano e Will Smith non finisce li, perchè un paio di anni dopo esce un nuovo film in cui l’attore di Filadelfia e sia protagonista che produttore esecutivo, e anche qui abilmente si colloca perfettamente al suo interno, in un tentativo di prendere una determinata direzione nella sua carriera, sembra quasi che vedremo lui solo in ruoli simili, seri e intensi, Sette Anime è emotivamente un pugno allo stomaco, è una storia che ti fa letteralmente commuovere, che ti segna nel profondo e anche qui è innegabile che Will Smith ha scelto la giusta storia da raccontare e che con i sentimenti ci sa fare, sa come trattarli e con chi potrebbe raccontarli al meglio. Sette Anime è un altro passo avanti, un film dai significati profondi, che ci fa riflettere un sacco, ci sconvolge ma che allo stesso tempo di “consola” un po’ con il finale. La vita, il valore della vita viene messo al centro di tutto, lo percepisci e ne rimani coinvolto, tutta la potenza emotiva della generosità, della gentilezza, dell’altruismo vengono trasmesse tramite questa pellicola.
Eppure non riusciamo ancora a staccarci dal classico Will Smith, perchè comunque ne abbiamo bisogno, è un attore semplice ma che difficilmente fa film davvero da buttare via, a parte un paio, e quindi i sentimenti ci sono ma sono sempre ben nascosti, un po’ più difficili da captare e da percepire, va su film più di azione, più semplice dal lato emotivo, ma sicuramente più complessi da quello visivo, ci piace questa sua versione, ma poco a poco, ci rendiamo conto che in fondo abbiamo bisogno anche della sua capacità di trattare i sentimenti, le storie di spessore, così dopo qualche anno, arriva al cinema “Collateral Beauty” un altro viaggio meraviglioso nella vita, nella sua importanza e nei sentimenti, anche qui difficile non commuoversi. La sua capacità di selezionare il giusto prodotto ormai è evidente, Will sbaglia scelte in altri tipi di film, ma se ci sono di mezzo discorsi seri e sentimenti non sbaglia mai e anzi prende sempre progetti tra le mani che a mio parere sono davvero delle piccole perle. In Collateral beauty non è produttore esecutivo, ma è comunque l’attore protagonista, anche questo un film che mette al centro di tutto il valore della vita, la sua importanza, il bello di vivere i sentimenti appieno, con tutto se stesso, un elemento importante che poco a poco si sta perdendo. Sono film che vanno studiati e capiti che andrebbero fatti vedere nelle scuole per poi parlarci su per ore, perchè c’è una fuga dai sentimenti nei giovani che mi fa davvero preoccupare. Un allontanamento a tutto ciò che è davvero vita per affidarsi solo alla felicità materiale, perchè in fondo i soldi non ti tradiscono mai, le persone si. I film di Will Smith ci tengono con i piedi per terra, ci fanno vedere il dolore della vita ce lo sbattono in faccia anche con violenza, ma allo stesso tempo in tutti, si capisce il valore dell’amore, che va al di la della semplice vita personale, i sentimenti quasi viaggiano tra le dimensioni e rimangono vivi anche dopo la morte, rimangono sul nostro pianeta, più forti e robusti di qualsiasi cosa si possa comprare con i soldi.
Il valore della vita, il bello di amare, la capacità di soffrire, sono tutti elementi presenti in questi film che si riconferma nella sua ultima produzione fatta a pennello, come piace a lui, per il proprio figlio, con “life in a year” riconferma per l’ennesima volta la sua capacità di scegliere le storie giuste, anche qui sentimenti al centro di tutto, il valore della vita, dei momenti e degli attimi da vivere al cento per cento, buttarsi completamente nell’amore pur sapendo che prima o poi ci farà male. Siamo terrorizzati da ciò che potrebbe farci l’amore, ormai lo vediamo come solo dolore, amiamo si una persona, ma già pensiamo a quando finirà, non possiamo fare altro che pensare al peggio, alla fine e ne siamo terrorizzati, non ci sentiamo più pronti, così “vendiamo” il nostro copro vuoto al miglior offerente, pensiamo che i soldi ci salveranno, e fuggiamo, siamo sempre in fuga. Se qualcuno ci ama incondizionatamente andiamo nel panico più totale. Ci sentiamo in colpa se non ne corrisposto, non ci sentiamo mai all’altezza e fuggiamo da un possibile dolore, dalla verità, proprio come Will Smith in Collateral beauty, dove tra l’altro c’è una canzone meravigliosa dei One Republic, proprio in questo film il protagonista fugge dal dolore, crea una bolla per non ricordare ciò che è successo, una persona spenta, confusa che non sa più che fare della propria vita, ma che capisce che per guarire serve amore, tanto amore, serve una persona che capisca davvero il suo dolore. Anche lui fugge via, meglio il lavoro, meglio spegnersi in pianti nascosti affossando la testa nel cuscino, o bevendo a più non posso perchè la vita è bella così. Ma i sentimenti sono più forti e se li sai raccontare sono ancora più belli, i film si trasformano in piccole lezioni di vita che possono essere raccontate anche fuori dalla sala. Ma questo lo sapete già, è una delle cose meravigliose del cinema, e il suo potere, insegnarci qualcosa da condividere. Ecco appunto, la condivisione è un altro elemento fondamentale dei suoi film, la vedi ne “la ricerca della felicità” in “sette anime” e anche in “Life in a year”, condividere i momenti d’amore, viverli con tutti noi stessi è importante, fondamentale e non vanno mai rinnegati, non pentiamoci mai di momenti in cui c’era tutto il nostro amore anche se le cose dovessero andare poi male, quei momenti sono rimasti impressi nel tempo, nel nostro cuore, non si possono rinnegare, non si può sempre fuggire.
Will Smith sceglie bene, ci regala queste piccole perle e spero continuerà a farlo, sono sicuro che anche il film che sta per uscire, quello delle storia delle sorelle Williams, sono sicuro che ci regalerà dei momenti stupendi, con sentimenti veri e importanti. Già dal trailer lo si capisce e si intuisce l’importanza di alcune parole. Un altro viaggio nei sentimenti ben congeniato, ideale e utile, si perchè delle volte è molto utile avere dei film così, come è utile avere certe canzoni che magari ci fanno commuovere, che ci fanno capire il valore della vita, il valore di vivere sempre e comunque i sentimenti a mille, di amare davvero senza pensare sempre e solo alle conseguenze, non deve più esistere il concetto che delle volte si ama troppo, l’amore è vita. Come nei suoi film bisogna amare anche nel dolore. Bisogna trarre forza e ispirazione da ciò che ci mostra nei suoi film, in questo tipo di film, lui è sempre perfetto, alza il livello della sua recitazione e sembra che anche suo figlio abbia queste caratteristiche, forse è un dono di famiglia.
Ho voluto parlare di questo lato di Will Smith che rimane un po’ nascosto o che comunque non si da peso, ma questo serve per far capire le mille vie che ha il cinema, le sue possibilità sono davvero infinite, con combinazione, di parole, musica e fotografie stupende. Il cinema è un arma potente in qualsiasi modo la si voglia usare, perchè in fondo è la trasposizione visiva dei nostri sentimenti, che sia amore, paura, adrenalina o dolore. Bisogna sempre essere pronti a captare ogni sfumatura di ciò che si vede, e non vale solo per i film, ma anche per le persone, impegnatevi a notare i dettagli perchè sono un infinità di mondi meravigliosi. Il cinema ci fa capire l’importanza degli attimi della loro intensità, proprio come nei film di Will in 120 minuti o poco più, facciamo un viaggio tra mille emozioni, possiamo quasi ridere e piangere alla stesso tempo, e se si può fare con un film, pensate con la propria vita. Proprio come il titolo del suo film, andate alla ricerca delle felicità!!!
Il film che ha lanciato Fincher tra i grandi registi, un film che è invecchiato benissimo
Seven è un film del 1995 diretto da David Fincher, con protagonisti Brad Pitt e Morgan Freeman e con la presenza nel cast anche di Kevin Spacey e Gwyneth Paltrow. Un film che negli anni è diventato un cult del suo genere e che ha messo in luce il talento del regista, alla sua seconda opera.
Seven ha la capacità di catturarti con poche parole, basta una piccola sinossi del soggetto per creare curiosità e farci rimanere incollati al televisore, oltre a una buonissima regia, il film ha anche una trama molto bella e coinvolgente, c’è mistero, violenza e piccole lezioni di vita. Seven è un thriller potente, con un finale che è ormai inciso nella storia del cinema, un plot point perfettamente calibrato dallo sceneggiatore e autore Andrew Kevin Walker, reso ancor più bello dalla maestria di Fincher e da Brad Pitt che troppo spesso viene sottovalutato, ma che con questo regista da sempre il meglio di se.
Seven, il titolo, è riferito ai sette peccati capitali, infatti la storia segue le vicende di due detective sulle tracce di un serial killer che punisce le vittime per i loro peccati, lo fa in modo metodico, violento e molto esplicito, figurativo, vuole lanciare un messaggio ai suoi “cacciatori”. Il film offre un sacco di spunti interessanti, dal confronto tra giovane e vecchio, tra Freeman che interpreta un detective esperto e pacato sulla soglia della pensione, Det. William Somerset e David Mills interpretato Pitt che interpreta un detective giovane, impulsivo e con la testa piena di sogni per il suo futuro.
Una cosa bella del film è come la città in cui sia ambientato sia un luogo astratto, non collocabile, non sappiamo dove si trovano i protagonisti e non abbiamo alcun indizio per capire dove sono, questo paradossalmente da un tocco di realismo alla storia, la rende più curiosa e avvincente. Questa scelta rende il film anche un po’ diverso da ciò che lo circonda e togliendo un contesto preciso, rende la trama e la psicologia dei personaggi, il centro di tutto. I personaggi sono scritti alla perfezione, hanno caratteristiche ben definite e impari a conoscerle fin dall’inizio, il detective Mills poi è un foglio bianco, facile da capire ed entrare in sintonia con lui, perchè solitamente siamo tutti molto istintivi.
Il film è graffiante e tremendamente pessimista, piove sempre, la vita è difficile e sembra andare tutto male, c’è solo una risata a spezzare il torpore cupo di tutta la trama e della sua evoluzione, c’è preoccupazione angoscia e per il detective Mills non è facile avere il coraggio di mettere su famiglia in un mondo così. Più volte viene rimarcato un pessimismo di fondo, lo si vede nelle parole di Somerset, ma anche nella stessa Tracy Mills spaventata, confusa e intimorita dal mondo che la circonda.
Seven sa essere spiazzante nella sua evoluzione e soprattutto nel suo finale che non lascia alcuno spiraglio alla felicità e all’ottimismo, il serial killer è una mente tremendamente lucida, cinica ma allo stesso tempo con una propria morale, spaventosa, ma ricercata e stoica nel suo essere. Kevin Spacey in pochi minuti di film sa essere perfetto, ci trasmette le giuste sensazioni e ci lascia spiazzati quando intuiamo cosa sta per accadere. Un thriller giallo perfetto in tutto e per tutto, un cult degli anni 90′ ma che visto adesso sembra un film estremamente attuale.
Mills, interpretato da Pitt è una altalena di emozioni, l’unico personaggio ottimista, energico e che vuole trovare spazio nel mondo, un personaggio molto iconico che si muove e evolve e va in contrasto con gli altri protagonisti molto più lineari e coerenti con loro stessi. Mills trasmette energia, è la nostra sicurezza ma poi ci crolla addosso tutto nel finale, perchè anche lui viene coinvolto nella parte brutta del mondo, nel pessimismo e nella violenza. Dando ragione al serial killer, tutti sono parte dei sette peccati e poco a poco ce ne rendiamo conto. Il finale è forte, gestito alla perfezione ed è davvero la forza di questo film, viene ricordato soprattutto per questo ma è davvero pieno di spunti interessanti. Grazie a questo film, Fincher, si è lanciato in progetti come Zodiac o alla serie tv Mindhunter, diventando un maestro del genere.
La frase del detective Somerset riassume un po’ tutto il concetto del film “Il mondo è un bel posto, e vale la pena lottare per esso. Condivido la seconda parte“. In questa frase si rivede tutto il pessimismo del protagonista e dell’intera trama, una storia breve che si evolve in pochi giorni, in una settimana, ma che ci fa capire tutta la visione del mondo che c’è in Seven, un mondo brutto, violento e senza speranze, un mondo dove il male prevale sul bene, ma in cui bisogna lottare, non arrendersi e non perdere la speranza.
Netflix spende molto e punta sulla produzione dei sequel, Knives Out è un film di successo, cosa aspettarsi?
Netflix punta sui film, su format già affermati e spende una cifra davvero importante per un film preciso, di successo che potrebbe avere dei format facili da creare si tratta di Knives Out – cena con delitto.
Da circa un anno ho notato come Netflix si stia un po’ allontanando dal mondo delle serie tv, sembra un po’ più orientato verso i film e le grandi produzioni, con il contratto a Fincher ha tracciato la rotta e non se più fermata acquistando anche film dalle altre produzioni come “Il processo ai Chicago 7”, e con sempre più film candidati agli Oscar. Netflix punta a prodotti più immediati, di livello molto alto, e il trash e la bassa qualità che componevano i propri film, l’ha spostata sulle serie tv.
Fermare una serie come Mindhunter per i costi elevati e poi spendere addirittura 400 milioni per produrre i sequel di un film, ci fa capire con precisione quale strada abbia intrapreso Netflix che da circa un anno non è riuscita a produrre una serie davvero degna di nota.
Knives Out è l’acquisto giusto, è un format che ha riscosso molto successo, con una dinamica narrativa e visiva ben riconoscibile, hai già parte del cast disponibile, hai il tuo detective e come un Colombo o un Poirot, è ben definito nel suo carattere, come il suo assistente.
Anche la dinamica narrativa può essere simile, fatta di molti personaggi, un cast ampio e con caratteristiche diverse e particolari, con quella sottile ironia. Effettivamente ha già tutte le basi per avere due ottimi sequel, se Netflix permetterà allo staff dell’originale di lavorarci ancora su.
Penso che il progetto debba essere del tutto di Rian Johnson, un regista e sceneggiatore che ha gestito perfettamente il primo capitolo, scritto bene, recitato bene e con la giusta dose di intrigo tipica dei gialli Noire.
Non penso che questo film subirà dei grossi stravolgimenti, nello stile e nella forma, Netflix, almeno sui film lascia molta libertà hai propri registi, Mank e Irishman sono degli esempi della filosofia della piattaforma, quindi nel complesso penso sia un ottima notizia che ci saranno dei sequel di questo film.
Film che non diventerà un cult, e che quindi anche se stravolto ho rovinato non sarà una grande perdita, anzi penso che un sequel sarà solo qualcosa di carino in più da vedere. Curioso sarà anche scoprire poco a poco da chi sarà composto il cast dei due sequel e qualche aggiornamento sulla trama.
In se Knives Out è un format, ha una base solida, su cui è possibile creare diverse storie e film, penso che Netflix l’abbia anche scelto per questo, un film che molto probabilmente avrà un cast corale che attirerà l’attenzione del pubblico, attirando nuovi abbonati e mantenendo quelli già esistenti.
Penso che uno dei generi più interessanti del cinema sia la parodia, molto spesso utilizzata come piccola parte di un film, e in altri casi utilizzata per tutto il copione.
Detto grezzamente sono prese in giro del cinema stesso, delle sceneggiature o delle scene a volta un po’ forzate e mal recitate, le parodie sono una grottesca rappresentazione del cinema.
Tropic Thunder a differenza di altre famose parodie, è un po’ più complessa, meno grottesca e paradossale, forse anche meno assurda, ma con dei picchi di elevata ironia, e con dei personaggi scritti molto bene.
Qui Ben Stiller fa tutto, Regista, Produttore, sceneggiatore e attore, dichiarando che essenzialmente questo film è una parodia del film Apocalypse Now.
Il film ha davvero un sacco di pregi, si percepisce la genialità dell’idea, il livello degli attori e di alcune battute, la comicità di Ben Stiller è evidente per tutto il film, che rimane divertente e con un buon ritmo per tutta la trama.
Robert Downey jr. è semplicemente pazzesco in un ruolo per nulla facile, interpretando un attore Australiano, pluripremiato che deve interpretare un soldato di colore nella guerra del Vietnam.
Tropic Thunder prende un po’ in giro il mondo del cinema, la produzione dei film di questo tipo e la follia che a volte c’è dietro a questi film, se ne sono dette di mille colori sulla produzione di Apocalypse Now, tanto che questo film non è poi così assurdo.
A differenza di altre parodie, questo film mantiene un certo tono di realismo, certo e pur sempre parodia, ma mantiene un trama ben delineata con i personaggi perfettamente collocati al suo interno, tutti esaltati nei loro difetti.
La follia fa da filo conduttore a tutto, ogni personaggio ha i propri vizi, problemi con la vita privata e la propria carriera e questo film che stanno girando in Vietnam non fa altro che farle uscire fuori.
Una menzione speciale va certamente fatta a Tom Cruise, che è difficile descriverlo, ma è davvero il punto forte del film, anche se con due e tre apparizioni, non dico nulla, perchè vale la pena guardarlo.
Consiglio assolutamente questo film, perchè ha un sacco di elementi interessanti, Robert Downey Jr. è stato pure candidato agli Oscar per questo film, quindi per essere una parodia, è davvero di livello superiore.
Questo film non è solo un accavallamento di gambe!
Molti film sono legati, a volte soppressi da una propria scelta stilistica, da una trama diverse dal solito o come in questo caso da una semplice scena.
Basic Instinct è un film 1992 che ebbe davvero molto successo al botteghino, incuriosendo le persone per il suo lato erotico, genere che era sempre considerato per pochi o che comunque non veniva molto preso in considerazione, perchè legato solitamente a prodotti giudicati banali.
Tutti collegano questo film alla famosa scena in cui Sharon Stone accavalla le gambe, mostrando a tutti che non porta la biancheria intima, questa è forse la scena erotica più famosa e emblematica della storia del cinema.
Ma allo stesso tempo anche la scena che penalizza di più il giudizio finale sul film, rendendolo a parer di molti, solo una mercificazione del corpo femminile, e un film erotico senza nulla da raccontare.
Il film è diretto da Paul Verhoeven regista che spesso mischiava la violenza con un po’ di erotismo, ma anche famoso per film come Robocop e Atto di forza.
Il punto di forza di Basic Instinct è sicuramente la trama, un po’ thriller e un po’ giallo noir, con una sfumatura di erotismo a renderla più iconica e originale, non che elemento fondamentale della trama stessa.
La trama è in perfetto stile noir, è molto avvincente, e con anche qualche colpo di scena, c’è tensione, violenza e passione che si intersecano perfettamente rendendo la sceneggiatura molto apprezzabile in molti suoi passaggi.
Il film ha la capacità di catturarti come il protagonista Nick (Michael Douglas) viene catturato da Catherine (Sharon Stone), infatti la sceneggiatura fu coinvolta in una specie di asta per produrre questo film che ebbe davvero dei cast importanti, infatti furono presi in considerazione davvero un sacco di attori, ancor di più di attrici per il ruolo della protagonista.
Il film ha anche un ottima colonna sonora di Jerry Goldsmith, e la regia prende il giusto ritmo e stile fin da subito, anche gli attori sembrano sempre essere a loro agio, anche se poi si è scoperto che la famosa scena dell’interrogatorio è stata girata un po’ a tradimento, ingannando la giovane Sharon Stone.
Il film è provocante e lo è fin da subito, nelle scene, nelle parole e nella struttura dei personaggi, che risultano tutti condizionati dalle proprie perversioni e istinti primordiali.
Oltre ad un ottimo Michael Douglas il punto davvero forte di questo film è proprio lei, Sharon Stone, stupendamente magnetica e perfetta per questa personaggio. Lei sa essere estremamente sensuale e maliziosa, trasmette bellezza, mistero e anche un pizzico di follia, quasi di violenza.
Il personaggio di Catherine è davvero scritto benissimo nelle sue sfumature più profonde, una conquistatrice infallibile che ha il pieno controllo degli uomini ma anche delle donne, l’amante perfetta.
La trama è centralizzata su questo personaggio così misterioso e ambiguo che a tratti ci sentiamo anche noi coinvolti e che quasi giustifichiamo il folle amore che hanno gli altri personaggi verso di lei.
Sharon Stone in questo film sa conquistarti con la sua malizia e bellezza, ma allo stesso tempo incute quasi paura e disorientamento con il sospetto dietro ad ogni sua azione, una manipolatrice esperta che entra nelle menti anche dello spettatore.
L’erotismo è solo la ciliegina sulla torta, in un film che ha molto altro da dire a da mostrarci, con scene di violenza adeguate al genere giallo, e con quella curiosità specifica del genere, con qualche picco di thriller.
Tutto ben calcolato in una escalation di passione e violenza, con l’apice del desiderio nel finale, e con il sospetto sempre dentro di noi, con la sensazione che ci dice che anche noi come Nick, ci saremmo cascati.
Talmente condizionante quasi da farci dire, uccidi pure adesso, l’importante è averti amata.
Penso che un film debba avere la capacità di trasmettere qualcosa, questo lo fa in modo impeccabile, tanto da diventare iconico e forse uno dei film a sfondo erotico più famosi del mondo del cinema, con una delle scene più famose del genere e non solo.
Nel complesso ha anche una certa eleganza, eleganza difficilmente replicabile al giorno d’oggi, tanto che il sequel fallisce miseramente.
Basic Instinct è un passaggio importante del cinema, una novità che riesce a mixare perfettamente diversi generi, un film che sa colpire dove vuole e lo fa alla perfezione, un film che sinceramente è invecchiato benissimo e che riguardo volentieri quando mi capita facendo zapping con la TV.
Mi spiace sia sottovalutato da molti, mi spiace che sia ricordato solo per una scena e mi spiace che non sia data la giusta importanza all’interpretazione di Sharon Stone, che comunque per questo film nominata ai Golden Globe come miglior attrice.
Il mio consiglio è quello di vedere questo film come un bellissimo thriller, e non con la convinzione di vedere qualcosa di puramente e solo erotico, bisogna farlo senza pregiudizi e fatevi catturare anche voi negli “artigli” di Catherine Tramell (Sharon Stone).
L’importanza delle parole e dei monologhi nel mondo del cinema
Will Hunting – Genio Ribelle (Good Will Hunting) è un film del 1997, diretto da Gus Van Sant e scritto da Matt Damon insieme a Ben Affleck, due grandi amici già a quei tempi.
Il film si è aggiudicato due oscar, uno alla miglior sceneggiatura originale, e l’altro al miglior attore non protagonista, un incredibile Robin Williams.
La trama è abbastanza semplice, di quelle che non ti colpiscono fin da subito, ma che possono solo catturarti grazie al loro sviluppo narrativo, alla loro evoluzione e in questo caso ai suoi dialoghi.
Will è un genio della matematica, ma è giovane, ribelle e si fa trascinare dalle sue vecchie amicizie, e in qualche modo continua a fuggire dalla vita di adulto, un passaggio molto difficile per ogni ragazzo. Lavora come ragazzo delle pulizie al MIT, una delle università più prestigiose del mondo nel settore tecnico/tecnologico, patria di grande matematici. Will però non sa cosa farsene del suo talento e passa le sue giornate a bere ad annoiarsi e a divertirsi, però ha gravi problemi a rapportarsi con chi non è suo amico e molto spesso si ritrova a fare rissa fuori dai locali di Boston.
Il punto cruciale della storia è il rapporto di Will con lo psicologo Sean Maguire (Robin Williams) e la storia d’amore con una studentessa di Harvard. Il talento di Will viene notato casualmente al MIT, quando lui risolve un problema di matematica molto complesso. Il professore che aveva scritto il problema alla lavagna propone a Will di seguire le lezioni, ma allo stesso tempo dovrà andare da uno psicologo.
Tre Will e Sean nasce un bellissimo rapporto, di amicizia e confronto, e finalmente Will ha trovato una persona con cui parlare di se stesso dei suoi problemi, della sua vita, uno con cui fare discorsi profondi e che gli permette di scavare dentro se stesso.
Sean non è tanto uno psicologo, ma più un insegnante di quella materia, un padre e un amico, ha anche lui un carattere forte, ma che con il tempo ha abbassato la guardia, soprattutto da quando la moglie è venuta a mancare per cancro.
In realtà i due protagonisti alleggiano in una situazione simile, in momenti diversi della propria vita, Will non sa cosa farsene del suo talento, mentre Sean non sa più bene cosa fare della sua vita dopo che la moglie e morta.
Questa ansia, questo vuoto del non saper come affrontare il futuro è descritto perfettamente nel film, con dei dialoghi perfetti in ogni loro piccola parte, sono piccole perle che danno valore all’intero film.
In questo film non c’è una trama complessa, non ci sono grossi colpi di scena, ma lunghi e bellissimi dialoghi, confronti e parole, il centro di tutto è il confronto tra le persone, il dialogo come parte fondamentale della vita.
Ci sono alcuni monologhi che hanno fatto la storia di questo film, e non solo, hanno fatto la storia del cinema, Robin Williams ci coccola con le sue parole e ci sembra dare dei grandi insegnamenti anche noi che siamo li a guardare questo film.
Usa parole importanti, pesanti che ci fanno capire tutti gli alti e bassi della vita, la bellezza degli istanti e delle piccole cose, perchè i monologhi quando sono scritti così bene hanno questa forza.
Un buon monologo può darci molto, più di qualsiasi scena di azione o che visivamente ci colpisce, con il monologo impariamo a conoscere il personaggio, le sue caratteristiche e le parole ci entrano nella mente e alle volte ci commuovono, come quando si ascolta una canzone che sembra parlare di noi stessi.
Questo film si sviluppa su diversi livelli di rapporto, quello dell’amicizia semplice, infantile, in cui basta bere e sparare qualche cazzata, in cui tutti ci sentiamo più al sicuro e liberi di fare ciò che vogliamo.
Poi c’è il rapporto con la vita reale, il confronto con le difficoltà, la consapevolezza di cosa potremmo diventare, il lavoro e lo studio per raggiungere i nostri obiettivi, un rapporto che a volte non ci piace proprio e ci spaventa, facendoci tornare bambini e ci fa rinchiudere nelle sicurezze.
C’è il rapporto con l’amore e i legami quelli veri, quelli che ci fanno crescere e ci cambiano la vita, lo possiamo osservare nei rapporti che Will ha con Sean e con la sua ragazza, sono i rapporti che lo fanno crescere davvero e che lo portano in una vita più da adulto con più responsabilità. Un rapporto che gli permette di confessarsi, di parlare di cose più complesse e profonde, rapporti rari e quasi introvabili, delle volte anche quando hai la felicità davanti agli occhi fai di tutto per evitarla perchè hai paura che finirà e non ti vuoi “scottare”. Ti inventi e ti convinci di essere un ribelle, uno a cui non importa nulla di nessuno, ti convinci di essere una persona distaccata e solitaria, in modo che saranno gli altri a soffrire per te, ma tu mai per loro. Proprio come Will ci autoconvinciamo che non ci serve niente di speciale per essere felici, perchè siamo noi quelli speciali, quelli che hanno un idea del mondo che gli altri non possono comprendere, che in fondo Sean ci fa capire che quella è presunzione, è essere codardi, è una fuga verso le nostre convinzioni e non verso ciò che davvero ci renderebbe felici.
Film basati su i dialoghi ormai sono una vera e propria rarità, non si possono più spogliare come le vecchie poesie, andare a fondo, trovarne una propria verità o un proprio insegnamento, ed è davvero un peccato.
Il cinema è vero è fatto prima di tutto di immagini, tanto che è nato muto, ma quanto sono belle le parole? quanto valore prende un film quando riesce pure ad insegnarci qualcosa tramite le proprie dinamiche narrative e ai propri dialoghi.
Rimane comunque tremendamente difficile scrivere dei dialoghi convincenti nella sceneggiatura, e dove ci si perde di più dove non si è mai convinti, come un compositore davanti ad un piano forte, si prova a suonare qualcosa di cui si è appena scritto e si finisce per creare un mucchio di fogli stracciati.
Lo sceneggiatore a volte si trova a scrivere un ottimo dialogo, un monologo perfetto ma non sa come collocarlo o semplicemente non ha strutturato abbastanza bene prima il personaggio che le sue parole stonerebbero invece di essere perfette.
Il monologo più bello di Will Hunting, arriva quando Sean e seduto con Will su una panchina in un parco di Boston e gli un discorso sull’amore.
“Se ti chiedessi sull’arte probabilmente mi citeresti tutti i libri di arte mai scritti… Michelangelo. Sai tante cose su di lui: le sue opere, le aspirazioni politiche, lui e il papa, le sue tendenze sessuali, tutto quanto vero? Ma scommetto che non sai dirmi che odore c’è nella Cappella Sistina. Non sei mai stato lì con la testa rivolta verso quel bellissimo soffitto… mai visto. Se ti chiedessi sulle donne, probabilmente mi faresti un compendio sulle tue preferenze, potrai perfino aver scopato qualche volta… ma non sai dirmi che cosa si prova a risvegliarsi accanto a una donna e sentirsi veramente felici. Sei uno tosto. E se ti chiedessi sulla guerra probabilmente mi getteresti Shakespeare in faccia eh? “Ancora una volta sulla breccia cari amici!”… ma non ne hai mai sfiorata una. Non hai mai tenuto in grembo la testa del tuo migliore amico vedendolo esalare l’ultimo respiro mentre con lo sguardo chiede aiuto. Se ti chiedessi sull’amore probabilmente mi diresti un sonetto.Ma guardando una donna non sei mai stato del tutto vulnerabile… non ne conosci una che ti risollevi con gli occhi, sentendo che Dio ha mandato un angelo sulla terra solo per te, per salvarti dagli abissi dell’inferno. Non sai cosa si prova ad essere il suo angelo, avere tanto amore per lei, vicino a lei per sempre, in ogni circostanza, incluso il cancro. Non sai cosa si prova a dormire su una sedia d’ospedale per due mesi tenendole la mano, perché i dottori vedano nei tuoi occhi che il termine “orario delle visite” non si applica a te. Non sai cos’è la vera perdita, perché questa si verifica solo quando ami una cosa più di quanto ami te stesso: dubito che tu abbia mai osato amare qualcuno a tal punto. Io ti guardo, e non vedo un uomo intelligente, sicuro di sé, vedo un bulletto che si caga sotto dalla paura. Ma, sei un genio Will, chi lo nega questo. Nessuno può comprendere ciò che hai nel profondo. Ma tu hai la pretesa di sapere tutto di me perché hai visto un mio dipinto e hai fatto a pezzi la mia vita del cazzo. Sei orfano giusto? Credi che io riesca a inquadrare quanto sia stata difficile la tua vita, cosa provi, chi sei, perché ho letto Oliver Twist? Basta questo ad incasellarti? Personalmente, me ne strafrego di tutto questo, perché sai una cosa, non c’è niente che possa imparare da te che non legga in qualche libro del cazzo. A meno che tu non voglia parlare di te. Di chi sei. Allora la cosa mi affascina. Ci sto. Ma tu non vuoi farlo, vero campione? Sei terrorizzato da quello che diresti. A te la mossa, capo.”
Questo monologo è davvero bellissimo, tra l’altro adattato perfettamente dai nostri doppiatori italiani che riescono sempre a trovare le parole giuste per regalarci queste perle di sceneggiatura.
Il monologo è perfetto anche perchè qualche scena prima abbiamo già avuto prova del carattere del personaggio interpretato da Robin Williams, la sceneggiatura ci ha già dato prova del suo dolore e del rapporto che molto probabilmente aveva con la moglie, abbiamo capito che era un uomo che era stato tradito dalla vita, ma che non si era pentito di affidarsi all’amore.
Robin Williams è un valore aggiunto perchè riesce a dare la giusta espressione a queste parole, la giusta cadenza e frequenza per entrarti nel cuore, ci smuovono e ci fanno riflettere.
Questo monologo è collocato bene sia a livello temporale nella storia che a livello fisico nella tranquillità di un parco su una panchina, un luogo di pace in cui è più facile essere profondi e arriva nel punto in cui Sean deve per forza e in qualche modo smuovere quella stupida corazza che si è costruito Will.
In questo modo le parole acquistano più valore, più significato e ci sembrano ancora più perfette, c’è un anticipo, un prologo, poi c’è luogo giusto e il momento adatto all’interno della storia per essere pronunciate.
Segnano una svolta all’interno della storia e per i personaggi, tutti e due capiscono che parlare potrebbe fare bene a entrambi, capiscono che in fondo entrambi hanno bisogno di sfogarsi e ci da indizi sui protagonisti.
Capiamo la profondità dello psicologo Sean e vediamo e impariamo che Will non è solo un ribelle chiuso in se stesso, anzi è un ragazzo che sa anche fermarsi e ascoltare e perchè no apprendere qualcosa.
Questo è un paio di altri dialoghi sono talmente importanti che delineano non solo il carattere di Will ma ne tracciano pesantemente anche il futuro, tanto che le sue scelte di vita saranno guidate dalle parole di Sean. Chissà se qualcuno nella vita oltre a Will è stato anche lui condizionato da queste parole, chissà se ha imparato qualcosa.
Il resto dei dialoghi sono evoluzione di un rapporto che si crea tra Will e Sean, come se fossero quasi padre e figlio, un uomo esperto che insegna al giovane quando bello può essere l’amore.
Ci sono dei dialoghi stupendi in cui Sean parla di sua moglie e dei momenti belli e divertenti con lei, uno addirittura improvvisato da Robin Williams che è allo stesso tempo divertente quanto malinconico, recitazione meravigliosa.
Quando ci sono dialoghi del genere anche per l’attore è più facile entrare nel personaggio, recitare ed esprimere il meglio delle sue possibilità, una buona sceneggiatura aiuta proprio tutti, perchè tutto si incastra perfettamente, tutto sembra perfetto.
Le giuste parole messe al posto giusto rendono i film delle opere d’arte migliori di una poesia, perchè sono pezzi di vita, e fanno parte di tutti noi, in molti di essi ci possiamo riconoscere tranquillamente.
Questo film non è altro che un insegnamento a come vanno scritti i film incentrato sul confronto, sulla crescita personale e sulle parole, una lunga e bellissima poesia visiva.