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Recensioni nel tempo di un caffè

THE LAST OF US: RECENSIONE SESTO EPISODIO, UNIONI E DIVISIONI

Recensione nel tempo di un caffè

The Last Of Us con il suo sesto episodio, ci mostra un nuovo aspetto della vita dopo la pandemia. Un villaggio totalmente autonomo e popolato in cui sembra che il tempo si sia fermato a prima che il fungo infettasse tutto il mondo. I posti isolati sembrano riuscire a sopravvivere con piccole città che vanno avanti con la propria vita. E qui che Joel incontra suo fratello e si confronta con il proprio passato, rendendosi sempre più conto di quanto sia importante per lui Ellie.

Questo è forse l’episodio con la fotografia più entusiasmante, molto naturale, con paesaggi innevati e desolati da togliere il fiato, un episodio chiave per alcuni aspetti ma che stride quasi un po’ per la sua tranquillità, che poi sfocia in un cliffhanger nel finale. La regia rende molto, forse la migliore di tutti gli episodi, c’è una cura dei dettagli sempre maggiore e l’occhio di può perdere in diverse parti dello schermo. Una serie che rimane costante di alto livello e che riesce a regalare anche una certa profondità. Qui la storia di fa meno videoludica e più cinematografica, con un rapporto Joel e Ellie che si stratifica in diverse dinamiche sempre più affettuose.

Si può vedere quanto ormai Joel non abbia altro che Ellie e che la felicità altrui non fa che ferirlo e ricordargli ciò che ha perso, stessa cosa per Ellie che si ritrova a sentirsi persa e sola senza il suo “vecchio custode”. Un episodio che analizza altri aspetti della vita e non solo il confronto con gli infetti. Si accenna al futuro, al ruolo di Ellie come cura e alla possibilità di un mondo nuovo, a livello di speranza, fino a qualche istante prima della fine, è forse l’episodio più positivo, più lontano dalla solita negatività e malinconia che contraddistingue una serie del genere.

The last of us è una serie che rimane sui propri binari, che continua a rimanere fedele al videogioco da cui è tratta e che in ogni episodio si nota una bella scrittura e una bella storia che va avanti. Una piccola perla HBO, forse l’esecuzione e trasposizione migliore di un videogioco. Una serie che rimette in ordine le priorità e la cura del dettaglio e che forse potrebbe essere anche dopo questo sesto episodio, da esempio a future serie di questo genere.

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Quattro Chiacchiere

DJANGO – LA SERIE TV

QUATTRO CHIACCHIERE: Sky original ha prodotto una serie tv sul famoso personaggio western Django.

La serie tv su Django uscirà molto probabilmente nel 2022, una produzione di Sky original e Canal+ che coinvolge un po’ tutta l’Europa, una serie tv che ha molto di Italia al suo interno, le riprese sono state fatte quasi tutte in Romania. Questa serie Tv discosterà moltissimo dal film di Tarantino, ma anche dalle versione con il primo vero Django, Franco Nero.

L’idea è quella di portare sul piccolo schermo una serie Western, per arricchire il catalogo di Sky con qualcosa di diverso e nuovo, ma per farlo serviva la giusta pubblicità, ecco perchè il protagonista della storia, sarà l’ormai famoso personaggio del mondo del West, proprio Django.

Django è stata creata e scritta da Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli già autori della serie “Gomorra”, al soggetto hanno lavorato anche Francesco Cenni e Michele Pellegrini, tutte persone che hanno già lavorato per alcune serie di SKY. Quindi una grande impronta italiana sul progetto, che coinvolge anche attori e registi stranieri.

Francesca Comencini dirige i primi due episodi e sarà anche direttore artistico, mentre i seguenti episodi saranno diretti da David Evans e Enrico Maria Artale, già regista in “Romulus”. Un team già rodato con serie tv di ottimo livello e che promette certamente un bel risultato finale.

Questa produzione si pone l’obiettivo di dare anche una chiave di modernità a questa storia western, scrivendo una storia totalmente nuova, rispettando però alcuni cliché del vecchio cinema che tanto aveva successo ai tempi di Sergio Leone. Una serie tv che vuole essere il più possibile originale, avvincente, molto accurata nei particolari per cercare di rappresentare al meglio il periodo storico in cui è ambinetata.

Matthias Schoenaerts interpreterà Django, attore Belga con anche una buona esperienza internazionale, ha lavorato con Guadagnino, Terrence Malick, Soderbergh. Nicholas Pinnock invece, sarà John Ellis, l’antagonista della storia. Noomi Rapace interpreterà Elizabeth, una donna cinica e spietata nemica di Ellis. Mentre la figlia di Django, Sarah, sarà interpretata da Lisa Vicari, famosa per il suo ruolo nella serie tedesca “Dark”.

La sinossi della trama è questa:

Selvaggio West, tra il 1860 e il 1870. Sarah e John hanno fondato New Babylon, una città di emarginati, piena di uomini e donne di ogni estrazione, razza e credo, che accoglie tutti a braccia aperte. Perseguitato dal ricordo dello sterminio della sua famiglia otto anni prima, Django sta ancora cercando sua figlia, credendo che possa essere sopravvissuta al massacro. Rimarrà scioccato nel ritrovarla a New Babylon, in procinto di sposare John. Ma Sarah, ora una donna adulta, vuole che Django se ne vada, poiché teme che restando possa mettere a repentaglio New Babylon. Tuttavia, Django crede che la città sia in pericolo e non è assolutamente disposto a perdere sua figlia una seconda volta.

Dalla sinossi si vede che al centro della trama ci siano John e Sarah, due personaggi moderni che cercano di portare avanti idee progressiste, ma così facendo si fanno dei nemici. Django sembra il protagonista esterno, si aggiunge ad una situazione già definita alterando gli eventi. Bella l’idea di usare un il suo personaggio in questo modo. Penso possa essere molto curioso il rapporto tra padre e figlia, e il suo ingresso in città potrebbe non piacere a molti. Django quindi si ritrova in una situazione familiare, da emarginato, nonostante la città si pone l’obiettivo di accogliere tutti, un bel contrasto che ci fa immergere in questo capitolo western.

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Recensioni Combinate

SETH MACFARLANE E I SUOI TRE FILM

RECENSIONI COMBINATE: Ted e Ted 2 e un film di mezzo, meno conosciuto ma sempre targato dal creatore dei Griffin, Un milione di modi per morire nel west.

Seth Macfarlane è un creatore a tutto tondo, un artista che ha un preciso “timbro” nelle sue opere, che sono facili da riconoscere per il suo stile e le sue caratteristiche, il marchio e lo stile che conosciamo prevalentemente per i Griffin lo riconosciamo in altri suoi lavori, questi tre film ne sono un esempio. Tutto è partito da Ted, il suo primo film che ha scritto, diretto e doppiato, un film che ha catturato subito l’attenzione di tutti per il suo stile sopra le righe.

Ted è un esempio di una comicità molto forte, volgare e che non bada a nessun tipo di censura, ciò la rende autentica, violenta e molto vera, quasi realistica in un mondo che comunque ci appare molto spesso volgare e violento anche nelle parole. Ted è l’orso che tutti vorremmo con noi, quello che ci rende bambini e adolescenti e che non ci fa mai crescere, ma non sempre è tutto positivo. Ted è apposta un esempio esagerato di trasgressione, di parodia, in un universo realistico, ma allo stesso tempo grottesco, in cui un orsacchiotto prende vita e si trasforma nel tempo in un essere che ama la droga e le feste, proprio come il suo padrone.

Il bello di questo film è la libertà che trasmette, può fare e dire tutto, può esprimere i concetti come meglio crede e semina la trama di easter egg e di potente Black Humor, delle volte non ridiamo per le battute in se, ma anche perchè non ci crediamo che le stiamo davvero sentendo in un film al cinema, nettamente sopra le righe. I Griffin di sentono nelle musiche, nelle battute e nello stile di comicità, un film ottimo anche per questi aspetti. Ovviamente è un genere e una comicità a se, difficile fare paragoni, ma può piacere perchè è spregiudicato e assurdo.

Ted 2 ne replica lo stile, ma l’ho trovato un po’ più normalizzato, con una trama che cerca comunque di trasmetterci qualcosa nel finale e in qualche sua scena, l’importanza dell’inclusione e della libertà di avere tutti gli stessi diritti sono presenti in diverse scene, ma non pesano, sono sempre trattati in modo leggero. Anche se la trama è prevedibile è un film che convince, che fa ridere e che ci lascia a volte increduli per la libertà che ha nell’esporre certi argomenti e battute. Non mi è piaciuto molto il fatto che l’erba, è al centro di tutto, fumano in continuazione e sembra che non ci sia altro, si ripete e ripete più volte in diverse scene, alcune molto divertenti, altre un po’ ripetitive. Nel complesso ho trovato anche Amanda Seyfried meglio collocata e più naturale che Mila Kunis nel primo film, in cui l’avevo trovata un po’ troppo forzata e innaturale, troppo contrastante con il personaggio di Mark Walhberg, un eterno bambino con vizi e abitudini molto particolari.

Non penso sia un film per tutti, entrambi i capitoli hanno comunque una comicità basata sulla volgarità, non c’è nessuna scena particolarmente ricercata a livello di regia e la recitazione si adatta al genere senza strafare, sono due film leggeri, fatti per sorridere e ridere, molto adatti agli appassionati dei Griffin o di American Dad. Lo stile inconfondibile di Seth può piacere o meno, ma sicuramente ha un sacco di elementi che lo rende uno stile davvero molto divertente e sopra le righe, tanto da farmi domandare se fosse possibile ancora adesso una comicità così al cinema…forse solo lui può e questo ci piace, ci piace questa libertà, una comicità che sta sparendo soppressa dalla a volte follia del “Politically Correct”.

Un milione di modi per morire nel west è a mio parere un film più articolato rispetto a Ted, sia nel cast ma anche in certi aspetti della sua trama che ricalca molto bene lo stile della parodia, mantenendo però una comicità unica e sempre molto spregiudicata e fatta con riferimenti casuali e meno a film specifici come nelle classiche parodie. Seth rappresenta un vecchio west molto goliardico, in cui la morte e sempre dietro l’angolo e quasi mai inaspettata. Anche qui come nei film su Ted la comicità è parecchio volgare e certe battute sono davvero sopra le righe, ma nel complesso ci sono scene più di azione e usa anche molto la comicità espressiva e visiva e non solo quella della parole.

Seth Macfarlane è il protagonista del film, un po’ impacciato nella propria recitazione ma questo non fa altro che aiutare il suo personaggio che sembra completamente un estraneo in quel vecchio west, comunque ben rappresentato da un ottima coreografia e anche una stupefacente fotografia, poco ricercata ma che ti ruba l’attenzione in qualche scena. Mi piace la trama, la trovo molto leggera, intuitiva e con un lieto fine adeguato e adatto al genere, bello vedere Charlize Theron capace di recitare in qualsiasi ruolo, anche Liam Neeson da un tocco in più a tutto il film.

Il film è schietto e diretto come il vecchio west e ti trapassa come un proiettile con le proprie battute, per molti è tutto banale, troppo stupido, io invece ritengo che il suo punto di forza sia proprio quello di far ridere con l’assurdo, con battute e freddure che magari ti fanno ridere in ritardo perchè ti arrivano dopo, proprio come in una scena del film. Perchè in fondo è semplicemente questo lo scopo del film, farci ridere o anche solo sorridere per un paio di ore, non serve un motivo ben preciso, il film ci rende allegri, a tratti anche qui increduli nel sentire certe battute, a volte troppo spesso censurate nella vita quotidiana.

Tutti è tre i film sono facili da amare quanto da odiare, difficile che ti lasciano indifferente, però da amante delle parodie non posso che apprezzare questo tipo di produzioni, io ammiro la comicità dei Griffin e qui dentro la ritrovo tutta in tutti i suoi aspetti sia positivi che negativi. Consiglio di guardare tutti e tre questi film, soprattutto per fare il paragone con ciò che ci viene proposto ora, tutto censurato, vincolato e non più autentico. Seth Macfarlane e spudorato, vero, è autentico e ci fa ridere per questo.

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LA BALLATA DI BUSTER SCRUGGS: UN OPERA WESTERN DEI FRATELLI COEN

Recensione nel tempo di un caffè

La Ballata di Buster Scruggs è un film a episodi del 2018, scritto e diretto dai fratelli Coen.

Devo ammettere che raramente ho visto un film ad episodi, quindi per me era un po’ una cosa nuova, un esperienza un po’ difficile da valutare ma che va comunque analizzato come un unico film.

In queste storie ci sono tute le caratteristiche dei fratelli Coen, con la loro splendida regia, lo stile con una sottile ironia che sfocia in immediati e improvvisi atti di violenza, la sorpresa e la crudeltà del vecchio west sono il centro focale del film.

In questo film c’è tutta la magia dei western moderni con una fotografia davvero spettacolare, in alcuni momenti ipnotica sfruttando al meglio la bellezza del paesaggio.

Il ritmo forse è un po’ troppo lento, anche se idoneo al genere, alcune storie ti conquistano, altre giustamente ti lasciano un po’ l’amaro in bocca come se mancasse qualcosa, alcune sono più immediate e facili da capire, altre sono più misteriose e contorte.

Bello come ogni episodio, della durata di circa 15/20 minuti l’uno, vada a toccare diversi sentimenti e significati, ogni episodio ha il suo scopo narrativo e si passa da lunghe parole e monologhi a scene di pace e lavoro.

La trama gioca spesso sulla bellezza del colpo di scena, sulle trame che creano una sorta di tensione e di agonia e speranza verso un lieto fine che spesso non arriva, il west era un posto difficile che non lasciva spazio alla felicità.

Nel complesso però, a parte qualche cosa davvero carina, non mi a colpito del tutto, anzi mi sono spesso distratto e a volte se l’episodio trattato non convinceva finivo per annoiarmi e volerne la fine al più presto.

Film super adatto per chi ama lo stile inconfondibile e sempre di ottimo livello dei fratelli Coen.