The Last Duel è un film del 2021 diretto da Ridley Scott e tratto dall’omonimo libro da Eric Jager, che parla di un ultimo “duello di Dio” svoltosi in Francia nel 1386 tra Jean de Carrouges e Jaques le Gris.
Questo film si sviluppa su tre capitoli e su tre punti di vista differenti, il film si basa su fatti storici realmente accaduti e quindi ha dei vincoli da rispettare anche se grazie a questa tecnica, può far decidere alo spettatore quale sia la versione più reale della storia raccontata.
I punti di vista sono prima quello di Jean (Matt Damon), poi quello del suo amico e rivale Jaques (Adam Driver) e poi quello giovane moglie di Jean, Marguerite de Carruges (Jodie Corner), la vittima che accusa Jaques le Gris di averla stuprata.
I primi due capitoli sono un po’ noiosi e portano lo spettatore a voler andare veloce al dunque, il film di spinge a credere alla donna, che è evidentemente vittima di un sistema davvero crudele e ignorante. L’interpretazione di Matt Damon è davvero di alto livello, forse una delle sue migliori, con un personaggio un po’ pazzo e istintivo, ma molto coraggioso e fedele alla corona. Mentre un po’ spento quello di Adam Driver che anche nei momenti cruciali della sua storia non riesce ad uscire da una particolare apatia. Il film non riesce a mostrare con chiarezza il rapporto tra i due protagonisti, tanto che i loro litigi sembrano più che giustificati. Non sembrano mai veri amici, quanto più dei semplici cavalieri con ambizioni differenti.
L’accuratezza storica riporta il film sui binari giusti, con costumi e una fotografia ben dettagliata, il finale è crudo nelle parole quanto nella scena di combattimento e riporta al giusto tono al film che a tratti risulta veramente troppo noioso e inconcludente oltre che abbastanza complicato.
Ridley Scott ha perso il suo “potere” da tempo e non riesce più a fare delle pellicole che convincono del tutto, sono spesso noiose e inconcludenti e anche in The Last Duel manca qualcosa che si vede solo nel finale. Infatti la parte finale non migliora solo dal punto di vista narrativo, ma anche della regia che non sbaglia un colpo e crea la giusta atmosfera. La storia è cruenta per quanto sia moderna sotto certi aspetti, con una donna che porta avanti la propria accusa pur rischiando la vita sua e quella del marito e con Jaques De Gris, convinto di non aver stuprato nessuna perché condizionato dalle sporche abitudini del tempo.
Una storia davvero interessante, ma che ci viene mostrata in un film nel complesso disordinato e con poco carattere e che si salva solo un po’ nel finale, mi aspettavo qualcosa di più, ma ultimamente è facile rimanere delusi da quello che comunque è uno dei registi che ha fatto la storia del cinema.
Tutti i soldi del mondo è un film del 2017 diretto da Ridley Scott, il film è tratto da un famoso saggio di John Pearson e tratta la storia vera del rapimento avvenuto negli anni 70′ di uno dei nipoti dell’uomo più ricco del mondo a quell’epoca, il magnate del petrolio e collezionista d’arte Jean Paul Getty.
Il film è famoso per la controversia che riguarda Kevin Spacey che è stato tagliato dalle scene in cui interpretava J.Paul Getty e sostituito un mese prima dell’uscita del film dall’attore Christopher Plummer. Una situazione che attirato molto l’attenzione su questo film tratto da una storia vera e incentrato sull’avidità del suo protagonista.
Il rapimento è solo spunto per mostrarci una dinamica assai particolare e una situazione famigliare molto contrastante, tra soldi, potere e avidità. Jean Paul Getty ci viene mostrato come un uomo solo, tremendamente avido e sempre più ricco e attaccato ai soldi, il resto della famiglia invece sembra essere un po’ distaccato da questo mondo d’affari e appena viene coinvolto si perde in alcol e droghe. Un film che ci mostra quanto il potere e i soldi possono condizionare le persone che sono disposte a perdere un nipote pur di non perdere un solo dollaro.
Il contrasto con la madre del rapito e suo suocero è forte e determinante, lei disposta a tutto, distaccata dai soldi e del loro potere, lui che fa di tutto per difendere i propri affari e impedire ovviamente che altri suoi nipoti vengano rapiti per la sua troppa “generosità”. Il film è molto sceneggiato e semplicemente tratto dalla storia vera, forte nei suoi dialoghi, ma si perde un po’ in alcune sue parti, un po’ troppo deboli e lente.
Il film si adatta bene alla storia vera, la modifica, aggiunge dei personaggi che danno una spinta in più e rappresenta in modo scenografico l’avidità di questo uomo super ricco degli anni 70′. Ridley Scott gestisce bene il tutto, con un film piacevole e ben fatto, che non esalta del tutto, ma che rimane nei suoi binari e che racconta una particolare storia vera. Un vero peccato non aver potuto vedere Kevin Spacey nel ruolo di Getty.
La battaglia di Hacksaw Ridge è un film del 2016, candidato a diversi premi Oscar e diretto da Mel Gibson, un film tratto da una storia vera di un eroe di guerra americano.
Il protagonista Andrew Garfield interpreta un giovane soldato americano Desmond Doss che durante la seconda guerra mondiale si arruola nell’esercito come medico, ma che per motivi religiosi si rifiuta categoricamente di usare armi. Il primo Obiettore di Coscienza a ricevere una medagli al valore, un eroe che ha salvato molte vite da morte certa.
Un film di guerra, con una battaglia lunga e ben congeniata a farne da protagonista, Mel Gibson ci immerge nella cruda verità della guerra, in una battaglia, quella di Hacksaw Ridge, combattuta in terra Giapponese. Sangue, mutilati e feriti ovunque con un ragazzo che fa di tutto per salvare più vite possibili. Un film che ci mostra che in guerra non ci sono vincitori, ma solo morte e distruzione, e Desmond Doss è un esempio di integrità morale, devozione e dedizione.
Il film funziona molto bene, la parte introduttiva sottolinea la follia del protagonista di andare in guerra senza armi, ma ci mostra al tempo stesso la sua immensa forza di volontà. La regia non mi ha convinto del tutto in alcuni passaggi, soprattutto nella battaglia, alti e bassi molto soggettivi che possono cambiare un po’ la percezione del film, anche nella sua fotografia, a volte spettacolare a volte un po’ deludente. Un’ottima recitazione di un sempre sottovalutato Andrew Garfield arricchisce un film che si muove bene tra la fede e la violenza, tipico di questo regista.
Scorre bene, la battaglia è chiara nella sua confusione, con immagini nitide anche nelle scene più buie, una buona rappresentazione della guerra e della sua violenza, con una escalation particolare di coraggio e devozione, con un protagonista sempre più eroico e determinato.
Nel complesso un film da Oscar, uno di quei film che ti lascia il segno dopo che l’hai visto.
QUATTRO CHIACCHIERE: Forse il primo e vero universo horror, con spin-off e prequel, con i Warren come spunto narrativo.
The Conjuring Universe ha rivoluzionato un po’ il mondo dell’horror e lasciato una traccia importante nel genere, rendendolo più accessibile a tutti e creando una grossa curiosità nelle sue storie, grazie alla storia vera dei Warren.
Tutto è partito con il primo film del 2013, un film dalla storia classica di esorcismo, ma che attirò molto la curiosità del pubblico essendo tratto in parte da una storia vera, qui si viene a conoscenza di Ed Warren e sua moglie Lorraine due famosi demonologi che hanno passato la loro vita alla ricerca di forza oscure e di possessioni. Nella loro casa è presente una stanza piena di oggetti posseduti che hanno trovato durante le loro esperienze paranormali. La forza di questo franchise è stata quella di puntare su di loro e non sulle storie che raccontano. Il primo film racconta dei Perron una famiglia che ha subito eventi inspiegabili appena si sono trasferiti in una casa del Rhode Island.
L’evocazione è il classico esorcismo, ma con una cura dei dettagli e della regia davvero degna di nota, con unJames Wan che conquista tutti con il suo stile, l’Horror fa un passo in più e finalmente dopo anni dal film più iconico di sempre nel suo genere “L’esorcista”, un film horror non viene più considerato film di seconda categoria. The Conjuring non è solo paura, tensione e grossi balzi sul divano, ma anche un film con una trama che mette grande curiosità e che ti innesta la necessità di sapere altro sui Warren.
Tutto si evolve velocemente, viene prodotto uno spin-off sulla bambola posseduta vista nel primo film, Annabelle, che però non riscuote delle recensioni positive, ma il franchise non si ferma e mette in produzione altri progetti. Il vero film di questo universo è sicuramente The Conjuring 2 – Il caso Enfield, una storia che molti già conoscevano e che non vedevano l’ora di vedere sul grande schermo in un film. Questo è un film che viaggia da solo anche senza la presenza dell’horror, un thriller a tutti gli effetti, con una grossa traccia di vero paranormale solo nel finale. Come nella storia vera rimane il dubbio tra realtà e finzione, sembra quasi sia la bambina a fare tutto. Nonostante sia un film Horror il dubbio si insinua nel pubblico anche se è consapevole di ciò che lo aspetta. Anche qui i Warren sono i grandi protagonisti, portano amore e mistero nella trama. C’è un bellissimo mix di canzoni, si passa dai The Clash con un bellissimo spaccato della Londra anni 70′ ad un momento di pace e amore con la canzone di Elvis Presley cantata dai protagonisti.
Veniamo a conoscenza del demone Valak, una suora demoniaca di cui ci viene mostrata la storia nel “The Nun“.
Il sistema funziona, si parte con un film che si avvicina alle storie dei Warren, per poi farne un prequel per spiegare l’origine di quel male e di quell’oggetto indemoniato. Un sistema che permette di creare un universo cinematico horror senza precedenti. I due veri film di livello sono i primi due The Conjuring, forti di essere tratti da storie vere, di cui è possibile leggere le storie online. Anche gli altri seguono lo stile ben preciso, ma si perdono facilmente in cliché classici del genere con lo sforzo di dover far paura a tutti i costi.
Uno stile ben preciso, segnato nel profondo da James Wan e dagli sceneggiatori dei primi due film. La capacità di portare il cinema nell’horror e non viceversa, con piani sequenza davvero molto interessanti e con la fotografia che supera l’obiettivo unico e solo di spaventare lo spettatore. Con questa saga, l’utente non si ferma al film, ma può fare ricerche, confrontare il cinema con le storie vere e alimentare la sua paura verso il paranormale. La storia dei Warren ha il suo fascino e ha un fascino estremamente cinematografico. Sono storie che valgono la pena di essere narrate, che spesso hanno un lieto fine e che si prestano molto ad una sceneggiatura, ovviamente con molte aggiunte di fantasia.
L’obiettivo, come nell’esorcista, non è solo quello di creare paura con la scena in se, ma con tutto il contesto, insistendo con il fatto che siano degli eventi realmente accaduti, le foto reali nel finale non sono altro che una preparazione al film successivo e ci predispongono ad avere più ansia e paura prima ancora di vedere un film della saga. The Conjuring Universe si basa su tutto ciò che ha prodotto, guardi The Nun con la curiosità di sapere chi è il demone Valak e con l’illusione che ciò che stai guardando potrebbe essere successo veramente. Nessuno potrà mai battere il fascino intrinseco che ha un film tratto da una storia vera e non potendolo fare per tutti i film, il franchise sfrutta i Warren proprio per trasmettere questa sensazione e fascino.
The Conjuring poi, porta nel mondo dell’horror la figura cinematografica e narrativa del Villain, non si combatte più con spiriti ed entità astratte, ma con qualcosa di più concreto che ha una forma e delle caratteristiche precise. Si sono visti già in altri film del genere, ma in questi c’è un’evoluzione, una cura dei dettagli e degli spin-off creati per rafforzare le caratteristiche. Annabelle ha un aspetto fin da subito terrificante, inquietante e al tempo stesso che crea curiosità, tanto da avere tre spin-off comunque di alto livello. The Nun ci mostra Valak, anch’essa da subito iconica, questa suora demoniaca che ci mette soggezione fin dal primo istante in cui la vediamo e da subito sentiamo il bisogno di saperne di più sulle sue origini.
The Conjuring Universe ha una grande capacità di creare curiosità ed è stato perfettamente ideato per questo, prima della paura viene la sete di sapere di conoscere e di informarsi e poi quando siamo già belle pronti e condizionati arriva lo spavento alimentato da ciò che sappiamo, da ciò che ancora non sappiamo e dall’esperienze dei film precedenti. Come tutti gli universi narrativi funziona man mano che si vedono i film nell’ordine in cui sono usciti.
L’obiettivo finale non è solo quello di darti il film in se da vedere ma di darti qualcosa di più, una storia vera, la curiosità sui Warren e sul mondo di cui trattano, un Villain e una regia e fotografia sempre di ottimo livello in modo da essere appagato anche a livello visivo, portando il mondo dell’horror ad un livello superiore.
House of Gucci è un film del 2021 diretto da Ridley Scott, La pellicola è un adattamento del libro di Sarah Gay Forden e si concentra sulla dinamica famigliare della famiglia Gucci tra gli anni 70′ e 90′ soprattutto sul rapporto tra Maurizio Gucci e sua moglie Patrizia Reggiani.
House of Gucci è un film deludente, che non rispecchia il blasone dei propri attori e del proprio regista. Un film che si presenta in modo confusionario e davvero poco incisivo, la storia colpisce fino ad un certo punto senza meravigliarci del tutto. Anche la recitazione pur se buona sembra dislocata tra i diversi personaggi. Tra gli attori come Adam Driver, Al Pacino, Jeremy Irons e Jared Leto, quella a spiccare è Lady Gaga, che è forse l’unica a crederci davvero al suo ruolo.
La storia è interessante e banale allo stesso tempo, a tratti estremamente frettolosa con cambi di umore e carattere difficili da comprendere. Ci sono evoluzioni e scelte che ci appaiono all’improvviso e non si capisce più il perché di alcune scelte. è facile perdersi non tanto nella storia ma nelle scene e nelle decisioni dei personaggi. Ci ritroviamo con Maurizio (Adam Driver) super innamorato, ad un personaggio piatto e senza più sentimenti, talmente velocemente da non capire nulla. Aldo Gucci (Al Pacino), da buon amico e parente a imprenditore senza scrupoli anche qui in un attimo da una scena all’altra senza una base per farci capire queste evoluzioni.
Un personaggio “macchietta” come quello interpretato da Jared Leto che veste i panni di Paolo Gucci, è inutile e nonostante la quantità di trucco non assomiglia all’originale ne visivamente ne nel carattere. Forse lui rappresenta un po’ la confusione di questo film, che sembra si basarsi su fatti reali ma senza una vera e propria direzione. Un ennesimo passo falso di Ridley Scott con una regia irriconoscibile, a tratti molto pulita all’italiana e a tratti molto confusionaria, con gli attori che non riescono ad entrare mai nel personaggio.
Nel complesso un film che arranca e fa fatica in tutta la sua lunga durata, un film che non convince del tutto, a parte qualche parte che si salva. Una storia di per sé interessante di un’azienda di famiglia diventata famosa in tutto il mondo, per il resto però una gran confusione e attori mai convinti dei propri personaggi. Deludente.
The Good Nurse è un film del 2022 distribuito da Netflix diretto da Tobias Lindholm e tratto dalla crime story di Charles Cullen, un serial killer che uccideva le sue vittime grazie al suo ruolo di infermiere in diversi ospedali. I due infermieri protagonisti sono interpretati da Jessica Chastain e Eddie Redmayne.
Il film segue le vicende di una storia vera, un’infermiera con problemi al cuore, intuisce che il suo nuovo collega nasconde qualcosa di spaventoso, dopo una morte sospetta nel suo reparto, la donna proverà a smascherare il suo collega e ormai amico per capire se è lui a commettere gli omicidi. Purtroppo si scopre che molti ospedali pur intuendo la situazione non denunciavano Cullen ma semplicemente lo licenziavano, lui trovava sempre lavoro e continuava nelle sue particolari uccisioni. Charles Cullen iniettava dosi di insulina o alterava le flebo negli ospedali per provocare vittime, è stato accusato di 29 vittimi ma si teme che possano essere anche più di 400.
Una storia particolare e delicata da raccontare, questo film lo fa con i giusti toni e i giusti ritmi avendo un grande rispetto per la morte e per le vittime e concentrandosi di più sulla vita e il coraggio di un’infermiera che è stata l’unica ad avere il coraggio di affrontare questa situazione e di aiutare la polizia. I suoi problemi di cuore, l’attesa di un’operazione che non poteva fare per mancanza di assicurazione sanitaria. Tutto era estremamente complicato ed è anche un po’ una denuncia al sistema sanitario americano.
La recitazione è ottima, c’è un po’ una mancanza generale di emotività, il film non riesce del tutto a tramettere le giuste sensazioni, le due ore passano in fretta nonostante a tratti sia un po’ noioso, ma non c’è mai una vera sensazioni di angoscia, di pericolo, sembra tutto molto pacato e ovattato, come se ci fosse una dose di morfina anche per chi guarda il film.
Netflix punta nuovamente sui serial killer e anche questa volta lo fa ancora da un punto di vista differente, meno violento, molto pacato nei suoi modi. Una donna forte come protagonista che nonostante le difficoltà prova a far emergere la verità. Un film un po’ per tutti, lento e riflessivo, senza violenza ma che ha molto rispetto per le vittime e per la morte, una storia vera particolare, di cui non si conosco ancora le vere motivazioni dell’assassino.
The Watcher è una miniserie distribuita da Netflix nel 2022, I punti chiavi sono che la serie è ispirata a fatti realmente accaduti e che è scritta da Ryan Murphy e Ian Brennan che hanno cavalcato l’onda del successo della miniserie Dahmer per fa sì che anche questa serie avesse seguito.
Sembra proprio una mossa studiata a pennello, due serie scritte dagli stessi autori, entrambe tratte da una storia vera, una che ricalca quasi perfettamente la verità dei fatti, e The Watcher che invece ne prende solo spunto per creare qualcosa di davvero interessante. Questa serie non si può definire un horror, ma un thriller, con l’obiettivo di far immedesimare lo spettatore nelle sensazioni dei protagonisti.
Dei bravissimi Bobby Cannavale e Naomi Watts, interpretano moglie marito nel pieno di una svolta di vita, comprano la casa dei loro sogni, davvero bellissima nel New Jersey, fuori dalla caotica città. Westfield è una cittadina molto tranquilla, “la più sicura dello stato”, ma non appena iniziano a viverci succedono dei fatti davvero strani e talvolta inquietanti. Ricevono delle strane lettere minatorie, scritte da uno che si fa chiamare l’osservatore. I sospetti ricadono sui diversi vicini dell’abitazione, che sembrano davvero tutti molto strani e legati in qualche modo a quella casa, che è a tutti gli effetti un’ossessione per molti.
La serie gioca benissimo sul sospetto, sulle domande senza risposta e sull’inganno, lo spettatore si ritrova coinvolto in una storia molto particolare, dove tutti sembrano mentire e dove tutti potrebbero essere gli impostori. C’è ossessione e disperazione, l’ansia e il sospetto sono parte integrante di ogni scena ben scritta e ben girata. A tratti la trama rallenta un po’ troppo caricandoci un po’ di scene noiose che ci portano in direzioni che non ci piacciono, sempre più lontani dalla soluzione dei misteri.
Man mano che la serie va avanti, l’ossessione, la voglia di risposte e sempre tanta, tutto viene perfettamente apparecchiato per farci ritrovare tutti come la situazione della storia realmente accaduta, come nella serie e come quello spettatore che si ritrova a provare le stesse sensazioni dei protagonisti.
Nel complesso un’ottima serie, direi ben studiata e elaborata, sicuramente non banale forse un po’ in contrasto con i gusti moderni e che potrebbe deludere molti per i suoi ritmi e il suo finale. Lo spettatore potrebbe anche un po’ sentirsi preso in giro e in effetti questa serie si basa davvero poco su fatti reali, per poi viaggiare in modo molto azzeccato con la fantasia. Ottimo che Netflix abbia trovato due autori come Murphy e Brennan, altra miniserie di altissimo livello.
Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer è una miniserie Netflix del 2022, curata da Ryan Murphy e Ian Brennan e basata sulla biografia del serial killer Jeffrey Dahmer, il cannibale di Milwaukee.
Questa miniserie Netflix è un piccolo capolavoro, davvero ben curata e ci porta qualcosa di nuovo, una storia vera, già raccontata mille volte, ma in questa miniserie viene vissuta dal punto di vista delle vittime. C’è una cura dei dettagli impressionante e tutto e bene scritto e narrato alla perfezione, è assolutamente una serie di livello.
Vediamo i diversi passaggi e momenti di uno dei serial killer più spietati e famosi del mondo. Un uomo che ha fatto 17 vittime, su cui ha commesso terribili atrocità. La serie ha l’abilità di non mostrarci del tutto cosa succede, ma di terrorizzarci con le parole, con lo sguardo del protagonista e con la chiara idea di cosa stesse facendo.
Evan Peters è davvero perfetto nel ruolo di Dahmer e lo interpreta alla perfezione, la serie anche grazie a lui, trasmette le giuste e emozioni e sensazioni. Violenta al punto giusto, una violenza che arriva più con l’immaginazione che con le immagini stesse, claustrofobica a tratti da far sentire in trappola anche lo spettatore. Una miniserie scritta alla perfezione, con i tempi giusti, lenta ma mai banale. Una storia vera perfettamente riportata.
Una serie che consiglio a tutti, sconvolgente e coinvolgente, davvero un piccolo capolavoro. Spero vivamente che Netflix faccia partire un format di miniserie antologiche sulle storie dei serial killer più famosi, tutte di questo livello.
Home Team è un film del 2022 diretto da Charles e Daniel Kinnane. Il film è tratto dalla storia vera del coach della NFL Sean Payton, che nell’anno della sua sospensione decise di allenare la squadra di football di ragazzini dove giocava suo figlio.
Il film è prodotto da Adam Sandler, e il suo stile è molto incisivo e evidente, soprattutto nello stile della comicità e nel cast di attori, spesso coinvolti nei suoi film, come il protagonista Kevin James, Taylor Lautner oppure la moglie di Sandler, Jackie Sandler.
Kevin James interpreta il coach Payton che ha dedicato la vita al Football e vinto un Superbowl con i New Orleans Saints, nel suo anno di sospensione vuole riavvicinarsi al figlio che vede molto raramente dopo il divorzio e per colpa del suo lavoro. Decide quindi di aiutare la sgangherata e improbabile squadra del figlio a provare a vincere il campionato.
Ovviamente è tutto impostato sulla commedia e sulla comicità, la base della storia è vera ma ci sono elementi per renderla più grottesca e inverosimile. Una commedia molto divertente e leggera che ci mostra anche un po’ di football. Lo stile è sempre quello, anche se Kevin James è un personaggio più serio e impostato del solito, una storia di sport, ma anche di rapporto tra padre e figlio. Lo sport è una cosa seria, ma può sempre trasmettere altro e come sempre è il finale a lieto fine a rivelarcelo.
Regia buona anche nelle scene di gioco un po’ complicate, la recitazione buona per il genere, è un ottimo livello di comicità che rende il film leggero e divertente. Nel complesso un bel film da vedere in compagnia per farsi qualche risata.
Richard Jewell è un film del 2019, diretto da Clint Eastwood, basato sulla storia vera di una guardia di sicurezza che era stata accusato di un attentato nel 1996 ad Atlanta.
Il film ci mostra la storia in cui è stato coinvolto il povero Richard Jewell, un bonaccione, un po’ sovrappeso con un grande spirito e un senso del dovere molto forte. Una persona fondamentalmente buona che mette davanti a tutto le regole e le leggi, un uomo che sogna di aiutare la gente, come poliziotto o come guardia di sicurezza.
Nel 1996 la FBI brancola nel buio dopo l’attentato ad un concerto per le olimpiadi di Atlanta, Richard scopre uno zaino bomba e grazie alla sua dedizione e rispetto delle regole riesce a salvare delle vite, ma subito dopo viene accusato di essere lui il colpevole in cerca di popolarità.
Si vede benissimo l’impronta artistica di Clint che si conferma un regista di livello assoluto, con un proprio stile, sempre molto cupo, serio ed impostato che però rende i suoi film sempre dei piccoli capolavori. La sua mano si vede, c’è in tutto anche nella fotografia e nell’impostazione della recitazione. Clint Eastwood è una certezza e praticamente non sbaglia mai un colpo come ai tempi di Sergio Leone quand’era armato di pistola.
Una pagina buia della giustizia e del Bureau americano, con metodi discutibili e davvero sbagliati che hanno rischiato di coinvolgere un innocente che oltretutto aveva salvato delle vite. La giusta pacatezza, ritmo e sceneggiatura rendono questo film davvero interessante e mai banale, la recitazione è di ottimo livello soprattutto quella di Paul Walter Hauser nei panni appunto di Richard Jewell e quella di Sam Rockwell (Sempre molto bravo) suo avvocato.
Molto spesso Clint lascia delle accuse velate al proprio film, e molto spesso le lancia proprio al sistema giudiziario americano, è spesso in cerca di giustizia e di eroi poco conosciuti ma cui va dato il merito di aver salvato delle vite, un vero spirito americano, almeno idealmente parlando. Questo film ha tutti questi elementi ed è di ottimo livello, vale la pena di essere visto.