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DADDY’S HOME 1 & 2: QUANTO E’ DURA LA VITA DELLE FAMIGLIE ALLARGATE?

RECENSIONI COMBINATE: Due commedie molto divertenti, una è il sequel dell’altra, parla della “convivenza” tra due papà.

Daddy’s home e il suo seguito Daddy’s home 2 sono entrambi diretti da Sean Anders, regista già esperto di commedie di questo tipo.

I film si basano su una trama abbastanza stereotipata, ma che la rende molto piacevole e divertente, sia nel primo film che nel seguito.

Nel primo film impariamo a conoscere Brad Whitaker (Will Ferrel) uomo un po’ impacciato, amichevole e poco attraente che vive da poco con la sua nuova compagna, che ha avuto due figli da un altro uomo.

Ovviamente il padre dei bambini è un super uomo, che sa fare tutto e sembra quasi un Dio, un uomo che vuole riprendersi la sua famiglia e che vuole “eliminare” il povero Brad, Mark Walhberg è l’interprete di Dusty Mayron.

Il primo film rispetta i classici canoni della commedia americana, con battute abbastanza scontate e situazioni paradossali ma che attingono a piene mani da situazioni possibilmente reali estremizzandole.

Per funzionare ha bisogno di una buona alchimia tra gli attori, e il regista deve saper fare ridere anche solo con le immagini e non solo con le battute della sceneggiatura, un espressione messa nel punto giusto può far molto ridere.

Mark Walhberg con Will Ferrel funziona alla grande, sono una coppia da commedia molto duttile e che crea un divertente contrasto, sia nell’altezza fisica che nei ruoli in cui siamo abituati a vederli, con Ferrel maestro del genere e invece Walhberg che ogni tanto si presta a fare anche commedie, grazie alla sua faccia che va bene un po’ su tutto.

Mark Walhberg sta sempre bene dove lo metti, non è un attore eccezionale, ma è un buon supporto per i film, rende tutti i film di buon livello, godibili e riesce a calarsi in qualsiasi ruolo con ottimi risultati.

In questa commedia spicca il difficile rapporto che si può creare nelle famiglie allargate, ma lo fa in modo delicato e divertente, ci fa anche un po’ riflettere tra una risata e l’altra.

Qualche situazione è forse un po’ forzata e non fa ridere come dovrebbe, una comicità troppo ricercata a volte stanca e purtroppo capita spesso in questo tipo di commedie.

L’ho trovata comunque molto realistica in alcune dinamiche, gli attori mi sembrano molto coesi e sembrano quasi divertirsi sul set, rendendo tutto più naturale e più facile da vedere.

Anche la trama è ben scritta, ha un suo sviluppo e il personaggio di Mark Walhberg, Dusty, cresce all”interno del film, diventando anche un padre migliore, quasi completandosi con il suo opposto Brad.

Quasi piacevolmente romantico nell’esposizione del rapporto tra i genitori e propri figli, c’è un grande senso di famiglia, di felicità e unione, un piccolo esempio di bellezza di un gruppo allargato.

Daddy’s home 2 forse per molti versi è migliore del primo film, almeno io l’ho trovato più completo e divertente, a tratti mi ha fatto davvero ridere molto, anche se va detto che la comicità è una delle cose più soggettive che ci sia.

In questo film, la famiglia di papà si allarga ancor di più, infatti per natale, Brad e Dusty ricevono la visita dei propri papà, con Jonah (John Lithgow) il padre di Brad e Kurt (Mel Gibson) il padre di Dusty.

Ovviamente anche in questo film, i due padri sono l’opposto uno dell’altro con Jonah che assomiglia molto a Brad e con cui ha un rapporto meraviglioso quasi come un fratello, e invece Dusty che malapena parla con suo padre, che è un cinico playboy che ha fatto di tutto nella vita.

Vanno tutti a passare il natale in una mega casa di montagna in mezzo alla neve, questo crea ancora più senso di unione e di famiglia allargata, con Dusty che ha una nuova moglie e una figlia non sua, e con Brad che ha avuto un figlio con la ex di Dusty, un mega famiglia allargata.

Questo film l’ho trovato estremamente divertente, ci sono un sacco di scene create davvero molto bene, i personaggi sono ancora più naturali e forse un po’ abituati dal primo ci sembrano più famigliari.

Bello anche lo sviluppo della trama e anche qualche piccolo dettaglio su cui riflettere, come i bambini e non solo perennemente attaccati al cellulare, nonostante siano in un posto stupendo.

Ovviamente il film è incentrato sui papà, penalizzando un po’, il ruolo delle mamme, che comunque sono una spalla importante nella trama, bello il duello padre figlio e le dinamiche che ne nascono.

Ottimo il finale, molto divertente, classico, ma che ti fa sia sorridere che quasi commuovere.

Nel complesso due ottime commedie con cui farsi qualche risata, con una piccola speranza che possano fare anche un altro film di questa piccola “saga dei papà”.

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OLD BOY: LA VERSIONE ORIGINALE COREANA A COFRONTO CON QUELLA US DI SPIKE LEE

RECENSIONI COMBINATE: Stesso soggetto, stessa trama, quali sono le differenze tra il remake e l’originale?

SPOILER ALLERT

Per questa recensione e articolo sarò costretto a fare dei grossi spoiler e siccome il film ha un ottimo plot twist, vi consiglio di non leggere questo articolo se non avete mai visto nessuno dei due film.

Come giusto che sia, inizio a parlare della versione originale proveniente da un cinema che non smette mai di stupirci, quello sud coreano.

Old Boy è un film del 2003 diretto da Park Chan-Wook tratto dall’omonimo manga, il film parte di una trilogia, detta della “vendetta”.

Io ho visto prima questa versione del film, che è presente anche nel catalogo di Amazon prime, ed ero rimasto particolarmente colpito dalla trama, il plot twist finale è davvero sconcertante e potente e nel complesso il film scorre bene.

Nel mio caso però ero molto condizionato dal fatto che sapevo che il film avrebbe avuto un clamoroso colpo di scena, e quindi ho vissuto il film come un attesa a quel momento, nonostante quello nulla mi aveva fatto pensare ad un colpo di scena del genere, quasi disturbante.

Il film è scritto davvero bene, e ben recitato e la regia non sbaglia un colpo e riesce a dare il giusto tono a tutta la storia, soprattutto il finale è estremamente carico di emozioni, forti e contrastanti.

C’è agonia,, disperazione, attesa e anche molta azione, il protagonista, barcolla nella sua tortura per tutto il film, trasmettendoti tutto il suo dolore e il suo smarrimento, molto bravo Choi Mik-Sik nel ruolo del protagonista che riesce a trasmettere le giuste emozioni.

Una fotografia a tratti un po’ troppo buia e una scenografia che ci lascia un po’ spiazzati rispetto alle classiche americane, forse a tratti una trama troppo lenta e silenziosa, che non ci permette del tutto di essere pienamente coinvolti e di capire a fondo il film.

Se le si guarda con la concezione che ci sarà un plot twist nel finale il film lo si accetta di più e non si rischia di annoiarci perchè sappiamo che l’attesa sarà ripagata, senza quell’indizio il fil risulta forse noioso e troppo fuori dagli standard a cui le persone sono abituate (Stile Hollywood).

Il remake americano è stato affidato a Spike Lee ed è uscito nelle sale, dieci anni dopo all’originale nel 2013, con protagonista Josh Brolin e Elizabeth Olsen, non accolto benissimo dalla critica perchè paragonato all’originale non era dello stesso valore.

A primo impatto questo film non è affatto male, ha una bella trama, c’è molta azione, violenza, degli ottimi protagonisti e il tocco di Spike Lee si vede, il film è molto commerciale e anch’esso si basa molto sul plot twist.

Non è per nulla noioso, scorre veloce nelle sue dinamiche ed è intrepretato da ottimi attori, facce conosciute e scenografie più comuni ai nostri occhi e ai nostri gusti.

Nel complesso è un bel film, ma sicuramente non se paragonato all’originale, perchè la trama perde parti fondamentali e il finale di Spike Lee è molto più debole rispetto a quello coreano.

Sinceramente mi aspettavo di più, si è puntato molto sull’azione, sui colpi di scena durante il film più che sul plot twist finale, sminuendo un po’ la suspense, esagerato in certe situazioni, meno realistico per quanto possibile.

La natura pittoresca di Hollywood annulla un po’ tutte le sensazioni di agonia e di disperazione che il film originale riesce a trasmettere, in questo c’è più adrenalina e testosterone e devo dire che sono rimasto un po’ deluso da Spike Lee che poteva far sicuramente di meglio, anche perchè lui era un regista adatto per questo genere.

La donna con l’ombrello giallo (Ted Mosby è lei la mamma? cit.) Samuel L. Jackson che sembra una caricatura mal eseguita di un magnate della moda o di un trapper anni duemila, Mr. Robot che muore, sono tutte cose che non erano necessarie e che allontano il film dalle sue reali intenzioni.

Confronto tra i due film

Nel film coreano il protagonista aveva un legame molto più solido con la moglie, un legame speciale con la famiglia, questo legame viene spezzato e già questo ci crea agonia e dolore, in più della figlia non sappiamo praticamente nulla.

La prigionia dura 15 anni e un altro spunto di disagio e di claustrofobia è quando il protagonista scopre di essere intrappolato in un grattacielo, ci sentiamo disperati per lui. I tentativi di suicidio, la disperazione di aver perso le persone che amava, tutto perfettamente trasmesso dalla regia e dall’attore.

Nel film americano, il protagonista è già divorziato dalla moglie, ci da una sensazione più distaccata, si ama sua figlia ma non ci trasmette tutta quell’unione, nel momento in cui viene rapito ci sono meno emozioni.

Meno paura, tensione, agonia e claustrofobia, in più ci danno più indizi sulla fine della figlia, quasi a volerci indirizzare verso la destinazione, poi cerca di fuggire e lo narcotizzano, come se lo avessero fatto perchè stava per fuggire e non perchè era tutto calcolato.

La differenza di età tra le figlie ci crea un diverso impatto emotivo, un piano più maligno nella versione coreana, perchè la figlia del protagonista e appena maggiorenne, mentre nella versione americana ha circa 23 anni, facendoci perdere un po’ la perversione del piano dell’antagonista.

Un’altra importante differenza sono le cause che hanno portato a questa situazione di prigionia e di vendetta, nella versione coreana il protagonista, ai tempi della scuola, poco più che bambino, era uno che sparlava, giudicava e creava dei grossi pettegolezzi all’interno della scuola.

Un giorno vede un incesto tra fratello e sorella e la scuola lo viene a sapere giudicando la povera ragazzina una poco di buono che si è fatta mettere incinta dal fratello.

La ragazzina ha una gravidanza psicologica e crolla sempre di più in una forma di depressione fino a suicidarsi gettandosi da una diga, il fratello di lei ha sete di vendetta ed escogita questo strano e perverso piano di vendetta.

La versione americana è più potente, più di impatto ma esplora meno le condizioni psicologiche dei protagonisti, infatti la versione del protagonista da giovane è già più matura, in periodo da superiori, appena prima del college.

Lui è il classico bullo che ha successo con le ragazze ed è l’idolo degli studenti, un giorno scopre una ragazza che sta facendo l’amore con un signore adulto, molto più grande di lei e mette in giro dicerie sulla ragazza.

Nel film scopriamo che quell’uomo adulto era il padre della ragazza e che era abituato a rapporti incestuosi con tutta la famiglia, uscita la notizia l’uomo impazzisce e uccide tutta la famiglia, tranne sue figlio che sopravvive per miracolo, quel ragazzo sopravvissuto è l’antagonista che vuole vendetta verso chi ha parlato.

La versione americana è si più potente in questo caso, ma ci fa perdere un po’ la follia dell’antagonista, la sua voglia di vendetta spropositata e sembra quasi giustificare l’atteggiamento del protagonista che non sapeva che quello fosse il padre di quella ragazza.

Il finale presenta delle grosse differenze, secondo me differenze che penalizzano moto il film di Spike Lee.

Nella versione coreana nel momento in cui il protagonista scopre di aver avuto un rapporto sessuale con sua figlia è molto più disperato, tanto da voler diventare il “cane schiavo” del suo nemico e torturatore, si taglia pure una parte della lingua per punirsi e per convincere l’antagonista e non dire nulla di ciò che è successo a sua figlia.

La figlia oltretutto è vergine ed ha appena 18 anni quando loro hanno il rapporto, ciò lo rende un incesto ancora più scioccante e d’impatto emotivo.

Nella versione americana c’è meno disperazione, più teatralità di tutta la storia e il protagonista non fa nulla per rimediare se non scongiurare il suo nemico di non dire nulla a sua figlia, molto meno di impatto.

In più la figlia è un po’ più adulta e avrà avuto sicuramente le sue esperienze, di questo non ne abbiamo certezza e fa perdere un po’ quella sensazione di disturbo, in entrambi i casi è davvero disturbante comunque come finale, nessuno si aspettava un incesto come vendetta.

Nel film coreano il protagonista si fa ipnotizzare per poter amare e vivere con la figlia, altra cosa che ci lascia perplessi e anche un po’ schifati moralmente parlando, il film americano è più docile e il protagonista si fa rinchiudere da dove tutto è iniziato e lascia una lettera alla figlia con dei diamanti per rifarsi una vita dimenticandosi di lui.

In questo senso il film coreano ci lascia con il dubbio, ci lascia agonia e disperazione, non capiamo se l’ipnosi ha avuto veramente effetto, lasciandoci con il dubbio che il protagonista voglia proseguire l’incesto con la propria figlia.

Tremendamente disturbante e terribile.

Nel complesso penso che la versione coreano sia meglio sviluppata in molte delle sue dinamiche narrativa, ci sono molte più emozioni ed è tutto ben curato, anche nei piccoli dettagli psicologici da trasmettere a chi vede il film.

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SHUTTER ISLAND & A CURE FOR WELLNESS & SUCKER PUNCH: TRE STILI DIVERSI PER RAPPRESENTARE LUOGHI APPARENTEMENTE SIMILI

RECENSIONE COMBINATE: Un manicomio, una casa di cura e un orfanotrofio, piccole galere da cui è difficile uscire.

Per questa “recensione combinata” ho deciso di mettere insieme questi tre film che sono molto diversi tra di loro me che hanno qualche punto in comune soprattutto nell’ambientazione, se visti insieme possono essere un passaggio di una vita turbolenta. Dall’orfanotrofio di Sucker punch, al manicomio di Shutter Island, fino ad arrivare alla strana casa di cura di A cure of wellness.

Sono film simili nelle loro location, lucubri, ansiose e piene di mistero, quasi capaci di metterti a disagio già dalla prima sequenza del film, con i loro aspetti misteriosi e con personaggi che sembrano nascondere un sacco di segreti.

Un viaggio nell’intrigata mente umana, a volte così misteriosa e particolare, racchiusa in luoghi dalle alte mura, da cui è davvero difficile poter uscire. Delle piccoli prigioni in cui sia la mente e il corpo del protagonista vengono intrappolate.

Shutter Island: è sicuramente secondo me il fil più bello dei tre, parte con un grande vantaggio, quello di essere diretto da Martin Scorzese e di avere come protagonista un ormai maturo, Leonardo di Caprio.

In questo film ambientato tutto in un manicomio, la prima cosa che balza all’occhio e la sensazione di oppressione, di disagio, viaggiamo con i due protagonisti, che cercano di capire dove sia sparita una delle clienti del manicomio.

Bravissimi entrambi i protagonisti, questo è il film che ci ha davvero fatto rendere conto del talento recitativo di Leonardo di Caprio, anche se erano già anni che viaggiava sulla cresta dell’onda, questo è proprio il film della sua svolta verso tutte interpretazioni da Oscar. Anche Mark Ruffalo se la cava davvero bene come spalla, sta davvero bene nei panni del detective come in “Zodiac”.

La regia di Scorzese si fa nuova, più cupa del solito anche grazie ad una splendida fotografia di Robert Richarson, che riesce a trasmettere i colori grigi della situazione di tensione che alleggia per tutto il film, trasmettendoti un misto di paura e apprensione per quello che potrebbe succedere.

Il manicomio trasmette automaticamente tutte queste situazioni, è sembra che tutto l’ambiente nasconda dei misteri e che nessuno stia dicendo la verità ai due detective, che si trovano involontariamente immersi in questo ambiente, senza poter tornare a casa per il mal tempo.

Il film aleggia tra realtà e follia, tra vero e falso, e ci espone in modo semplice, quanto può essere contorta e misteriosa la mente umana, quanto a volte può essere oscura e indomabile.

Il film si conclude con una frase emblematica che racchiude un po’ tutto il significato della trama, una delle frasi che più mi ha colpito a livello di sceneggiature, perfetta e ben collocata.

“Questo posto mi fa pensare…che cosa sarebbe peggio, vivere da mostro o morire da uomo per bene?”

Un film che consiglio assolutamente di vedere, per tutti i suoi aspetti, davvero ben fatto.

A Cure Of Wellness: è un film diretto da Gore Verbinski e con Dane Dehaan in una delle sue migliori interpretazioni.

Questo film è praticamente tutto ambientato in una particolare casa di cura sperduta tra le montagne della svizzera, il protagonista Lockhart, è un giovane broker di successo di New York, la sua compagnia deve avviare un grande progetto, ma per farlo le serve la firma del suo amministratore delegato, che però si trova in Svizzera in questa casa di cura e non vuole più tornare.

Lockhart (Dave Dehaan) è incaricato di andare in quella casa di cura e convincere l’AD Pembroke a tornare a casa per portare avanti la sua compagnia e per firmare il progetto.

L’ambientazione è un contrasto di colori e situazioni, sembra un luogo paradisiaco e bellissimo, e allo stesso tempo un luogo cupo e pieno di mistero, non si capisce bene cosa succeda li e sembra che ben presto il protagonista si ritrovi intrappolato li.

Anche in questo caso il film riesce a trasmettere perfettamente un senso di claustrofobia e mistero, un giusto mix di diverse emozioni che ci opprimo e che ci vogliono far sapere la verità per sentirci liberi.

Il film si esprime molto bene nei dialoghi e nelle scene, non si capisce mai cosa sia vero e falso e ti lascia un sacco di domande a cui non è affatto facile trovare risposta.

Il luogo diventa man mano indefinito, tra casa di cura, centro benessere e a tratti un manicomio, più che un luogo della rinascita appare come un luogo della propria fine, un luogo dove passare gli ultimi giorni della propria vita.

Anche qui la follia dell’essere umano è ben esposta, quasi verosimile a tratti e riconoscibile, tra incubi e visioni strane, e tra un senso di malessere che non ci far stare bene e ci fa sentire insodisfatti.

Il film si presenta forse un po’ troppo lungo e a tratti la trama risulta un po’ inutile con scene che potrebbero essere tagliate senza compromettere il risultato finale. Bellissima la colonna sonora curata da Benjamin Wallfish, la scenografia è davvero il punto forte del film, molto suggestiva e realistica.

Sicuramente nel complesso è un ottimo film, con delle sfumature interessanti nell’idea iniziale, un po’ strano e contorto a tratti, ma che riesce perfettamente a trasmettere determinate sensazioni, consiglio di guardarlo perchè comunque è un contenuto originale davvero carino.

Sucker Punch: Questo film è una trasposizione perfetta dello stile particolare e ovattato del suo regista Zack Snyder. Scritto e diretto da lui, Sucker Punch è un film molto particolare nelle sua forme e nei suoi colori, anche la trama si presenta abbastanza fantasiosa a volte forse esagerata.

Il film si presenta in un modo folle, tra colori e una trama che appare come quella di un videogioco, con scene di guerra azione, e scene più pacate e complicate.

Sucker Punch si suddivide su tre livelli, quello più semplice e cupo, quello dell’orfanotrofio che appare come un manicomio, poi c’è un secondo livello, che appare come una casa chiusa dove i clienti vogliono vedere le ragazze ballare per poi scegliere la migliore e poi il terzo livello quello più folle e distaccato dalla realtà, fatto di azione e missioni.

La protagonista vuole uscire da quella prigione e per farlo di trovare degli oggetti specifici che le serviranno per uscire, per far questo viene aiutata da altre ragazze.

La divisone su tre livelli e bella quanto particolare, forse è davvero il punto forte del film, che però si perde troppo nella parte apparentemente ludica, con scene d’azione pessime e con una CGI non ancora all’altezza.

Molto meglio le scene basilari, quelle del primo livello che ci trasmettono la vera situazione di quelle povere ragazzine, il cui film nasconde le atroci sofferenze che devono subire.

Ho apprezzato molto anche il fatto che la protagonista riesca a crearsi un posto nella sua mente in cui rifugiarsi e che quando balla riesce ad uscire dal mondo e volare in un posto in cui è la protagonista assoluta, è forte e non si fa mettere i piedi in testa da nessuno.

Purtroppo il film è pieno di difetti, dalla trama alla messa in scena dell’azione, sempre troppo esagerata e inverosimile, quasi stancante a tratti, perchè sembra rovinare le parti belle del film.

Il lato positivo è che rimane un prodotto unico nel suo genere ed è sicuramente qualcosa di nuovo in cui si vede tutta la follia e il talento di Zack Snyder, che purtroppo delle volte sembra volersi affondare da solo, facendo sempre le cose di fretta.

Anche la recitazione non è il massimo, anche se c’è un ottimo Oscar Isaac che interpreta il ruolo del capo di questo luogo misterioso tra manicomio, casa chiusa e orfanotrofio.

Sucker Punch, rispetto agli altri due film, ci allontana dall’angoscia che a tratti ci trasmette, grazie alle scene di azione così distaccate dalla realtà. Rimane un film particolare, forse un po’ troppo folle e la cui qualità è difficile da identificare.

Penso sia un prodotto di nicchia, io o apprezzato per i tre livelli di sceneggiatura e scenografia e soprattutto per le musiche e il montaggio sonoro che arricchiscono in modo assoluto tutta la trama del film.

Si dice che questo film abbia una incredibile sincronicità con l’album dei Pink Floyd che potrebbe fargli da colonna sonora mantenendo perfettamente lo stile e l’evolversi della trama arrivando perfettamente anche alla fine, una colonna alternativa insomma.

Se volete vedere qualcosa di folle e alternativo, guardatevi questo film.

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DEATH NOTE VS DEATH NOTE FILM NETFLIX: UNA RECENSIONE CHE NON ANDREBBE MAI FATTA

RECENSIONI COMBINATE: Due prodotti differenti ma con la stessa storia, Anime vs Live action movie.

Lo so che confronti del genere non andrebbero mai fatti, ma volevo fare qualcosa di diverso per recensioni combinate, qualcosa che sottolineasse cosa c’è dietro ad un processo creativo di un film.

Ovviamente gli Anime e i film sono due mondi molto diversi, ma allo stesso tempo molto simili, soprattutto nella produzione iniziale del prodotto, quando ancora è solo un’idea che deve essere sviluppata.

Questo in particolare è l’esempio di come sia difficile paragonare questi due prodotti visivi, in cui lo anime è praticamente perfetto mentre il film costruito sulla storia dell’anime è davvero brutto e a tratti ridicolo.

Parto con il dire che Death Note mi ha davvero colpito fin da subito, sia l’idea autoriale che la trama principale sono davvero spettacolari e da subito coinvolgenti, è davvero ben scritto, lineare e con molti colpi di scena.

I personaggi sono scritti alla perfezione e tutta la trama è convincente e si evolve con loro, Light Yagami, lo shinigami Ryuk e infine Elle, tutti magistralmente scritti e iconici.

Impossibile non apprezzare questa storia, infatti è uno degli animi più famosi e sicuramente meglio riusciti di sempre, o comunque quello che ha attirato a se, un gran numero di fan.

Death Note ci fa vedere tutta la creatività giapponese e ci mostra che gli Anime e i manga sono dei prodotti con storie d’autore davvero fenomenali che vanno al di la dei “cartoni” più conosciuti come possono essere “Dragon Ball” o “Naruto”.

L’idea che grazie ad un quaderno puoi uccidere qualcuno semplicemente scrivendoci il nome sopra, è davvero geniale e attira subito la curiosità di chi la sente o la legge.

Svilupparne un contorno complesso e piacevole era più difficile, ma Death Note lo fa perfettamente con un confronto di furbizia e intelligenza tra Light e Elle che è davvero avvincente sotto tutti i punti di vista.

Quindi queste erano le ottime basi da cui partire per fare un bellissimo film, la cosa più importante sarebbero stati gli attori e la regia, senza un necessario bisogno di badget super elevati, con una trama bella e quasi perfetta già scritta.

DEATH NOTE FILM NETFLIX

Death note è un film prodotto da Netflix, e diretto da Adam Wingard, purtroppo fin da subito il film decide di allontanarsi dal manga e di ambientare tutta la storia negli stati uniti, ma per aver una ambiente verosimile con quello giapponese lo colloca a Seattle, scelta devo dire piuttosto adatta.

Purtroppo questa scelta rovina già un po’ il soggetto, togliendo alcune particolarità della cultura giapponese che rendono alcune storie ancora più interessanti, come per fare un esempio banale, le classiche divise scolastiche o la cultura pop/manga che si può apprezzare nelle grandi città, un contrasto tra passato e futuro bello da vedere.

In America ovviamente c’è una cultura diversa, tanto che un il quaderno sarebbe il sogno di morte, portare via la vita di qualcuno fa quasi parte della quotidianità non c’è nessun “Bushido” a rendere l’omicidio un vero disonore.

Un’altra pecca è che quello che c’era di buono nei personaggi viene schiacciato e distrutto dalle scelte degli attori e da come sono stati scritti, cioè davvero male e davvero troppo distanti dall’idea originale.

Light Yagami, che nel film ovviamente si chiama con un cognome sassone, cioè Turner è totalmente diverso dal protagonista del manga, che era bello, intelligente e super popolare a scuola, uno di cui ti fidavi e per cui le ragazze vanno pazze.

La forza del ragazzo è la parte fondamentale del manga, la sua voglia di potere e di essere il più intelligente e furbo di tutti e di dominare il mondo grazie al quaderno, non gli importa di fare patti con un Ryuk, anzi è sicuro di fregare anche la morte.

Light Turner è il classico nerd sfigatello americano, bullizzato da tutti, bruttino e solitario, sembra uno squilibrato che potrebbe prendere un fucile e ammazzare tutti all’improvviso, non ha assolutamente nulla del protagonista originale e questo rovina tutta la bella storia originale.

Nat Wolf attore arrivato dal mondo Nickelodeon famosa per le serie tv per bambini, si cimenta in un ruolo che non li appartiene e che non riesce mai a fare suo, puntando tutto sul lato introverso e impacciato del protagonista, quasi folle e oscuro, ma non come quello originale. Una follia malata e squilibrata, cresciuta nel tempo dopo tutti gli anni di bullismo.

Come se non bastasse aggiungono altra follia adolescenziale con il personaggio di Mia Sutton, che non è poi scritto cosi male ed è pure interpretato bene da Margaret Qualley, ma che non c’entra nulla con la trama, rendendola ancora più debole.

Elle era un personaggio fantastico, un personaggio davvero cinematografico, con caratteristiche precise e con cui l’attore poteva esporre tutto il suo talento, poteva essere davvero il punto centrale del film invece anche qui un piccolo disastro.

Il povere Keith Stainfield, che secondo me è un attore di ottimo talento, viene costretto in un personaggio troppo difficile da interpretare in una trama del genere, viene abbattuto dalla banalità del film e dalla pessima qualità della sceneggiatura.

Tutto sommato però Keith non ha recitato male, anzi penso che il suo Elle era un ottimo personaggio ma che se paragonato all’originale ti fa venire la rabbia per l’occasione mancata.

Della regia e della fotografia non parlo, non mi sono piaciute, troppa confusione e fretta e soprattutto poca passione verso il manga e la storia che è davvero pensata e scritta male, tenendo conto della bellezza del soggetto.

Il contorto e sorprendente finale non mi dispiace, forte è l’unico punto del film che ti fa rivivere quel botta e risposta a colpi di intelligenza e piani complessi che c’è nel anime tra Light e Elle.

Consiglio assolutamente di guardare lo Anime, che merita sicuramente per la sua trama avvincente, sconsiglio di guardare il film, davvero troppe imprecisioni e scelte assurde, troppo buttato li senza voglia.

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SHERLOCK & LUTHER: DUE SERIE TV INGLESI, CON DUE DETECTIVE MOLTO DIVERSI TRA LORO.

RECENSIONI COMBINATE: Due prodotti della BBC, di genere giallo/crime che mettono al centro l’introspezione del detective protagonista.

Sherlock e Luther sono entrambe serie tv inglesi, trasmesse dal network BBC e disponibili nel catalogo Netflix in Italia, essendo amante del genere non ho potuto sfarmi sfuggire l’occasione di vedere queste due serie tv che hanno dato slancio ad un nuovo modo di vedere il genere crime.

Il detective protagonista è la centro di tutto con i suoi problemi e le sue preoccupazioni, con il suo carattere che esce fuori e muta episodio dopo episodio, soprattutto in Luther è evidente il viaggio introspettivo dentro al protagonista, rendendo la serie molto realistica e stilisticamente più bella.

Gli inglesi hanno già la fortuna di avere delle grosse produzioni e la possibilità di attingere attori della propria patria che hanno già avuto successo oltre oceano, quini creano visibilità e curiosità verso i progetti per cui lavorano.

In entrambe le serie però abbiano gli attori protagonisti che pur essendo già abbastanza famosi, hanno fatto il vero salto di qualità proprio con queste due serie tv, che a mio parere sono entrambe davvero ben recitate.

Londra è la protagonista, in due versioni abbastanza differenti, una città un po’ più irriverente, dinamica e moderna con una fotografia che spesso fa luce per esaltare anche la bellezza antica della città e per richiamare al periodo del libro originale di Sherlock Holmes. Mentre in Luther la città è spenta, grigia e cupa, con protagonista le periferie e luoghi più scuri e misteriosi, è come se la città fosse lo specchio del carattere dei protagonisti, anche la fotografia stessa rende l’idea.

Sherlock è stata creata da Steven Moffat e Mark Gatiss e ovviamente è liberamente tratta dai romanzi di Sir. Arthur Conan Doyle sul personaggio iconico di Sherlock Holmes.

Questa serie lo fa in una visione moderna, riportando il detective ai giorni nostri e collocato i suoi casi in chiave moderna. Questa scelta paga fin da subito perchè è bello vedere una nuova versione del detective più famoso del mondo, è a mio parere è la versione meglio riuscita, Benedict Cumberbatch è davvero sensazionale nel ruolo di Holmes, con tutte le strane sfaccettature del suo carattere ha reso l’idea dello Sherlock Holmes perfetto.

Arrogante, solitario, geniale, intuitivo, un po’ folle e con un comportamento schivo e per molti troppo presuntuoso, quasi inavvicinabile. Tranne per il suo fedele compagno Watson interpretato da un sempre ottimo Martin Freeman che in questa veste e davvero perfetto, una spalla perfetta del detective Holmes, tra cui si crea uno strano rapporto di amore e odio.

Ovviamente le caratteristiche dei due protagonisti sono ormai famose, però mi è piaciuto vedere come nella serie ci siano parecchie citazioni, che vengono leggermente rivisitate in chiave moderna, ci sono tutti i casi di Holmes, suo fratello Mycroft e il suo acerrimo nemico Moriarty.

La serie è davvero fatta bene, con una trama che mantiene sempre un buon ritmo, che ovviamente crea curiosità e che viene esaltata dalla recitazione dei protagonisti che è davvero impeccabile.

Mantiene su tutto una dovuta leggerezza come sempre quando si tratta di Sherlock Holmes, non c’è mai troppa violenza, è tutto abbastanza ironico e anche a tratti divertente nonostante gli argomenti trattati. Al centro c’è sempre il protagonista, il detective con la sua storia, la sua introspezione e la sua evoluzione.

Cumberbatch è talmente un catalizzatore che ti fa perdere l’attenzione su un ottima regia e un ottima fotografia, che rendono la serie una delle migliori nel suo genere e un prodotto di livello davvero ottimo, sicuramente a livello delle produzioni americane se non migliore a tratti.

Luther è uscita nello stesso anno di Sherlock e in un certo senso fa un po’ da contraltare alla fantasia della serie tratta dai libri di Doyle, esaltando il lato oscuro della città di Londra.

Ideata da Neil Cross la serie parla di un detective della polizia di Londra, con un grande intuito e che è molto attaccato al senso di giustizia, molte volte però viene tradito dalla sua irruenza e dalla voglia di giustizia sopra ogni regola.

Luther è sicuramente una serie più complessa di Sherlock, sia nella sua trama, sia nello sviluppo del progetto, con una fotografia molto ricercata e una scrittura del personaggio principale molto ben elaborata e studiata nei dettagli.

Idris Elba riesce ad esaltare tutte le sue caratteristiche, con questo continuo contrasto tra cuore d’oro e cattiveria, che il detective non riesce a controllare, non riesce mai a scavare a fondo in se stesso.

è molto introspettiva e questa serie ha davvero cambiato il mondo di vedere questo genere poliziesco spostando l’attenzione sulle persone più che sui casi, rivoluziona l’idea di serie poliziesca e crime e ci sposta in qualcosa di nuovo e assolutamente valido e complesso.

Ci fa capire la crudeltà della vita, la violenza dell’uomo e ci mostra il alto di Londra che non tutti conoscono ma che essendo ormai una metropoli è sempre più presente, cioè la violenza e gli omicidi.

Il detective Luther sacrifica la propria quotidianità per il proprio lavoro, rimane sempre troppo coinvolto nei casi fino a diventarne parte stessa, la sua devozione al lavoro lo rende confuso e gli fa perdere identità.

Ha un cuore grande, la sua gentilezza è presente in tutte le stagioni e a volte si nasconde dietro ad atteggiamenti rudi e cinici come se volesse tenere lontano le persone che ama, perchè a paura che potrebbe succedergli qualcosa.

Una bellissima serie che consiglio a tutti di vedere, soprattutto se siete amanti del genere, mi dispiace che non sia molto conosciuta perchè ha davvero un sacco di motivi per essere vista, perchè è davvero ben scritta in ogni suo passaggio, la recitazione di Idris Elba è coinvolgente e la fotografia rende davvero grandi emozioni.

Insieme a Peaky Blinders, sono due serie che davvero rappresentano la qualità delle produzioni oltremanica, con una qualità di scrittura e di fotografia davvero invidiabili, tenendo anche conto che queste due serie sono iniziate 10 anni fa, rende ancora di più l’idea della qualità e del valore di quelle produzioni.

A queste due serie va dato sicuramente il merito di aver reso le serie poliziesche qualcosa di diverso, di più importante e trasgressivo, qualcosa che le riesca a rendere più interessanti e in cui sceneggiatori e showrunner possano esaltare le proprie doti, opere in cui la regia e la fotografia diventano fondamentali per trasmettere emozioni.

Il mio consiglio è quello di guardare entrambi le serie, nella speranza che prima o poi la BBC ci regalerà altre perla del genere, da gustarci con occhio più critico e percependo le diverse parti del lavoro di una serie tv.

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HOW I MET YOUR MOTHER & NEW GIRL: LA BELLEZZA DELL’AMICIZIA IN DUE BELLISSIME COMEDY

Recensioni Combinate: Quando le risate e l’amicizia e l’amore sono al centro delle serie tv.

Nonostante molto probabilmente chiunque ha visto almeno una di queste due serie, dovevo per forza farne una recensione, e perchè no? una recensione combinata, tra due serie tv che mettono l’amicizia, l’amore e le risate al centro di tutto.

Entrambe queste serie tv sono una espressione della bellezza della vita, dei momenti più belli, del bello di condividere i momenti più belli e romantici, la bellezza dell’amicizia, del divertimento o del semplice bersi una birra tutti insieme alla sera dopo una giornata di lavoro.

Non sono le uniche due serie a fare questo, molte serie tv si propongono di fare questo, però volevo parlarvi di queste, perchè per me sono un pezzo di cuore, sono due delle mie serie comedy preferite e “HIMYM” è una delle mie serie preferite in assoluto.

Il bello di questi due prodotti è la capacità di farti affezionare ai personaggi come fossero dei tuoi amici, come se tutto quello che vedi fosse reale, delle volte vorresti essere li con loro, nel loro loft.

C’è sempre un grande senso di amicizia, di bellezza e divertimento, entrambe sono un percorso di vita dei personaggi, che crescono, si amano, si sposano e vanno avanti con le proprie vite, non sono delle semplici comedy, sono dei pezzi di vita, sono un insieme di sentimenti bellissimi.

Per non parlare poi delle risate, dei momenti di divertimento, anche una semplice e stupida battuta, una volta che i protagonisti sono tuoi amici diventa una cosa spassosa.

I personaggi crescono con lo spettatore, ogni stagione hanno qualcosa di nuovo, ogni stagione la loro vita va avanti con una trama orizzontale completa e bella come un lunghissimo film.

Parto da New Girl perchè forse è meno conosciuta…

New Girl è una serie distribuita da Fox e presente sia sua Amazon Prime che su Netflix, è composta da 7 stagioni.

Creata da Elizabeth Meriwether è un prodotto leggermente diverso dalle solite Sitcom, infatti si propone come una comedy, con riprese dinamiche, primi piani e scenografie più complesse anche con scene girate all’aperto.

Fin da subito si viene catturati dalla forza e dall’energia della protagonista interpretata da un’incredibile Zooey Deschanel che è sicuramente il punto forte di questa serie tv.

Il punto centrale della serie tv è il convitto dei protagonisti in un grosso loft di Los Angeles tra situazioni paradossali, divertenti e sentimenti.

Difficile non affezionarsi a personaggi come Nick Miller, Winston o Schmidt e poi c’è la migliore amica di Jessica Day (zooey Deschanel), Cece.

Una serie capace di farti sempre divertire, mai annoiare, con situazioni sempre paradossali e divertenti e con personaggi perfettamente caratterizzati e tutti con le loro parti più bizzare.

New Girl ci trasporta nella vita di questi ragazzi e ci fa sentire parte delle loro vite, è come se anche vivessimo con loro in quello splendido loft ad LA.

Cresciamo con loro, ci affezioniamo a loro e ci chiediamo sa Jessica Day riuscirà mai a trovare la giusta strada nella sua vita e trovare l’uomo della sua vita.

Una comedy leggera che ti fa passare le ore a guardarla sempre con il sorriso, forse meno conosciuta di quello che merita, la consiglio vivamente a tutti.

How I Met Your Mother la situation comedy perfetta!

Già il fatto che una situation comedy abbia tutto questo successo la dice lunga sulla bellezza di questa serie tv, essendo tutta girata in studio e basata tutta sui dialoghi e le battute.

HIMYM riesce a prenderti subito, attira la tua curiosità quando il protagonista vuole raccontare ai suoi figli come ha conosciuto la loro mamma, ma non partendo dal giorno stesso in cui l’ha vista, ma partendo dal principio e quindi a come è arrivato a conoscerla.

Ted Mosby è il protagonista della serie, è per tutto il tempo è alla ricerca della donna della sua vita, ha un’idea dell’amore molto romantica, Ted è innamorato dell’amore stesso e già questo va in contrasto con la filosofia e il pensiero di molti di noi.

Questa serie mette al centro i sentimenti, che sia amicizia, amore o altro, HIMYM lo fa tremendamente bene e ti fa provare un altalena di emozioni forti, si forse è vero anch’io sono un Ted Mosby per molti motivi, ma vi assicuro che questa serie fa anche piangere e ti fa commuovere non solo ridere.

Ci sono dei momenti davvero divertenti, quasi da emulare o da ripetere quando sei con gli amici, i personaggi sono tutti perfetti, diventano subito tuoi amici, è inevitabile da Barney Stinson, alla coppia Lily e Marshall e poi Robin!

Chi ha già visto questa serie può capire perfettamente che non è una semplice sitcom ma un bellissimo percorso di vita, fatto di alti e di bassi, è la storia di un ragazzo che crede ancora nel vero amore e nei sentimenti.

Penso che chiunque dovrebbe prendersi del tempo per guardare questa serie tv, perchè oltre ad una infinità di risate, ci fa riflettere anche sulla bellezza dell’amicizia e sulla sua importanza.

Questa, come New Girl, ci insegna la bellezza di condividere i momenti più belli, la bellezza di passare una serata al Mclaren’s, uno dei pub più iconici della storia delle serie televisive!

Avrei altre mille cose da dire su questa serie tv, che come già detto è una delle mie preferite in assoluto per mille e più motivi, se non l’avete ancora vista non posso far altro che suggerirvi di farlo al più presto possibile!

Quindi viva l’amicizia, viva l’amore e viva serie come New Girl e How i met your mother!!!

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THE LEFTOVERS & TALES FROM THE LOOP: L’IMPORTANZA DEL TEMPO E DEGLI AFFETTI.

Recensioni Combinate: Due serie lente lente scandite dalla forza della musica e degli affetti.

Ho deciso di abbinare in questa recensione queste due serie, perchè ritengo che hanno dei punti in comune, non tanto nella trama quanto nell’esposizione degli eventi, nella serietà e bellezza di descrivere l’attimo.

Entrambe queste serie hanno una cadenza lenta nell’esposizione degli eventi, le colonne sonore sono entrambe stupende, quella di “The Leftovers” è una delle più belle che ho sentito in una serie tv.

Queste due serie se pur ambientate in un mondo di fantascienza, “Tales from the loop sopratutto è quasi sci-fi, riescono a parlare e a mostrare in modo molto realistico i sentimenti e gli affetti verso i nostri cari.

Il tempo che scorre, il suo inevitabile movimento verso l’infinito, quella sensazione di vuoto che ci crea quando ci pensiamo, la paura di buttarlo e di sprecarlo, la voglio di passare più tempo con i nostri cari.

La mancanza, di un affetto, di una persona a noi cara, che non è morta, ma non sappiamo dove sia, l’impossibilità di dirgli davvero addio, che ci distrugge e ci logora con il tempo e non ci lascia andare avanti.

L’invidia verso la normalità, l’assenza di risposte e la voglia di sapere la verità e cosa sia successo, tutti questi elementi compongono entrambi queste due serie, che tra l’altro sono due prodotti davvero ben fatti, poco conosciute e sottovalutate.

THE LEFTOVERS è una serie HBO, quindi indubbiamente è fatta bene, sia a livello scenografico che fotografico, fino ad arrivare ad una recitazione ottima e molto centrata sulla sceneggiatura.

Ideata e creata da Damon Lindelof (Creatore di Lost) e Tom Perrotta, scrittore del libro da cui è tratta la serie tv.

In questa serie c’è tutta la curiosità e i misteri che solo Lindelof riesce a creare, ti attrae fin da subito e da subito vuoi sapere ed avere delle risposte, anche solo la log Line ci incuriosisce, infatti la serie si potrebbe riassumere con “all’improvviso il 2% della popolazione mondiale, sparisce nel nulla”.

Questa serie ha un’abilità di narrare gli eventi con la giusta dose di sentimenti e di vuoto, infatti ti fa percepire il vuoto che provano le persona che hanno perso qualcuno dei loro affetti.

è una serie molto potente, che ci fa comprendere l’importanza del tempo, l’importanza di non sprecarlo e di non buttarlo, l’importanza di esprimere sempre i nostri sentimenti verso i nostri cari, di non tenersi le cose dentro perchè potrebbe essere troppo tardi.

Gli attori interpretano dei personaggi tutti ben scritti, con i loro sguardi persi e i loro sorrisi malinconici, quella finta felicità e la difficoltà di ripartire, lo capisci dai loro gesti che qualcuno che sparisce non è come qualcuno che muore, la tua fede, le tue sicurezze vacillano.

Justin Theroux è perfetto nel ruolo del protagonista, che tiene dentro tutta la sua sofferenza, che vuole andare avanti ma la cui vita gli sta sfuggendo tra le mani, arrabbiato, tormentato e confuso, mi è piaciuta molto la sua recitazione.

Devo citare ancora le musiche di Max Ritcher che sono davvero pazzesche e perfettamente legate con la trama e con i momenti della storia, riescono a trasmetterti le emozioni e i sentimenti in modo perfetto.

Il livello della serie, cala un po’ con la terza stagione, un po’ “stanca” come se il prodotto facesse fatica ad andare avanti, forse problemi che arrivano dalla produzione.

La terza e ultima stagione è un po’ troppo confusionaria, meno emotiva, e in tutte le sue parti è un prodotto di livello inferiore rispetto alle prima due stagioni che io ritengo un piccolo capolavoro.

TALES FROM THE LOOP è una serie di Amazon prime video, creata da Nathaniel Halpern, l’opera si basa su opere illustrate di un’artista svedese, su una serie di racconti e su un gioco da tavolo, tutti collegati allo stesso mondo creato da  Simon Stålenhag.

Questa serie mi ha colpito per la sua pacatezza e calma nel descrivere che parlano di tempo e dell’effetto della tecnologia sulle persone, mi ha colpito il modo di descrivere i sentimenti, come amicizia, mancanza e paura.

I personaggi esprimono tutti dei sentimenti che sono tutti inevitabilmente collegati allo scorrere del tempo e alle conseguenze che esso provoca.

Tutte le storie narrate nella serie sono in qualche modo collegate tra loro e tutte sono influenzate dal laboratorio che si trova al centro della città chiamato “LOOP”, tutto è condizionato da strumenti tecnologici e particolari che cambiano inevitabilmente la vita dei protagonisti.

La fotografia e la scenografia sono il punto di forza di questa serie, che è ben strutturata in tutte le sue parti, anche se forse è un po’ lenta per lo stile attuale.

Anche qui il tempo è una parte importante, anche qui se ne sente il peso e anche qui il sentimento di mancanza è forte, soprattutto in certe dinamiche e storie.

Una serie che mi ha stupito e che consiglio di guardare.

Entrambe queste serie sono sottovalutate o poco conosciute, rimangono nascoste e poco seguite per la loro complessità, per l’impegno che serve per vederle, perchè bisogna andare oltre alle immagini e capirne il significato.

Sono due serie tv dall’impatto emotivo importante, che se viste con il giusto occhio ci possono colpire molto e coinvolgere in tutte le loro sfaccettature, due serie che sicuramente meritano di essere viste.

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GODLESS & UNBELIEVABLE: IL POTERE DELLE DONNE CHE COMBATTONO UNITE

RECENSIONI COMBINATE: Due miniserie con il “rosa” come protagonista.

LOCANDINE DELLE DUE MINISERIE NETFLIX

Voglio aprire questo nuovo format di recensioni con due miniserie che mi hanno colpito molto, fatte davvero molto bene e che nonostante parlano di argomenti completamente diversi hanno un punto in comune “l’unione fa la forza”, in questi casi l’unione delle donne che devo combattere contro dei ” mostri” che incontrano lungo il precorso delle loro vite.

Sono entrambe delle miniserie, quindi auto-conclusive, presenti nel catalogo Netflix. Hanno anche in comune un attrice che mi è piaciuta molto in entrambi i ruoli, Merrit Wever.

Partiamo da Godless serie creata da Steven Soderbergh (regista della trilogia Ocean’s) e Scott Frank (sceneggiatore di Logan), si può intuire già il livello della serie dai suoi ideatori.

Ambientata nel vecchio west la serie mette al centro della serie la donna, nello specifico un gruppo di vedove che hanno perso i propri mariti in un incidente nella miniera e che adesso portano avanti il paese e si difendono dai banditi.

La serie si presenta fin da subito con un ottima scrittura, con dei bei dialoghi e con dei personaggi ben strutturati, forse un po’ lenta a tratti per i ritmi odierni.

Bellissima la fotografia che riesce a rendere davvero l’idea del vecchio west grazie anche ad un ottima scenografia e dei costumi ben ideati, è da tempo che non vedevo un prodotto “western” di questo livello.

Se siete amanti del genere questa serie fa sicuramente al caso vostro, con sparatorie, saloon e lunghe galoppate nel deserto.

Mi è piaciuta la caratterizzazione dei personaggi, tutti ben strutturati e convincenti, bella l’idea di creare un villaggio di sole donne che combatte contro i pregiudizi e il patriarcato del vecchio west, dove si sputa tabacco e si beve wiskhy.

C’è un filo conduttore, sul fatto di rimanere uniti nei momenti di difficoltà, che non importa, se sei un uomo, un bambino o una donna del west, l’unione fa sempre la forza, stando unite si possono sconfiggere nemici terribili e salvare non solo le proprie vite ma interi paesi.

Mi è piaciuto questo concetto, mi è piaciuto il senso di forza, determinazione e coraggio che trasmette questa serie, che fin da subito ti fa fare il tifo per queste donne.

Anche il Villain è scritto perfettamente, ottimo nel contesto e molto convincente, molto bravo anche l’attore Jeff Daniels nella sua interpretazione.

Unbelievable è una storia completamente diversa, molto più serie quanto drammatica, non è sceneggiata ma è una trasposizione di fatti reali riportati in una miniserie.

Ho voluto metterla in questa recensione combinata, perchè penso che anche qui sia importante il concetto di ristare uniti, che le donne devo combattere insieme nei momenti difficili, a volte in “salita” per raggiungere la verità.

Ideata, scritta e diretta da Susannah Grant una sceneggiatrice davvero ottima, che riesce a dare sempre forza ai personaggi femminili come in una delle sue sceneggiature più famose “Erin Brockovich – Forte come la verità ” anch’esso tratto da una storia vera e diretto da Steven Soderbergh il creatore di Godless.

Susannah è riuscita a dare a questa miniserie la giusta dose di angoscia e di tristezza, riesce a farti entrare nei panni della protagonista e da forza e determinazione alle due detective che conducono il caso.

Uno stupratore seriale gira libero per gli Stati uniti ma non lascia mai tracce, una ragazza che subisce l’abuso denuncia l’accaduto, ma nessuno sembra che vuole credergli, tanto che il caso viene archiviato.

Grazie alla forza, all’unione e alla determinazione di due detective la verità verrà a galla e l’uomo fortunatamente verrà catturato.

Una serie davvero ben strutturata, forte nelle parole e nelle immagini, si focalizza molto sul problema e non perde mai di vista il punto, che stando uniti si possono risolvere un sacco di problemi.

La ragazza viene abbandonata, etichettata come bugiarda senza sapere che in un altro stato degli Stati uniti, due detective stanno lottando ogni giorno con tutte le loro forze per cercare di fermare questo “mostro”.

Questa serie è un po’ un simbolo dell’impegno e delle forza di due donne che vogliono salvare le loro “amiche” da un nemico oscuro, vigliacco e in cui nessuno crede che esista.

è una storia di rivalsa, di resilienza verso i pregiudizi, e viene comunque posta come un giallo poliziesco, mi è piaciuta davvero molto per tutti i suoi aspetti.

L’interpretazione di Merrit Wever e Toni Colette sono perfette, una il bastone l’altra la carota con caratteri opposti ma con un fortissimo senso del dovere e giustizia.

Prima ho usato il termine “amiche” perchè loro sono proprio questo con le vittime coinvolte nel caso a cui stanno indagando, da donna a donna capiscono e sentimenti e la disperazione che si possono provare in queste situazioni, riescono ad essere empatiche con le persone e questa empatia viene trasmessa al pubblico.

Ho scelto di “combinare” in questa recensione queste due serie televisive perchè penso che il loro punto in comune sia un punto di forza, in cui la donna è protagonista senza forzature, fantasie e innovazioni.

Con storie reali o realistiche si possono portare dei racconti bellissimi, seri e davvero ben fatti, senza strafare, senza troppe proclamazioni.

Due miniserie piacevoli da guardare che forse ci insegnano qualcosa e ci trasmettono qualcosa, grandi artisti che si prestano a fare dei “piccoli” lavori che ha tratti sono piccoli capolavori, nascondi nei meandri del gigantesco catalogo Netflix.

Prendetevi del tempo e guardatevi queste due miniserie.