Will Hunting – Genio Ribelle, in inglese Good Will Hunting è un film di cui ho già parlato in un piccolo elogio, alla bellezza delle parole nel cinema e dell’importanza dei dialoghi in esso. Una perla di insegnamento di sceneggiatura più di un libro di McKee o Syd Field. (Articolo qui)
Will Hunting è un film del 1997 diretto da Gus Van Sant e scritto da due attori ormai famosi come Matt Damon e Ben Affleck, con una sceneggiatura che gli è valsa un Oscar agli esordi della loro carriera.
Il film parla di Will un ragazzo prodigio, con una memoria e una capacità matematica assurde e impareggiabili, un dono che non sta sfruttando, perché arriva dalla parte povera di Boston e perché all’università è solo uno spazzino alla MIT. Viene scoperto il suo talento, ma un famoso matematico non riesce a controllare il carattere ribelle del giovane Will e che quindi richiede l’aiuto di un suo vecchio amico e insegnate di psicologia.
Il film è sorretto da splendidi dialoghi e il confronto tra il genio ribelle di Will, interpretato da Matt Damon e un ormai triste e ferito professore di psicologia con grande talento per i rapporti umani, interpretato da uno strepitosoRobin Williams. Il resto funziona come uno splendido contorno dove ci vengono mostrati diversi aspetti della vita di Will, tra cui un amore intenso appena sbocciato ma che rischia già di finire. A poco a poco il film prende una forma attuale, passano gli anni ma i dialoghi sono applicabili al giorno d’oggi, forse ancora più di allora. La paura del futuro, della perdita, e il confronto costante con il proprio passato. Un amore visto in modo poetico, essenziale e davvero unico. Questo film ha davvero la capacità di conquistarti con le parole e ci mostra un piccolo spezzone di vita, di scelte e di bivi in cui spesso ci dobbiamo confrontare.
Un film che è come una nuvola soffice in cui ci possiamo rilassare, studiare a fondo e capire qualcosa in più sulle infinite sfumature della nostra vita. Non è solo il confronto tra i due personaggi o il talento matematico sprecato, ma è una vera e propria figurina del nostro mondo, di quando si è giovani sognatori impauriti, quando il nemico numero uno siamo noi stessi, le nostre scelte e il voler essere ribelli, ma non con il mondo, quando con la nostra vera essenza. Will fugge dal proprio talento, ma allo stesso tempo lo rincorre, fugge dall’amore, ma allo stesso tempo non desidera altro. Una stretta mortale in cui ci incanala la società che ci circonda, ma noi dobbiamo assaporare la vita in ogni suo attimo, “sentire l’odore della capella Sistina e non solo sapere chi è Michelangelo“. Il concetto è vivere, dare il meglio di sé stessi, offrire non al mondo ma proprio a noi stessi la nostra parte migliore.
Una piccola perla di Cinema, che merita di essere vista e rivista e anche ascoltata. Un Robin Williams che non bisogna mai smettere di elogiare, per le sue interpretazioni pure, vere e bellissime.
CONTROCORRENTE: In un mondo senza idee, fatto di sequel e reboot e IA che prima o poi sostituiranno i poveri sceneggiatori, idea bizzarra, ma efficace, per rendere le trame interessanti.
Il mondo sta cambiando, le storie perdono di fascino e di potere e i soggetti interessanti per il cinema sono sempre meno. Anche i miglior libri fanno fatica ad essere rappresentati con dedizione, e l’attacco dei fan è sempre dietro l’angolo. C’è bisogno di soggetti originali e nuovi, di storie intriganti in cui basta una prima e veloce lettura.
Solitamente una storia, se non è tratta dalla realtà parte del viaggio dell’eroe dei classici dell’antica Grecia, storie che raccontano, e non che partono da un interprete specifico e poi vengono raccontate. Storie che si creano per poi scegliere il loro protagonista reale, le loro canzoni ecc.
Questo meccanismo inverso viene già utilizzato moltissimo dagli scrittori di tutto il mondo ma con i mezzi produttivi che si hanno oggi diventa tutto più semplice, con gli attori stessi che sono produttori esecutivi.
Il punto di partenza diventa quindi l’attore o l’attrice in carne d’ossa. La sua storia i suoi ruoli e il suo Background, l’intuizione che può dare di più e l’assegnazione di una storia che gli possa calzare a pennello. Scavare nel suo passato e studiare nel dettaglio tutti i suoi ruoli in modo da creare una bellissima storia adatta a lui o ad un altro con le stesse caratteristiche.
In questo articolo cercherò di fare un esempio partendo da un attore dal passato glorioso, un attore che ha fatto cose meraviglioso ma che negli anni si è un po’ perso e di cui viviamo il suo passato con grande nostalgia. Voglio come esempio, sfruttare questi elementi per scriverci sopra una storia che calza a pennello con la realtà dei suoi fatti, con le sue caratteristiche del passato e con le caratteristiche attuali. Un mix ideale di tutti gli elementi che ho appena elencato.
Jim Carrey, sarà lui il protagonista della nostra storia, un attore unico, dai mille volti ed espressioni che ha portato moltissima felicità nelle nostre case grazie alle sue interpretazioni, chi è nato negli anni 80/90 non può non amare questo attore. Un attore versatile che è passato da film come The Mask, di cui ne è l’essenza stessa, a The Truman Show o Eternal Sunshine of the Spotless mind. Era una garanzia, se c’era lui il film era sicuramente piacevole e portava con sé tutte le sue mille espressioni, imitazioni e leggerezza. Un attore che per qualche motivo mi ricorda molto un’icona del cinema come Robin Williams, forse perché entrambi felici sullo schermo e depressi nella propria vita.
Ultimamente Jim non è più protagonista, ha fatto qualche film ma nulla di particolare, in Sonic di è vista un po’ della sua splendida e amata follia ma nulla di particolare, serve qualcosa in cui lui possa essere sé stesso ed esprimere tutto il suo talento. Sfruttare tutti questi elementi per creare un piccolo soggetto che possa conquistare il pubblico.
ESEMPIO – SOGGETTO – BREVE SINOSSI
Jim è un ex attore di successo di Hollywood, autore e attore di bellissime commedie del passato, famoso per la sua capacità interpretativa ed espressiva. Negli anni ha lasciato il mondo “malato” di Hollywood per tornare nella sua scuola, un piccolo liceo di una cittadina sperduta in mezzo agli stati uniti. Li è diventato professore e per uscire dalla depressione decide di insegnare ai ragazzini l’arte della recitazione.
Jim diventa il loro insegnante e mentore e a poco a poco, lui e la sua classe creeranno un’opera teatrale sul riscatto personale, la bellezza della vita e l’amore incondizionato verso la semplicità. Negli occhi di Jim rispunterà una luce che non si vedeva da anni, trasmettendo ai suoi allievi tutto il suo talento.
Una storia fatta di ricordi, di voglia di riscatto e la bellezza di trasmettere qualcosa alle nuove generazioni, Jim diventa come un padre per quei ragazzi che coltivano grazie a lui la voglia e la passione per la recitazione, quella più pura e semplice. Una storia che parla di cinema, recitazione, amore e talento. Con un Jim Carrey assoluto protagonista, con sfumature di sé stesso e della sua vera storia personale.
Molti penseranno che questo piccolissimo soggetto sia stata pensato per ore, invece è nato così nel corso di questo articolo, immediato, diretto, breve ma che racchiude diverse caratteristiche dell’attore su cui ho deciso di cucire sopra questa storia. Un piccolo esempio di questa semplice tecnica, che può essere utile per scrivere delle belle e interessanti storie. Mi piacerebbe ci provaste anche voi, anche voi che leggete questo articolo.
Sceglietevi un attore che conoscete bene, di cui conoscete tutte le sue caratteristiche o di cui vi piacerebbe vederlo in un determinato ruolo o storia e scriveteci sopra qualcosa, vedrete che sarà molto più semplice che partire dal nulla. Sbizzarritevi, non opprimete la vostra creatività, siate liberi di scrivere ciò che volete, senza vincoli e pressioni e uscirà sicuramente fuori, un soggetto davvero interessante.
Un’altra tecnica bellissima e simile a questa, è partire da una canzone, ascoltatela per bene, leggetene il testo, soffermatevi sulle parole e da lì iniziate a scrivere la vostra storia. Mixate le due tecniche, musica più attore e vedete cose vi viene fuori. Non fermatevi al primo fallimento, creare mondi, avventure e amori, siete liberi di creare tutto ciò che volete, questo è il potere della scrittura.
Questo ultimo passo che ho scritto, lo posso riutilizzare nel film, come monologo di Jim Carrey che parla con i propri studenti. Imparate a sfruttare ciò che vi circonda perché il cinema è fatto di tanti piccoli momenti di realtà.
RECENSIONI COMBINATE: I tre film di Jumanji dal primo storico con Robin Williams ai nuovi film con “The Rock”, in attesa del terzo film della trilogia.
Nel 1995 arriva nel cinema il film “Jumanji”, una novità assoluta, qualcosa di assolutamente nuovo e con non assomigliava a nulla. Diretto da Joe Johnston e interpretato da un grandissimo Robin Williams. Il film è tratto da un albo illustrato per bambini scritto da Chris Van Allsburg nel 1981.
Il primo film di “Jumanji” è davvero un bel film, è scritto bene, è recitato molto bene dai suoi protagonisti e può essere definito a mio parere, come una specie di horror per bambini. Infatti questo film riusciva a regalarti un misto di sensazioni tra risate e paura. Pensare alla vita di Alan Parrish chiuso nel gioco per 26 anni crea comunque un senso di angoscia. Nel complesso il film giocava molto sul giusto equilibrio tra ironia e spavento.
Il suono dei tamburi diventa subito iconico, e ci trasmette anch’esso una sensazione di paura perché ricorda molto il battito del cuore accelerato. Bello anche visivamente con scene davvero ben congeniate, anche la scatola del gioco in sé è molto affascinante con queste pedine che si muovono da sole. Il bello di questo film è che porta il gioco di Jumanji “fuori dalla scatola” e lo porta nella vita reale, quindi possiamo solo immaginare come possa essere lì dentro in base a qualche accenno folle nei racconti di Parrish. Un fascino difficile da replicare, con un intenso rapporto tra padre e figlio, infatti il cacciatore è interpretato volutamente dall’attore che interpreta il padre di Alan.
Giustamente in quegli anni non si usava molto fare i sequel, anche se questo film ci ha sempre lasciato la tentazione di sapere com’era il mondo all’interno del gioco di Jumanji, una parte di noi voleva essere risucchiata dentro come il giovane Alan Parrish.
Jumanji era un film di forte contrasti, un film dai toni un po’ cupi e con scene divertenti e più leggere solo in alcuni casi, un film con una sceneggiatura davvero ben scritta e che convinceva fin da subito. Uno di quei film con i finali aperti che non saprai mai se vedrai un seguito oppure no. Chissà come sarebbe stato un altro film con Robin Williams? Magari non avrebbe la forza del mistero e della novità che ha avuto il primo film.
Nel 2017 esce un nuovo Jumanji, che solo in piccola parte è il sequel del primo film del 1995. Diretto da Jake Kasdan ha come protagonisti Dwayne Johnson, Jack Black, Kevin Hart e Karen Gillan. Fin da subito si capisce un cambiamento dei toni, questo film è tutto comicità e ironia. Lo stesso cast è adatto alle commedie e il titolo Jumanji in sé, serve solo per attirare pubblico e c’entra poco o nulla con il primo film. Questo apre un nuovo ciclo, una nuova tipologia di film di Jumanji, forse più moderna e più adatta al pubblico dei giorni nostri.
Questo Jumanji – Welcome to the jungle è molto diverso dal primo, ma nel complesso è una bellissima commedia, fa molto ridere ed è ben scritto e recitato. Punta tutto sulla leggerezza, su battute semplice e sulla comicità dei propri personaggi. Entra letteralmente nel gioco, e un gioco che si evolve per attirare l’attenzione è davvero una scelta geniale. Bellissima l’idea degli avatar, opposti alle caratteristiche dei ragazzini protagonisti nella vita reale.
Un film che nel complesso si presenta come una commedia commerciale, fatta per piacere al pubblico senza troppe pretese e cavalcando l’onda del successo del primo. Tutti ci immaginavamo un mondo di Jumanji completamente diverso, sicuramente più oscuro e crudo e non ci viene detto nulla sul passato di questo mondo o sulla vita di Alan Parrish li, se non una scritta su un pezzo di legno e una citazione.
Questo film perde il fascino della paura e del mistero, ma aggiunge un sacco di azione ed effetti speciali, evidenziando le differenze di concezione di film tra gli anni novanta e i giorni nostri. Il protagonista folle ma dal fisico normale come Robin Williams, viene sostituito dall’uomo muscoloso ma rassicurante come “The Rock”. Una scelta che fa storcere il naso ai molti fan del primo film, ma che nel complesso funziona ed evita di incespicare in cose troppo complesse e serie.
Jumanji – the next level è il secondo capitolo della nuova trilogia e terzo film su Jumanji. Film del 2019, ritrova lo stesso regista Jake Kasdan e lo stesso cast del film precedente. Si aggiungono al cast due attori importanti come Danny DeVito e Danny Glover.
Anche questo film punta tutto sulla comicità, usando le caratteristiche del film precedente, ma aggiungendo qualche piccola novità che aiuta il film ad essere forse ancora più divertente. Sempre molto leggero, questo capitolo aggiunge sempre più caratteristiche al mondo di Jumanji, rendendolo sempre di più un videogioco, forse anche troppo. La trama non è banale, ma risulta forse un po’ noiosa e a tratti troppo infantile, a livello visivo ancora più bello del precedente.
Gli attori recitano bene, c’è un’ottima chimica tra di loro, e sono davvero bravi a cambiare in base alle persone che hanno nel loro avatar. Tutti molto divertenti in un film che punta tutto sulla comicità e che è strutturato per fare ridere. Le scelte sulla sceneggiatura vengono fatte proprio in base alle situazioni più divertenti possibili.
In questo film viene rimarcata l’importanza dell’amicizia, del condividere le cose e le esperienze. Le cose fatte in compagnia sono sempre le migliori ed è giusto fare pace dopo un litigio. Si può sintetizzare questo film con la classica frase, l’Unione fa la forza.
Nel complesso la saga sta perdendo un po’ tutto il suo potere, la dinamica del videogioco è sì divertente ma non convince del tutto, e si percepisce forte la nostalgia del primo capitolo con quel tocco di serietà e complessità che attirano. Il trucco, le scene reali e la poca o grezza GCI del primo film lo rendono più unico e sicuramente più affascinante.
Questi due nuovi capitoli sono solo dei grossi film commerciali fatti per piacere e divertire, lo fanno molto bene ma poco c’entrano con la visione iniziale di questo mondo. Dividendoli dal primo sono film che però si reggono da soli, hanno una loro dimensione ben precisa e hanno gestito perfettamente i primi due film.
Con il terzo capitolo della trilogia, proprio come nel film 1995 si torna alle origini e sembrerebbe che il gioco uscirà di nuovo nel “mondo reale” con tutti i suoi animali e personaggi strampalati. Questo sarà molto curioso e sicuramente con i protagonisti che finalmente incontreranno di persona i propri avatar. Arrivare ad un quarto film e creare curiosità è un’ottima cosa, vuol dire che è stato fatto un buon lavoro, indipendentemente dalla somiglianza con il primo film originale.
L’importanza delle parole e dei monologhi nel mondo del cinema
Will Hunting – Genio Ribelle (Good Will Hunting) è un film del 1997, diretto da Gus Van Sant e scritto da Matt Damon insieme a Ben Affleck, due grandi amici già a quei tempi.
Il film si è aggiudicato due oscar, uno alla miglior sceneggiatura originale, e l’altro al miglior attore non protagonista, un incredibile Robin Williams.
La trama è abbastanza semplice, di quelle che non ti colpiscono fin da subito, ma che possono solo catturarti grazie al loro sviluppo narrativo, alla loro evoluzione e in questo caso ai suoi dialoghi.
Will è un genio della matematica, ma è giovane, ribelle e si fa trascinare dalle sue vecchie amicizie, e in qualche modo continua a fuggire dalla vita di adulto, un passaggio molto difficile per ogni ragazzo. Lavora come ragazzo delle pulizie al MIT, una delle università più prestigiose del mondo nel settore tecnico/tecnologico, patria di grande matematici. Will però non sa cosa farsene del suo talento e passa le sue giornate a bere ad annoiarsi e a divertirsi, però ha gravi problemi a rapportarsi con chi non è suo amico e molto spesso si ritrova a fare rissa fuori dai locali di Boston.
Il punto cruciale della storia è il rapporto di Will con lo psicologo Sean Maguire (Robin Williams) e la storia d’amore con una studentessa di Harvard. Il talento di Will viene notato casualmente al MIT, quando lui risolve un problema di matematica molto complesso. Il professore che aveva scritto il problema alla lavagna propone a Will di seguire le lezioni, ma allo stesso tempo dovrà andare da uno psicologo.
Tre Will e Sean nasce un bellissimo rapporto, di amicizia e confronto, e finalmente Will ha trovato una persona con cui parlare di se stesso dei suoi problemi, della sua vita, uno con cui fare discorsi profondi e che gli permette di scavare dentro se stesso.
Sean non è tanto uno psicologo, ma più un insegnante di quella materia, un padre e un amico, ha anche lui un carattere forte, ma che con il tempo ha abbassato la guardia, soprattutto da quando la moglie è venuta a mancare per cancro.
In realtà i due protagonisti alleggiano in una situazione simile, in momenti diversi della propria vita, Will non sa cosa farsene del suo talento, mentre Sean non sa più bene cosa fare della sua vita dopo che la moglie e morta.
Questa ansia, questo vuoto del non saper come affrontare il futuro è descritto perfettamente nel film, con dei dialoghi perfetti in ogni loro piccola parte, sono piccole perle che danno valore all’intero film.
In questo film non c’è una trama complessa, non ci sono grossi colpi di scena, ma lunghi e bellissimi dialoghi, confronti e parole, il centro di tutto è il confronto tra le persone, il dialogo come parte fondamentale della vita.
Ci sono alcuni monologhi che hanno fatto la storia di questo film, e non solo, hanno fatto la storia del cinema, Robin Williams ci coccola con le sue parole e ci sembra dare dei grandi insegnamenti anche noi che siamo li a guardare questo film.
Usa parole importanti, pesanti che ci fanno capire tutti gli alti e bassi della vita, la bellezza degli istanti e delle piccole cose, perchè i monologhi quando sono scritti così bene hanno questa forza.
Un buon monologo può darci molto, più di qualsiasi scena di azione o che visivamente ci colpisce, con il monologo impariamo a conoscere il personaggio, le sue caratteristiche e le parole ci entrano nella mente e alle volte ci commuovono, come quando si ascolta una canzone che sembra parlare di noi stessi.
Questo film si sviluppa su diversi livelli di rapporto, quello dell’amicizia semplice, infantile, in cui basta bere e sparare qualche cazzata, in cui tutti ci sentiamo più al sicuro e liberi di fare ciò che vogliamo.
Poi c’è il rapporto con la vita reale, il confronto con le difficoltà, la consapevolezza di cosa potremmo diventare, il lavoro e lo studio per raggiungere i nostri obiettivi, un rapporto che a volte non ci piace proprio e ci spaventa, facendoci tornare bambini e ci fa rinchiudere nelle sicurezze.
C’è il rapporto con l’amore e i legami quelli veri, quelli che ci fanno crescere e ci cambiano la vita, lo possiamo osservare nei rapporti che Will ha con Sean e con la sua ragazza, sono i rapporti che lo fanno crescere davvero e che lo portano in una vita più da adulto con più responsabilità. Un rapporto che gli permette di confessarsi, di parlare di cose più complesse e profonde, rapporti rari e quasi introvabili, delle volte anche quando hai la felicità davanti agli occhi fai di tutto per evitarla perchè hai paura che finirà e non ti vuoi “scottare”. Ti inventi e ti convinci di essere un ribelle, uno a cui non importa nulla di nessuno, ti convinci di essere una persona distaccata e solitaria, in modo che saranno gli altri a soffrire per te, ma tu mai per loro. Proprio come Will ci autoconvinciamo che non ci serve niente di speciale per essere felici, perchè siamo noi quelli speciali, quelli che hanno un idea del mondo che gli altri non possono comprendere, che in fondo Sean ci fa capire che quella è presunzione, è essere codardi, è una fuga verso le nostre convinzioni e non verso ciò che davvero ci renderebbe felici.
Film basati su i dialoghi ormai sono una vera e propria rarità, non si possono più spogliare come le vecchie poesie, andare a fondo, trovarne una propria verità o un proprio insegnamento, ed è davvero un peccato.
Il cinema è vero è fatto prima di tutto di immagini, tanto che è nato muto, ma quanto sono belle le parole? quanto valore prende un film quando riesce pure ad insegnarci qualcosa tramite le proprie dinamiche narrative e ai propri dialoghi.
Rimane comunque tremendamente difficile scrivere dei dialoghi convincenti nella sceneggiatura, e dove ci si perde di più dove non si è mai convinti, come un compositore davanti ad un piano forte, si prova a suonare qualcosa di cui si è appena scritto e si finisce per creare un mucchio di fogli stracciati.
Lo sceneggiatore a volte si trova a scrivere un ottimo dialogo, un monologo perfetto ma non sa come collocarlo o semplicemente non ha strutturato abbastanza bene prima il personaggio che le sue parole stonerebbero invece di essere perfette.
Il monologo più bello di Will Hunting, arriva quando Sean e seduto con Will su una panchina in un parco di Boston e gli un discorso sull’amore.
“Se ti chiedessi sull’arte probabilmente mi citeresti tutti i libri di arte mai scritti… Michelangelo. Sai tante cose su di lui: le sue opere, le aspirazioni politiche, lui e il papa, le sue tendenze sessuali, tutto quanto vero? Ma scommetto che non sai dirmi che odore c’è nella Cappella Sistina. Non sei mai stato lì con la testa rivolta verso quel bellissimo soffitto… mai visto. Se ti chiedessi sulle donne, probabilmente mi faresti un compendio sulle tue preferenze, potrai perfino aver scopato qualche volta… ma non sai dirmi che cosa si prova a risvegliarsi accanto a una donna e sentirsi veramente felici. Sei uno tosto. E se ti chiedessi sulla guerra probabilmente mi getteresti Shakespeare in faccia eh? “Ancora una volta sulla breccia cari amici!”… ma non ne hai mai sfiorata una. Non hai mai tenuto in grembo la testa del tuo migliore amico vedendolo esalare l’ultimo respiro mentre con lo sguardo chiede aiuto. Se ti chiedessi sull’amore probabilmente mi diresti un sonetto.Ma guardando una donna non sei mai stato del tutto vulnerabile… non ne conosci una che ti risollevi con gli occhi, sentendo che Dio ha mandato un angelo sulla terra solo per te, per salvarti dagli abissi dell’inferno. Non sai cosa si prova ad essere il suo angelo, avere tanto amore per lei, vicino a lei per sempre, in ogni circostanza, incluso il cancro. Non sai cosa si prova a dormire su una sedia d’ospedale per due mesi tenendole la mano, perché i dottori vedano nei tuoi occhi che il termine “orario delle visite” non si applica a te. Non sai cos’è la vera perdita, perché questa si verifica solo quando ami una cosa più di quanto ami te stesso: dubito che tu abbia mai osato amare qualcuno a tal punto. Io ti guardo, e non vedo un uomo intelligente, sicuro di sé, vedo un bulletto che si caga sotto dalla paura. Ma, sei un genio Will, chi lo nega questo. Nessuno può comprendere ciò che hai nel profondo. Ma tu hai la pretesa di sapere tutto di me perché hai visto un mio dipinto e hai fatto a pezzi la mia vita del cazzo. Sei orfano giusto? Credi che io riesca a inquadrare quanto sia stata difficile la tua vita, cosa provi, chi sei, perché ho letto Oliver Twist? Basta questo ad incasellarti? Personalmente, me ne strafrego di tutto questo, perché sai una cosa, non c’è niente che possa imparare da te che non legga in qualche libro del cazzo. A meno che tu non voglia parlare di te. Di chi sei. Allora la cosa mi affascina. Ci sto. Ma tu non vuoi farlo, vero campione? Sei terrorizzato da quello che diresti. A te la mossa, capo.”
Questo monologo è davvero bellissimo, tra l’altro adattato perfettamente dai nostri doppiatori italiani che riescono sempre a trovare le parole giuste per regalarci queste perle di sceneggiatura.
Il monologo è perfetto anche perchè qualche scena prima abbiamo già avuto prova del carattere del personaggio interpretato da Robin Williams, la sceneggiatura ci ha già dato prova del suo dolore e del rapporto che molto probabilmente aveva con la moglie, abbiamo capito che era un uomo che era stato tradito dalla vita, ma che non si era pentito di affidarsi all’amore.
Robin Williams è un valore aggiunto perchè riesce a dare la giusta espressione a queste parole, la giusta cadenza e frequenza per entrarti nel cuore, ci smuovono e ci fanno riflettere.
Questo monologo è collocato bene sia a livello temporale nella storia che a livello fisico nella tranquillità di un parco su una panchina, un luogo di pace in cui è più facile essere profondi e arriva nel punto in cui Sean deve per forza e in qualche modo smuovere quella stupida corazza che si è costruito Will.
In questo modo le parole acquistano più valore, più significato e ci sembrano ancora più perfette, c’è un anticipo, un prologo, poi c’è luogo giusto e il momento adatto all’interno della storia per essere pronunciate.
Segnano una svolta all’interno della storia e per i personaggi, tutti e due capiscono che parlare potrebbe fare bene a entrambi, capiscono che in fondo entrambi hanno bisogno di sfogarsi e ci da indizi sui protagonisti.
Capiamo la profondità dello psicologo Sean e vediamo e impariamo che Will non è solo un ribelle chiuso in se stesso, anzi è un ragazzo che sa anche fermarsi e ascoltare e perchè no apprendere qualcosa.
Questo è un paio di altri dialoghi sono talmente importanti che delineano non solo il carattere di Will ma ne tracciano pesantemente anche il futuro, tanto che le sue scelte di vita saranno guidate dalle parole di Sean. Chissà se qualcuno nella vita oltre a Will è stato anche lui condizionato da queste parole, chissà se ha imparato qualcosa.
Il resto dei dialoghi sono evoluzione di un rapporto che si crea tra Will e Sean, come se fossero quasi padre e figlio, un uomo esperto che insegna al giovane quando bello può essere l’amore.
Ci sono dei dialoghi stupendi in cui Sean parla di sua moglie e dei momenti belli e divertenti con lei, uno addirittura improvvisato da Robin Williams che è allo stesso tempo divertente quanto malinconico, recitazione meravigliosa.
Quando ci sono dialoghi del genere anche per l’attore è più facile entrare nel personaggio, recitare ed esprimere il meglio delle sue possibilità, una buona sceneggiatura aiuta proprio tutti, perchè tutto si incastra perfettamente, tutto sembra perfetto.
Le giuste parole messe al posto giusto rendono i film delle opere d’arte migliori di una poesia, perchè sono pezzi di vita, e fanno parte di tutti noi, in molti di essi ci possiamo riconoscere tranquillamente.
Questo film non è altro che un insegnamento a come vanno scritti i film incentrato sul confronto, sulla crescita personale e sulle parole, una lunga e bellissima poesia visiva.